Bah, sulla scarsa disponibilità del cibo invocata da Piermarini-luminare e il latte materno a richiesta, mi farei pochi problemi.
A tavola, c'è quello che c'è a tavola, come prelevato dalla natura e preparato con il lavoro di qualcuno. Finché l'alimentazione è "complementare" del latte materno a richiesta, siamo in un contesto di sperimentazione: non si tratta di forzarlo a mangiare quello che c'è in tavola, ma di fargli conoscere le cose. Se non lo convincono, c'è il cibo "base": lattedimamma. Poi, mano mano che mangia di più il bimbo prenderà meno latte. E poi, mamma torna a lavorare, bimbo va al nido, o all'asilo, e visto che lattedimamma non c'è, si prende l'abitudine dei pasti dettati dalla convivenza sociale. Infine, prima o poi, un giorno il lattedimamma non c'è più, e cibo e coccole diventano del tutto separate.
Quello che capisco io come "situazione fittizia di scarsa disponibilità", è proprio quello che descrive Madregeisha (B): il fatto di non avere sempre a portata di mano cibo pronto di ricambio, o una mamma che si alza da tavola per preparare qualcos'altro dopo aver portato a casa chili di spesa tornando da 8 o più ore di lavoro e passato un'ora in piedi a cucinare antipasto primo e secondo. Questione di rispetto, per il cibo stesso e per lo sforzo delle persone. Ma si applica al cibo che non è più considerato come "complementare", bensì come alimentazione a sé.
Io sono stata cresciuta così: mia mamma è venuta in Francia da piccola con i suoi genitori, rifugiati politici, ed erano poveri; mio papà è cresciuto in un paese comunista, in cui il cibo era cosa rara e preziosa. Si comprava quel cibo che si sarebbe mangiato il giorno stesso o nei pochi giorni successivi, nel frigo c'erano solo quelle porzioni lì. Merendine, patatine o altre robe preconfezionate non hanno mai varcato la soglia della nostra casa. I biscotti erano uno o due alla fine del pasto. La mattina mio papà andava a prendere il pane e il latte, a merenda si andava insieme a prendere succo di mela o succo d'uva, pane fresco, e lo si mangiava con burro e marmellata/miele (la nutella l'abbiamo scoperta a 15 anni...). Le pasticcerie nelle occasioni speciali, la domenica durante le vacanze. Il cioccolato si mangiava un quadratino alla volta, ed era una festa. Mia nonna ne prendeva una tavoletta quando andavamo a fare la nostra solita passeggiata da 7-8 chilometri a piedi, e a metà strada c'erano i 2 quadratini di cioccolato al latte con le nocciole. Ogni cosa era "unica", c'era un senso di festa anche per il più semplice panino al prosciutto. Mai avuto fame. Quelle rarissime cose che proprio ci disgustavano (il semolino al latte
), nessuno ce le faceva mangiare. Ovviamente, da adolescenti le cose sono cambiate non poco, ma per me il ricordo del cibo dell'infanzia è infinitamente felice (eppure mia mamma non era una gran cuoca...
).