La maniera in cui allattamento e svezzamento vengono condotti può influenzare il benessere psicologico del bambino una volta diventato adulto?
Allattamento e svezzamento sono davvero momenti così delicati e determinanti nella vita dell’individuo?
Personalmente me lo sono chiesta una miriade di volte e la mia scelta decisa di seguire l’alimentazione complementare a richiesta probabilmente dice già da sola che risposta mi sono data.
Di questo argomento ci parla oggi la Dott.ssa Silvia Garrozzo, psicologa e psicoterapeuta e autrice di “Psicoecologia – Salute mentale, downshifting e decrescita felice“, in questo estratto del suo libro, un paragrafo interamente dedicato all’allattamento e allo svezzamento.
Buona lettura, ci risentiamo nei commenti con le vostre riflessioni a caldo, secondo me c’è molto da dire.
- Il rapporto col cibo (e i DCA – disturbi del comportamento alimentare)
Facciamo un [altro] esempio: i bambini ed il cibo (a proposito di sviluppo di dipendenze su cui ci dilungheremo maggiormente negli ultimi paragrafi di questo testo). Il primo rapporto con il cibo lo si stabilisce da neonati, con l’allattamento prima, con il divezzamento poi. Parlo appositamente di divezzamento e non di svezzamento. Il termine svezzamento viene da vizio. Come se l’allattamento materno per un neonato fosse un vizio. La premessa mi sembra già palesemente sbagliata. Si parla di divezzamento invece perché ormai da anni l’Organizzazione Mondiale della Sanità (quindi la voce più autorevole) indica in situazioni normali (in bimbi non prematuri ed in grado di alimentarsi sostanzialmente) l’allattamento materno esclusivo ovvero (senza altri cibi aggiunti) fino a 6 mesi e poi almeno fino a due anni di età come alimento PRINCIPALE con l’aggiunta di altri cibi solidi. Quindi si è inserito il termine divezzamento.
Questi due momenti, allattamento e divezzamento, vengono sottovalutati grandemente ed a volte appositamente poiché medici, ostetriche e voci comuni varie, un po’ per ignoranza un po’, e questo è ancor peggio, per interesse (le case farmaceutiche per anni hanno campato con il latte artificiale, omogeneizzati, liofilizzati vari) indicano alle madri di trattare i bambini come se fossero tutti uguali. Ci si scoraggia subito di fronte alle prime difficoltà nell’allattamento. Il biberon è sempre dietro l’angolo. Le madri difficilmente vengono aiutate ad allattare. Si dà la tetta ad orari, il biberon ad orari. Esiste una lista dei farmaci compatibili con l’allattamento. Molti medici non la conoscono nemmeno. Così ad una madre che debba prender farmaci si dice subito: “va bene, smetta di allattare”. Piuttosto che cercare dei farmaci compatibili. A 3 mesi si iniziano a dare omogeneizzati di frutta. A 6 mesi latte artificiale. Si vedono bimbi totalmente impreparati. E poi spesso non si conosce proprio la fisiologia dell’allattamento. La stessa indicazione di allattare ad orari è per lo più contraria al funzionamento del corpo umano. Il bambino SA quando deve mangiare (o bere, perché il latte è tutto) e la madre SA quando deve allattare. Il seno di una madre a volte inizia a spruzzar latte appena essa sente il pianto di un neonato. È un riflesso. Ma noi no, le diciamo, mi raccomando non prima di 3 ore. Invece, il latte viene digerito al massimo in un’ora, di norma. E se quel bambino in quel momento ha più fame? O sete? Sempre nella solita giungla si mangia quando si ha fame e si beve quando si ha sete. Non ci sono tutte queste convenzioni sociali. Inoltre, sfido chiunque a dire ad un adulto: “ah, hai fame. Eh ma è presto, puoi mangiare tra due ore. Hai sete? Tra 3 ore.”. Mah! E poi il latte artificiale, per quanto siamo bravi, non siamo riusciti a farlo come il latte materno. Il seno produce latte quanto ne richiede il bimbo e nella composizione che serve al bimbo. A quel bimbo in particolare in quello specifico momento. Allora succede questo: se si allatta ad orario il nostro seno produce meno latte perché non stimolato dal bimbo e il bimbo, giustamente, si arrabbia e piange. I pediatri (non tutti, quelli ignoranti in merito di fisiologia dell’allattamento che però sono molti) ci dicono: ma signora il bambino ha fame (ma va?) il suo latte non basta (certo non me lo fai dare quando serve) diamogli la famosa aggiunta. Gonfiamo questi bambini di latte artificiale (loro disperati lo bevono poiché sono affamati ma preferirebbero la tetta), non hanno fame, non chiedono la tetta, si produce sempre meno latte, il bambino ri-piange, altro latte artificiale. Non mi dilungo oltre perché gli errori sono talmente grandi e tanti che è bene leggerli su un apposito libro. Carlos Gonzales (pediatra spagnolo) in “Un dono per tutta la vita” spiega benissimo l’argomento.
