Quando qualcuno mi scrive raramente lo fa per dirmi che va tutto bene (anche se di tanto in tanto per fortuna accade), ma più spesso perché ha dei problemi e cerca aiuto per risolverli. Proprio ultimamente, sia tramite la newsletter che sulla pagina Facebook, ho ricevuto molti messaggi che una volta analizzati si possono riassumere in tre, o quattro, parole (vedi immagine 😀 ):
Parliamo di “proposte” e “aspettative”.
Prima di continuare puntualizzo due cose:
1) so che molti, moltissimi bambini non danno problemi, mangiano tutto quello che gli si mette davanti, si adeguano ad orari, schemi, tabelle, ecc. tuttavia quello che segue è perfettamente applicabile in tutti i casi, anche nel caso di bambini “accondiscendenti”;
2) alcuni genitori dicono che se non mettono in atto certi “metodi” il bambino non mangia, mentre con “poco” sforzo ottengono il risultato da loro desiderato. In quei casi rispondo: “è nato prima l’uovo o la gallina”? Ovvero il genitore premuroso si comporta così per venire incontro a un’esigenza del bambino o il bambino accondiscendente si comporta così per rispondere a un’esigenza del genitore? Impossibile saperlo per certo, ma io parto sempre dal presupposto che un bambino non si lascia morire di fame e che è comunque in grado di sviluppare da solo il senso di fame e di sazietà.
Premesso ciò analizziamo i possibili problemi che spesso ci creiamo da soli e vediamo come risolverli.
Problema 1:
Le aspettative
Avere aspettative non è mai una buona idea. Se poi parliamo dell’alimentazione dei nostri bambini, decidere a priori quanto dovrebbero mangiare è davvero controproducente… se cerchiamo guai, state certi che questo è il modo migliore per trovarli. 🙂 Purtroppo però gli schemi per lo svezzamento che indicano le “dosi” di pappa che vanno “somministrate” vanno ancora per la maggiore e fin tanto che la mentalità dei pediatri (e dei genitori) non cambia le cose non miglioreranno. Ho usato parole quali “somministrato” e “dosi” non a caso in quanto le vedo usate comunemente sia dai genitori che dai pediatri e sono sintomatiche di un certo modo di pensare.
L’altro giorno mi ha scritto una mamma chiedendomi lumi su come procedere perché il bambino non si atteneva alle “dosi” di latte e pappa “prescritte” dal medico per il figlio di 5 mesi. A sentire il pediatra, a quest’età…
…i pasti del bambino sono CINQUE:
1°: LATTE + BISCOTTO GRANULATO
2°: MINESTRINA
3°: FRUTTA + LATTE
4°: LATTE + BISCOTTO GRANULATO
5°: LATTE + BISCOTTO GRANULATO
Da notare che altrove nello stesso documento veniamo informati che la minestrina è composta da 250 g di brodo più vari ingredienti aggiunti sui quali è inutile dilungarsi.
Diciamoci la verità: fornire regole di alimentazione così precise davvero vuol dire mettersi in un vicolo cieco. Fin tanto che il bambino accondiscende adeguandosi a quanto scritto, va tutto bene, ma se comincia a voler mangiare di più o di meno, più o meno spesso, se a cinque mesi non è interessato ai solidi (intesi come non-latte), se preferisce mangiare sapori o consistenze diverse da quelli indicati, ecco che cominciano i problemi. E questi sono davvero problemi inutili che non dovrebbero sorgere.
Purtroppo il modo di operare di alcuni pediatri non lo possiamo cambiare, ma possiamo cercare di rendere la vita più facile ai genitori.
Soluzione -> Non aspettarsi niente
- I bambini in media tra i 5 e i 7 mesi cominciano di loro spontanea volontà a mangiare i solidi, per cui non è necessario, né costruttivo fornire un calendario. Sappiamo che il bambino sarà pronto a mangiare i solidi, intesi come “non latte”, quando
- Riuscirà a stare seduto da solo
- avrà perso il riflesso di estrusione
- mostrerà interesse per il cibo
per cui concentriamoci su questi aspetti e mai sul calendario.
- Le quantità di cibi che i bambini mangiano variano moltissimo… alcuni spizzicheranno altri mangeranno subito come lupi. Entrambi questi comportamenti, e tutto le gradazioni intermedie, sono normali, per cui è inutile decidere a priori che il bambino dovrà mangiare un tot di questo e un tot di quello.
