“Guarda, io non so davvero più che cosa fare. Ogni volta che ci sediamo a tavola è un incubo. Mio figlio non mi mangia, non mi mangia niente. Insisto stiamo lì anche per un’ora, ma niente è diventata una lotta senza quartiere. Non so più a che santo votarmi.
Ma senti, ti capisco benissimo solo chi c’è passato capisce quanto sia difficile avere un figlio che non ti mangia. Anche io non so che cosa fare. So solo che per fargli mangiare quel cucchiaio di minestra o quel boccone di verdura in più è un tale sforzo che davvero a volte mi chiedo se ne valga la pena e se non sia meglio lasciar perdere tutto.”
Ciao, Sono Andrea di autosvezzamento.it e questo articolo vi voglio parlare della cosiddetta “spirale ansiogena” e di come più o meno tutti cadiamo in questa trappola.
Come ho detto in un articolo precedente, Katia Rowell, una dottoressa tedesca trapiantata in America, ha scritto il libro “Love me, feed me” dove parla della divisione della responsabilità.
Brevissimamente la divisione della responsabilità dice che è compito del genitore decidere
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- cosa si mangia,
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- quando si mangia e
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- dove si mangia,
mentre il bambino decide
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- se e
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- cosa mangiare
tra quello che c’è in offerta. In altre parole il genitore dice che oggi si fa pasta col tonno e magari della verdura, e decide che si mangia in sala da pranzo all’una. Il bambino decide se mangiare la pasta col tonno, la verdura, la frutta, il pane o quello che c’è a tavola, a seconda di quello che preferisce e dell’appetito che ha in quel momento – o anche se preferisce non mangiare niente.
Com’è fatta la spirale ansiogena
Nel fare tutto ciò c’è una specie di patto che si instaura tra genitore e bambino: il genitore rappresenta l’autorità e lui decide la logistica, mentre il bambino non influenza la decisione del genitore per quanto riguarda il menu. Per contro, è il bambino a decidere quanto LUI desideri mangiare: il genitore riconosce l’autorità del bambino sul quanto e cosa debba mangiare tra quello che c’è in offerta. I problemi si innescano spesso quando non è più chiaro dove finiscono le mie responsabilità e cominciano quelle dell’altro. Ovvero quando il bambino comincia a decidere il menù, con il genitore che finisce per gestire una specie di ditta di catering per la famiglia, e quando il genitore comincia interferire su quanto debba mangiare il bambino. Quello che si rischia si inneschi viene descritto molto bene dalla spirale ansiogena che vedete qui.
L’immagine è tratta dal libro di Katja Rowell Love Me, Feed Me (link affiliato amazon). Il libro l’ho acquistato e letto, e lo consiglio caldamente… Però è in inglese. Tuttavia è una lettura FONDAMENTALE per chi ha bambini “inappetenti”, per cui se avete dei dubbi e un po’ di inglese lo masticate… non ve ne pentirete.
Questa immagine mi ha colpito non appena l’ho vista in quanto riassume perfettamente il meccanismo perverso che talvolta si instaura tra genitore e bambino in relazione al cibo. Si comincia con un bambino che (FORSE) ha un problema con il cibo e poi abbiamo un genitore (forse TROPPO) preoccupato e circondato da consigli scadenti. Ed ecco che, anche se armati delle migliori intenzioni, ci si ritrova all’ingresso di questa spirale ansiogena (che Katja Rowell chiama worry cycle) scatenata da comportamenti controproducenti che si auto-alimentano in una specie di feedback positivo.
Cominciamo con un bambino che forse ha un problema con il cibo, aggiungiamo un genitore ansioso, l’assenza di informazioni valide e di supporto, una metodologia controproducente, ed ecco che ci ritroviamo ad esercitare pressione sul bambino, pressione che poi sviluppa resistenza da parte dello stesso, che però genera ancora più pressione, ancora più preoccupazione, ancora più pressione, ancora più resistenza, ancora più pressione, ancora per resistenza, e così via. Mi viene l’ansia solo a pensarci!