Fatto sta che noi così maltrattiamo e mal educhiamo, mi si passi il termine, genitori e bambini.
Così proprio quando il bambino ha la prima occasione di imparare a riconoscere quando ha fame e quando non ne ha più, non ci capisce più nulla. Quando piange per questa strana sensazione nessuno gli dà nulla. Poi a volte arriva del latte. Se il bambino è fortunato il latte è quello di mamma che oltre ad essere il miglior alimento che potrebbe avere ha anche sapori diversi a seconda di ciò che la mamma può mangiare. Ma si dice alla madre di non mangiare questo, e di non mangiare quello. Se ne sentono proprio di tutti i colori. Se mangia i cavolfiori al bimbo vengono le coliche. Ma come dovrebbe avvenire questo scambio gassoso? La madre ingerisce cavolfiori, nel suo intestino si sviluppa del gas. E come ci arriva nel seno??? Se ci pensiamo è assolutamente ridicolo. Eppure. Eppure è così. E allora le madri vengono spinte a mangiare solo alcune cose. E se poi cambia il gusto del latte? Se cambia il bambino impara a capire cosa gli piace e cosa non gli piace. Ci sembra un gran danno? No, è una necessità. Il latte materno serve anche a questo. Come serve a passare gli anticorpi dalla madre al bambino. Quando il latte gli viene dato ad orari, il bimbo lo prende, certo, ma non riesce bene a distinguere la sensazione di fame da quella di sazietà. Col divezzamento poi, dovrebbe imparare a conoscere, distinguere e scegliere consistenze e sapori. No. Di nuovo glielo neghiamo. Si fanno pappine iper-tritate sempre della stessa consistenza, sempre ad orari, spesso totalmente insipide. Alcuni pediatri vorrebbero addirittura stabilirne una quantità standard che il povero bimbo dovrebbe ingurgitarne. Si iper-tritano anche perché si danno troppo presto. Se si seguisse l’O.M.S. e le esigenze del singolo bambino tutto ciò ovviamente non sarebbe necessario. Ma poi le case produttrici di omogeneizzati su cosa guadagnerebbero? Il bambino ha un riflesso per non strozzarsi ingerendo cose estranee (estranee dal latte materno, si intende) che è quello di ipersalivare e tirar fuori la lingua. Fino a quando esiste questo riflesso e il bambino non sta eretto con la schiena nella posizione seduta (cosa che in genere avviene dai 6 mesi) il bimbo non è pronto ai cibi solidi e cioè diversi dal latte materno. Poi bisogna vedere il singolo bambino. Perché i bimbi, e anche questa è una verità semplice che però è necessario ristabilire, non sono tutti uguali (né più né meno come gli adulti). Chi sviluppa prima su certi aspetti, chi dopo.
Adesso, riflettiamo su tutto questo. Su come ci viene chiesto di deviare il rapporto con il cibo già alla nascita. E pensiamo alla quantità di disturbi alimentari e di problemi di peso che abbiamo nell’era dei consumi. Davvero crediamo che questi due elementi non siano connessi tra loro? Ecco, io no. Io sono fermamente convinta invece che siano strettamente collegati. Ma certo per confermarlo abbiamo bisogno di studi longitudinali (che prendono cioè lunghi archi di vita delle singole persone), e quindi dovremo aspettare molto tempo. Nel frattempo, ce la sentiamo di rischiare ancora? Perché di disturbi alimentari ne vediamo tantissimi. Vogliamo continuare a rischiare di provocarne altri? Vedo spesso in terapia madri preoccupate perché i figli non “gli” mangiano. Quando poi chiedo loro di enunciarmi i cibi e bevande ingerite dal figlio nella giornata si scopre che mangiano eccome, eppure stanno in piedi e bene.
Alle “diete” date dai pediatri per divezzare, con inseriti nell’ordine i vari alimenti a seconda della loro allergenicità, si vede oggi sostiuire l’autosvezzamento. Anche qui lo abbiamo dovuto dismettere per poi capire che la natura aveva fatto bene prima e quindi reinserirlo. Poi ovviamente ci sono casi di bambini realmente inappetenti e con scarso accrescimento, come ci sono realmente casi in cui la madre non ha latte (una percentuale esigua, lo abbiamo detto) e realmente casi in cui è bene dare latte artificiale (i bimbi prematuri per esempio a volte non ce la fanno proprio a ciucciare) o omogeneizzati. Ma iniziamo a distinguere.