- I sapori e consistenze che il bambino prediligerà saranno frutto di una scelta individuale (chiaramente guidata da quello che i genitori gli mettono a disposizione), ma fissarsi solo ed esclusivamente su una cosa può essere potenzialmente una pratica rischiosa in quanto i gusti cambiano dalla sera alla mattina.
Tanto per dare un esempio pratico, nel nostro caso figlia 2 ha cominciato a mangiare quasi da subito come un lupo, MA:
- ha cominciato davvero solo verso i 6,5 mesi, nonostante ciucciasse frutta dai 5 mesi
- ha sempre aborrito cose semi/liquide fino ad almeno i 2-3 anni
- doveva fare da sola
per cui nel suo caso lo svezzamento tipo quello del pediatra dell’esempio in alto sarebbe stato molto probabilmente fonte di frustrazione infinita per tutti, sia grandi che piccini. Certo non tutti i bambini sono come quelli di casa nostra, ma quanti sono quelli che non si trovano a loro agio con lo schemino che i genitori hanno deciso di seguire? In altre parole, quanti bambini si sono trovati a dover lottare a ogni pasto perché le aspettative dei genitori (o dei pediatri) non erano quelle giuste PER LORO?
Ai lettori abituali di questo sito tutto ciò sembrerà ovvio, ma chiaramente, a giudicare dalle email che riceviamo, non lo è.
Eliminiamo le aspettative!
Problema 2:
Le proposte
Di recente ho ricevuto un’email da una mamma che dice:
Mia figlia … sta passando un momento di inappetenza, le minestrine che prima gli piacevano non piacciono più e la voglia di assaggiare sembra proprio sparita (di già???).
Oggi poi le ho fatto la pasta con pomodoro e verdure e dopo i primi 3 cucchiai mandati giù con gusto ha vomitato tutto quello che aveva mandato giù!!!!
Qualche giorno fa ho provato con i tristi omogenizzati (visto che la carne preparata da me non le andava più) ma dopo 2 giorni andati abbastanza bene oggi non andavano giù neanche quelli!
Le ho dato il parmigiano (che le piaceva) ma con le manine cercava di allontanare le mie e prendendolo in mano lo sbriciolava e lo buttava via!
Dove sto sbagliando?
E successivamente:
… oggi è stato un altro fallimento!
…
Non voglio forzarla ma neanche farla morire di fame…
Dov’è possiamo identificare il problema? Nel bambino che non mangia? Possibile, ma allora bisogna scoprire la causa di questo disturbo e non limitarsi a curare il sintomo. I bambini sappiamo che non si lasciano morire di fame.
Nella madre? Lei chiaramente vuole fare solo il meglio per il bambino, ma i segnali che le arrivano (dal bambino e molto probabilmente da altri) la confondono.
A mio avviso il vero problema è nell’approccio (quasi) universalmente accettato come valido: il bambino non mangia, allora propongo qualcos’altro e, in modo più o meno sottile, insisto fino a che non mangia almeno un po’. In altre parole il problema è nella “proposta”.
Facciamo un esempio:
prendiamo un commerciante che è specializzato in coperte di lana. La sua merce è di ottima qualità, fa prezzi concorrenziali, e il negozio è in un buon punto della città ed è ben arredato. Peccato che si trovi a Napoli e che ora sia estate… neanche a dirlo il poverino passa le giornate a girarsi i pollici, mentre il negozio accanto, specializzato in costumi da bagni e creme solari, fa affari d’oro.
In altre parole, puoi offrire la cosa migliore dell’universo, ma se non c’è richiesta non fai altro che perdere tempo. Puoi fare pubblicità, puoi spiegare alla potenziale clientela i benefici, tutti sicuramente veri, della tua merce, ma se fuori fanno 40 °C nessuno sarà interessato alle tue coperte di lana. Magari potrai effettuare una vendita qui e una là, ma queste da sole non giustificheranno l’impegno messo. Le unica cosa che potrai fare è aspettare che la richiesta del pubblico per la tua merce aumenti, ovvero che venga il freddo, e sperare che nel frattempo tu non abbia già scocciato tutta la potenziale clientela con le tue continue proposte.