Il ciclo, una volta instaurato, imprigiona entrambi i protagonisti possibilmente per anni. Quante volte ho letto di genitori disperati i cui figli, oramai grandicelli, non “vogliono mangiare”? Mi domando in quanti abbiano preso in considerazione che forse più che essere di fronte a bambino “problematico” si trovano invischiati in una “spirale ansiogena” la cui origine risale forse ai primissimi anni, se non mesi, di vita del bambino.
In questo senso vi racconto un piccolo aneddoto personale: la mia prima figlia sembrava non prendere “abbastanza” latte verso i 3 mesi di vita. Ed ecco che che anche noi ci siamo ritrovati all’ingresso della spirale ansiogena, tuttavia siamo stati fortunati; UN PO’ perché qui da noi, vi ricordo siamo nel Regno Unito, non ci sono controlli periodici e pediatri di famiglia; e anche quando chiedemmo aiuto a del personale sanitario non ci dissero più di tanto. Un po’ perché di lì a poco abbiamo fatto la conoscenza con Piermarini – e, per come sono fatto io, meno male! – per cui abbiamo cominciato sin da subito a tirare i remi in barca, anche se, devo riconoscere, all’epoca non avevamo molta consapevolezza del PERCHÈ lo dovevamo fare. Tuttavia le cose sarebbero potute andare molto, ma molto diversamente se avessimo avuto vicino persone diverse.
Il problema è che spesso la pressione esercitata dai genitori dà dei risultati a breve termine, ed è per questo che è così difficile rinunciarvi e così uscire dal circolo vizioso che si è generato. Imboccare davanti alla televisione può far ingoiare quel boccone extra, ma di sicuro non aiuta il bambino a diventare una persona con un rapporto consapevole verso il cibo, né quel boccone extra fa alcuna differenza alla crescita. La Rowell afferma – grande verità – che aiutare un bambino a mangiare bene è un processo che noi adulti possiamo rallentare con facilità, ma che non possiamo accelerare; i bambini svilupperanno il rapporto con il cibo alla velocità che è congeniale per loro e che (purtroppo, aggiungo io) non è necessariamente quella che desidererebbero i genitori.
Quello che forse dovrebbe essere incluso nella figura della spirale ansiogena è che all’inizio ci potrebbe benissimo essere non un bambino, ma un genitore “problematico”, ovvero troppo ansioso, che si trova a scontrarsi con un bambino, senza particolari problemi con il cibo, ma che vuole asserire la propria indipendenza (o che per lo meno non risponde bene a certi tipi di pressione). Dopo tutto, è nato prima l’uovo o la gallina? Ovvero, la causa scatenante è il bambino che non mangia o il genitore che insiste troppo e che ha aspettative irragionevoli? La Rowell si occupa principalmente di bambini, adottati o in affidamento, che spesso hanno storie dolorose alle spalle e con problemi comportamentali che vengono fuori anche con l’alimentazione, ma quello che dice si può facilmente estendere alle famiglie più “ordinarie”. A testimonianza di ciò, la Rowell dà alcuni esempi di pressione che i genitori esercitano sui figli, ma l’elenco non è certamente esaustivo:
– farlo mangiare davanti la TV
– lasciarlo sul seggiolone anche per ore nella speranza che mangi un pochino di più
– corromperlo con giocattoli, promesse, dolci, ecc.
– fare giochi quasi circensi per fargli mangiare un boccone
– troppe lodi
– farlo sentire in colpa
– implorarlo (dai, su… fallo per mamma)
– costringerlo (anche fisicamente – e quante volte l’ho sentito)
– cucinare 10 cose diverse, come se ci si trovasse al ristorante
– “assaggia prima di dire no”
Per quanto mi riguarda la più interessante, se non altro perché non ci avevo mai riflettuto in quest’ottica, è l’ultima: “assaggia prima di dire no”. Chi non l’ha utilizzata (e io per primo) con risultati più o meno positivi? Tuttavia, come la Rowell puntualizza, va tutto bene se hai di fronte un bambino “docile” o che magari desidera compiacerti. Se invece si è già instaurata una sorta di “lotta per il potere”, ecco che le cose non sono poi così semplici. Ad esempio, in alcuni bambini il desiderio di controllo (su di sé e altri) può essere molto radicato, per cui un banalissimo “assaggia prima di dire no” è possibile che scateni una vera e propria guerra dove non si fanno prigionieri. In sostanza, spesso i genitori non si rendono conto che non è il boccone o l’assaggio il nocciolo della questione, ma stabilire chi detiene il potere, chi ha il controllo.