Quello che di sbagliato si impara da piccoli nel rapporto con il cibo si rispecchia in modo esatto da adulti nei DCA (disturbi del comportamento alimentare). Laddove la diseducazione ottenuta così da bambini si incontra con una fragilità personale, con storie familiari difficili e con i dettami dell’era moderna si sviluppa una dipendenza che ha come oggetto il cibo. Non si riconosce più il senso di fame e sazietà. Il cibo diviene una merce di scambio con un messaggio di dipendenza relazionale. Si diviene dipendenti. Non si mangia per vivere ma si vive per mangiare o per non mangiare. A questo si aggiunge sempre nell’era consumistica, l’attenzione per l’esteriorità e quindi le immagini date dai mass media di donne e uomini sempre più uguali l’uno all’altro, omologati, magri, tonici, “perfetti”. Come i bimbi, le madri e i padri anche devono essere tutti uguali. Liberi di potersi occupare di questa eterna corsa al guadagno, al consumo, all’uniformazione. E allora di nuovo, per sentirsi fintamente bene, bisogna adeguarsi. Fino agli orrori, come per esempio avviene con la chirurgia estetica e la dismorfofobia, esempi su cui torneremo più avanti.
“Psicoecologia – Salute mentale, downshifting e decrescita felice” Dal consumismo al recupero dei valori, dalla malattia mentale vissuta come altro da noi alla comprensione delle dinamiche psicosociali che determinano le più comuni sintomatologie moderne, ad un’idea di cura che passi per uno stravolgimento dei valori culturali e dello stile di vita di tutti noi. La teoria esposta e denominata Psicoecologia si inserisce nello stesso filone storico-economico-filosofico e socioculturale del downshifting e della decrescita felice. A partire da un’analisi sullo stato della Scienza Psicologica oggi, si passa ad analizzare la relazione tra l’individuo ed il periodo storico attuale analizzando questa relazione nelle diverse fasi della vita. Vengono raccolti vari esempi di problematicità personali e sociali e disturbi mentali e le loro connessioni con le storie familiari e sociali dei soggetti che ne sono portatori.
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20 risposte
Barbara a che punto siete a 11 mesi?
Condivido in pieno.Certe affermazioni si motivano e trovo che manchi del tutto un approccio psicologico alla questione.Ma tutti a dire che bello.Boh,occhio…
Condivido Francesca… spunti interessanti e osservazioni condivisibili su allattamento e svezzamento, ma vista la professione di chi scrive mi sembrano valutazioni quantomeno banali quelle su come si sviluppa un disturbo alimentare, che ha radici psicologiche molto più complesse di come si evince dall’articolo. L’unico cenno (ma appunto un cenno per nulla approfondito) è nel significato relazionale che può assumere il cibo, ma detta così vuol dire tutto e nulla. Oltretutto a mio avviso buttare lì questa correlazione tra modalità di allattamento e svezzamento con eventuali disturbi alimentari, senza alcuna spiegazione, può anche spaventare alcune mamme rispetto ai propri comportamenti (tipo quelli descritti nell’articolo, di allattare con biberon o svezzare precocemente e con cibi industriali) che di per sé, se non in presenza di molti altri fattori più complessi, non hanno nulla a che vedere con lo sviluppo futuro di disturbi alimentari.
L’articolo dice cose giuste,ma dette da una psicoterapeuta le ritengo supeficiali.Non c’è una correlazione netta tra svezzamento e disturbo alimentare,o almeno non spiega in che modo ci sia questo legame.Non so il resto del libro come sia,ma questo stralcio non mi piace,mi sembra abbia preso esattamente le linee guida di Piermarini e le abbia buttate lì.
questo è da stampare e appendere come poster!!!!
Ooh allora il mio mantra ‘fino all’anno puo’ vivere solo di latte’ posso upgradarlo a ‘fino a 2 anni puo’ vivere solo di latte’ ? No perche’, visto al punto in cui siamo a 11mesi… 🙂
Potrei averlo scritto io! Sono cose che ho sempre detto e sostenuto!
Silvia mi sei piaciuta!
Articolo che fa centro …e se noi mamme siamo qui e ci mettiamo in dubbio e cerchiamo consigli per migliorare credo sia già un buon punto di partenza…
come non essere d’accordo?