Quanti di noi non entrano in un determinato negozio per paura di essere “presi d’assalto” dai commessi e preferisce fare la spesa al supermercato? 🙂
Soluzione -> Smettiamo di “proporre” e attendiamo la “richiesta”
Se l’appetito scema, qualunque sia il motivo, la soluzione non è nel cercare di invogliare il bambino a mangiare di più, ma nel diminuire le porzioni e astenersi dal “proporre” questo o quello. In altre parole, se il bambino non vuole mangiare (le quantità che il genitore o chi per lui ritiene giusto) la strategia migliore è di non fare niente…
Mi rendo conto che sia più facile a dirsi che a farsi, ma se a mente fredda ci si riflette un minuto vi troverete d’accordo che sia davvero l’unica cosa logica da fare; dopo tutto se te, adulto, continuassi ad essere ossessionato da tua madre perché, a suo dire, non mangi abbastanza, non le chiederesti di lasciarti stare e che solo TU sai quanta fame hai?
Ma vediamo cosa succede all’atto pratico e prendiamo un bambino, non necessariamente all’inizio dello svezzamento, al quale vengono messi davanti un piatto (sia che si parli pappe, pezzetti, cibi dei genitori o babyfood poco importa); il bambino comincia a dare una spiluccata mezzo interessato e poi smette. Allora il genitore, armato di tutte le buone intenzioni di questo mondo, prova con qualcos’altro, ma il risultato non cambia. All’arrivo di una terza proposta il bambino, spazientito, si mette a piangere. Il giorno dopo e quello dopo ancora si ripropone la stessa trafila. Al quarto giorno parte la richiesta di aiuto da parte del genitore.
Se invece alla diminuzione della domanda c’è una corrispondente diminuzione dell’offerta ecco che magicamente scompaiono tutti i problemi, il genitore non si fa assalire dall’ansia (almeno per il momento…) e dopo poco, di solito nell’arco di qualche giorno, la richiesta comincia ad aumentare di nuovo.
Questa è una situazione dove tutti vincono:
- il bambino perché si rende conto che i suoi desideri vengono rispettati,
- il genitore che non si fa assalire dall’ansia e
- il portafogli, perché non bisogna buttare via il cibo.
Se invece si continua a proporre e a proporre e a proporre di sicuro il bambino farà vedere i sorci verdi al genitore il quale risulterà essere l’unico vero sconfitto.
Prima che arrivino fiumi di commenti di genitori che dicono che con un minimo di spinta i figli mangiano tutto il dovuto, ripeto che quand’anche fosse così che bisogno c’è di continuare a proporre? Non è meglio assicurarsi che il bambino sviluppi un rapporto con l’alimentazione tale da riuscire sempre a riconoscere i segnali che il suo corpo manda e che richiedono o rifiutano cibo? OK, il bambino non mangia, ma siamo sicuri che ci sia un problema?
Da notare che tutto ciò NON vuol dire minimamente viziare un bambino, ma semplicemente rispettare quelle che sono le sue richieste e i suoi bisogni.
Il vizio si instaura se il genitore insiste, insiste, insiste e insiste con le “proposte”… ma poi cede (e poi se la vede con le aspettative mancate…)
Dopo tutto chi ha bisogno di una coperta di lana a Napoli in piena estate? Ben pochi:)
Eliminiamo le proposte!
68 risposte
La quantità la gestiscono loro, io sono dell idea che se hanno fame mangiano, se non ne hanno non mangiano. ..mangeranno! Magari se la proposta non la gradisce la rivisto in chiave diversa, o la ripropongo poi più in là! O semplicemente la sostituisco! Cerco di assecondare i loro gusti.
Meno male hai spiegato benissimo un concetto che condivido a pieno e nn ho saputo esplicarlo altrettanto bene!!
L’importante è commisurare la “proposta” alla “richiesta” e non pensare di fare l’opposto. Se la richiesta tende a zero, anche la proposta deve essere zero. /A.
Infatti nel punto 2 il modo di reagire del bambino (continui no) e’ una sua “chiara richiesta” di essere lasciato in pace per almeno un po. Proporre non vuol dire insistere.
La manu, sì hai ragione, ma mi volevo concentrare più su situazioni tipo queste:
1) inizio svezzamento, io propongo e propongo, ma lui non ne vuole sapere
2) Svezzamento avviato, ma ora non vuole più mangiare. Io propongo 20 cose diverse, ma lui non ne vuole neanche una.