È incredibile quanto la “pressione” possa essere obliqua e quasi invisibile, ma non per questo meno devastante. Ad esempio, è facile associare “pressione” con “minaccia”, come in molti dei casi elencati in precedenza. Tuttavia non deve necessariamente essere sempre così. Anche lodi e incoraggiamenti possono essere percepiti come pressioni. Ad esempio, dire “bravo” a Mario perché ha provato un cibo nuovo può mettere Mario sotto pressione. Anche dare un premio a Susanna se mangia tutte le verdure o fare un applauso se Giulio finisce il piatto può essere interpretato come pressione indesiderata; per non parlare di quando si fanno lunghi discorsi su come questo o quello facciano bene per la crescita e che non possono essere capiti dai bambini piccoli.
Il bambino come potrebbe interpretare questo tipo di comportamenti da parte dei genitori? È possibile ad esempio che creda che le verdure siano davvero pessime se è necessario dargli un premio per fargliele mangiare. O forse percepisce che sua madre vuole davvero che finisca il piatto, ma lui vuole far “reagire” il genitore (e sappiamo poi come va a finire…). O magari c’è il bambino indipendente che vuole fare le cose per conto proprio e che non gradisce aiuto o attenzioni nel provare un determinato cibo. L’elenco è infinito, ma purtroppo non essendo nella testa dei bambini non potremo mai essere sicuri di quello che pensano. Però ci sono cose dei punti fermi che ci vengono in aiuto: come dice Gonzalez ne Il mio bambino non mi mangia, “i bambini non si lasciano morire di fame” e, come ci ricorda Piermarini, “la richiesta deve partire dal bambino”. Se teniamo a mente queste due frasette sin dai primissimi giorni della VITA del bambino, ci saranno ottime probabilità che si eviterà di finire nel baratro della “spirale ansiogena”, per lo meno per quanto riguarda il cibo.
E voi, siete mai caduti nelle grinfie della spirale ansiogena? SE siete riusciti a uscirne, come avete fatto? E se invece ci state ancora dentro, dopo aver visto questo video, come pensate di procedere? Raccontatecelo nei commenti e ricordate che le vostre esperienze aiuteranno SICURAMENTE chi ci passerà dopo di voi!
Ciao e alla prossima.
2 risposte
Salve sono E mamma di C di 18 mesi e somo disperata. ho vissuto malamente fino ai 9 mesi di moa figlia con i miei suoceri che. mi hanno obbligata a fare svezzamento tradizionale e a farmi sentire una mamma degenere se la piccola non mangiava tutto o se provavo a darle qualcosa a pezzi dato che io avrei tanto voluto autosvezzare. figlio di genitori, mio marito ansiogeno, è stato a casa fino ai 12 mesi di nostra figlia e anche lui poneva ansie perché non mangiava e abbiamo dovuto fare giochetti vari fino ad approdare alla tv per distrarla e farle.mangiare tutto perché se non finiva era una depressione per lui e i suoceri continuavano a farmi sentire in colpa se non mangiava come.un adulto. premettendo che ancora allatto…ora sono disperata perché la piccola odia il cibo, ha la pica e mangia tutto. ciò che non è cibo tipo plastica, riso crudo, farina…ma.non cibo…tranne la frutta secca che ama. mio marito continuerebbe a mandarla.in catalessi con la tv almeno qualcosa mangia…ma.ora, giustamente, la.piccola rofiuta il cibo persino co. la tv accesa e vuole solo il seno. io vorrei rieducarla a mangiare ma non so da dove iniziare e come farle amare il cibo…se non fosse già troppo tardi…e sopratutto vorrei rieducare mio.marito a non mettere ansie a.me e a lei perché cosi facendo lei avrà problemi un domani, ne sono certa. ho bisogno di aiuto perché. mi hanno tarpato le ali on tutto quello che di bello volevo fare con la.piccola dicendomi che sono una persona che vuole fare troppe cose nuove…mi hanno distrutta ma io vorrei non distruggessero anche lei col.mio aiuto …aiutatemi