In altre parole mi soffermo su quando manca la richiesta e il genitore invece di ridurre l’offerta, l’aumenta nella speranza, a mia avviso vana, che conduca a un aumento della richiesta (vedi coperte di lana d’estate e venditore che ti assilla 🙂 )
Completamente diverso è invece provare qualcosa di nuovo che può piacere o meno, sia a grandi che piccini 🙂 /Andrea
secondo me quello della proposta è un falso problema, ovvero è un problema solo se si presenta contestualmente all’aspettativa…
Provo a spiegarmi meglio.
io, madre, donna adulta, che ha una certa esperienza di vita, conosco un numero di piatti che ipotizziamo sia pari a 10.
Mio figlio di questi piatti, sempre per assurdo ne conosce 2.
Come potrebbe “chiedere” qualcosa di cui non ha coscienza?
E’ più probabile che per noia smetta di mangiare anche quei due piatti, e questa reazione potremmo interpretarla come una richiesta passiva, ma a me le cose passive non piacciono 😀
Quindi secondo me è giusto proporre, a patto di saper accettare anche un rifiuto alla nostra proposta, senza per questo sentirci rifiutate noi nel nostro ruolo di dispensatrici d’amore anche tramite il cibo 🙂
Una delle frasi che mi piace di più è che i nostri figli hanno opinioni, a noi spetta la proposta, a loro la scelta.
Grazie! Post illuminante. Da un paio di giorni rifletto sulla questione. Il fatto è che, senza scomodare le teorie degli psicologi ma parlando di sentimenti personali, da sempre la mamma è colei che nutre. Quando il bambino non mangia quello che lei ha preparato – come quando l’allattamento è in fase di rodaggio, in altre fasi – si agita qualcosa di ancestrale nel cuore di mamma. E’ difficile controllarlo…
Claudia EleonoraBisogna saper distinguere le cose patologiche dalle fisiologiche, e non sempre è facile, soprattutto se gli operatori sanitari e/o la famiglia ti remano contro.
Se, ad esempio, l’allattamento non va perché l’attacco non è buono allora devi correggere l’attacco. In quel caso la richiesta c’è, solo non riesci a soddisfarla in modo ottimale.
Se il bambino piange e vuole stare attaccato tutto il tempo… rientriamo invece nella norma (per lo meno per alcuni bambini), anche se non è quello che vorremmo
Se prepari un manicaretto, ma il bambino te lo snobba… porta pazienza:)
andrea_ Claudia Eleonora
Infatti pazienza è la parola chiave…Il primo mese di vita, il bimbo, non si attaccava bene e in tanti a dirmi di dargli l’aggiunta perché aveva fame…e il mio latte c’era…Ho resistito il più possibile e dal secondo mese il bambino ha imparato e siamo ancora qui. Ora devo confrontarmi con i suoi gusti . Il mio post era indirizzato a segnalare che il contesto può aiutare e influenzare, ma è soprattutto l’esperienza della mamma con il cibo che fa la differenza…
Infatti… È l’istinto di sopravvivenza e di mantenimento, che ci porta a preoccuparci e a prestare tantissima attenzione al nutrimento delle nostre creature. Solo che nella nostra società mangiare abbastanza per sopravvivere non è un problema, al contrario. E allora quella parte là di istinto diventa difficile da gestire e va bilanciata con un po’ di fredda ragione 🙂
Infine…c’è tutto un equilibrio da stabilire tra autonomia del bambino ed esigenza dell’adulto di creare un “buon contesto”, con buone abitudini.. un po’ forse voglia di controllare la situazione? Il mio bambino ha quindici mesi e credo che anche sul cibo si dovrà iniziare un discorso educativo…altrimenti non si spiega perché, anche quando “non ha fame”e non mangia pasta o grissini, se per caso vede un’arancia o un biscotto li chiede …ehm..ma questa è un’altra storia
Indubbiamente, Simona Sarti. Spesso tutto quello che serve è guardare le cose da un’ottica diversa ed ecco che un problema scompare come per magia 🙂 /Andrea
Grazie. Cercavo aiuto e cambiare il punto di vista è sicuramente utile.
articolo veramente bello e anche “commovente”. c’è molto amore nella parola rispetto. grande Andrea 🙂