Per prima cosa mi scuso per la lunghezza di questo post fiume che credo sia il più lungo di tutto il sito 🙂
Parlando essenzialmente della natura dei post sponsorizzati, può sembrare a prima vista non strettamente correlato alle tematiche di questo blog, ma se avrete la costanza e soprattutto la pazienza di leggerlo fino in fondo, credo vi convincerete che è attinente.
Scriverlo non è stato facile per la tanta carne che mette al fuoco, ma sono convinto che sia necessario avere una discussione franca e aperta sulla questione dei contenuti sponsorizzati in particolare dei blog su tematiche della famiglia e dei bambini (i cosiddetti mummy blog) per garantire che l’informazione che passiamo ai nostri lettori sia la migliore possibile.
Prendete ora una bella tazza di caffè e cominciamo… 😀
Gestire un sito web, anche se a chi naviga in rete può non sembrare ovvio, porta via moltissimo tempo e costa soldi; potenzialmente tanti soldi. Più visite ricevi più ti porta via tempo e più ti costa, e questo è purtroppo un dato di fatto. Il problema che molti gestori di siti hanno è come poter guadagnare sufficientemente da poter mantenere il proprio sito per giustificare l’impegno che richiede.
Una delle maniere più comuni è quella di fare post sponsorizzati.
Un post sponsorizzato è un post che il blogger scrive, dietro compenso, su un determinato tema indicato dal cliente e che conterrà uno o più link al sito e/o al prodotto che si desidera far conoscere.
Queste forme pubblicitarie si fanno anche su scala più ampia, attraverso campagne mediatiche che coinvolgono più blog contemporaneamente. Le ditte chiedono loro di pubblicare uno o più post sponsorizzati e di farli uscire a scadenze ben precise per massimizzare l’impatto sul pubblico. L’idea è che si generi una specie di tam-tam mediatico, soprattutto se c’è il lancio di un nuovo prodotto.
Il problema è che talvolta spesso non è facile distinguere un contenuto, chiamiamolo, spontaneo da uno sponsorizzato. È possibile che venga richiesto al blogger non di scrivere una recensione o di parlare apertamente di un certo prodotto, ma semplicemente di parlare di se stessi aggiungendo un link pagato da qualche parte nel post senza apparente legame con un prodotto specifico. Facciamo un esempio: il cliente chiede al blogger di trattare l’argomento “cenare al cinese”, dopodiché tu blogger puoi declinare il tema a tuo piacimento, come ad esempio parlare di te e della tua famiglia e delle vostre esperienze con il cibo cinese, corredando il post con fotografie di come vi destreggiate con le bacchette. Nel mezzo del post poi inserisci il link al sito della “Associazione Ristoranti Cinesi in Italia”, che è il cliente (ripeto, totalmente fittizio) che ti ha ingaggiato – e magari ti ha chiesto di non rivelare che eri stato pagato per scrivere questo post.
Parentesi tecnica molto breve: un sito più viene linkato da altri siti, più acquista prominenza sui motori di ricerca. Per questo motivo Google ha stabilito che i link pagati devono essere corredati del cosiddetto “NoFollow” di modo che Google capisca che quello che ha davanti è un link sponsorizzato. Forse questo è il motivo per cui in tanti spingono affinché i post sponsorizzati non vengano dichiarati come tali, in quanto così si evita di dichiarare i link a pagamento “NoFollow”migliorando il posizionamento in rete del sito linkato. Se uno non lo fa non va certo in prigione, ma Google può semplicemente mettere in castigo sia te che il cliente facendo scomparire l’uno, l’altro o entrambi i siti dai motori di ricerca.
Che io sappia al momento non c’è nessuna legge in Italia che obblighi a dichiarare, apertamente e in modo facile da individuare da parte del lettore, che certi contenuti sono a pagamento e a separarli chiaramente da quelli non sponsorizzati. In altre parole, al contrario di altri paesi, ognuno può fare come preferisce. (Se vi interessa potete vedere, a titolo puramente esemplificativo, cosa succede nel Regno Unito qui e qui o in America qui.)
La responsabilità di quello che si pubblica su un blog è solo e esclusivamente del blogger. Il blogger seguirà la linea editoriale che ha scelto per il proprio blog; lui/lei infatti può scegliere se fare post sponsorizzati o meno, può selezionare chi accettare come cliente, quali prodotti proporre e se rendere pubblico che un certo contenuto è a pagamento.
Prassi comune tra alcuni blogger è di giustificare il non rivelare in modo ovvio e trasparente che un certo contenuto è sponsorizzato scrivendo in coda al post una frase quale “in collaborazione con…” pensando che ciò li assolva da ogni responsabilità. Oppure, ancora più nebulosamente, si scrive tra le “tag” del post (che sono le parole chiave che descrivono l’argomento del post e che si trovano in piccolo da qualche parte sulla pagina web; qui le trovate un po’ prima dei commenti) qualcosa del tipo “post sponsorizzato“, “sponsor” e cose simili.
Segnalare un post sponsorizzato in questa maniera è chiaro? È sufficiente? È trasparente? No.
Che il post che sto per leggere sia sponsorizzato è, per me lettore, un’informazione essenziale e deve essere messo in chiaro in maniera inequivocabile prima del post stesso e non essere nascosta in piccolo in fondo alla pagina dove l’occhio non arriva (più avanti metto qualche esempio).
Espressioni dal significato chiaro e lampante, quali “post sponsorizzato da…”, vanno messe bene in evidenza prima dell’articolo e non alla fine, un po’ come accade per la carta stampata, così da poter dare al lettore la possibilità di scegliere se leggere quel contenuto o meno e, cosa più importante, consentirgli di leggerlo con l’appropriata chiave di lettura.
Sicuramente in molti settori mescolare contenuti sponsorizzati con quelli “spontanei” è prassi comunemente accettata – leggo ad esempio che in tanti si lamentano dei fashion blog – e non so quale sia quello più colpito, ma certamente i cosiddetti “mommy blog” non ne sono esenti, anzi…
Ciò che complica la questione è che se in un blog di moda puntano a farmi comprare, che so, un paio di scarpe, in uno di mamme le discussioni vertono quasi esclusivamente sui bambini e molto spesso le sponsorizzazioni riguardano la nutrizione (uno dei temi più sensibili, del resto, no?) ovvero baby food e latte artificiale per i piccoli, e merendine o snack per quanto riguarda i bambini più grandi.
Fare da portavoce a una sciarpa o a un paio di guanti è una cosa, ma accettare di mettere la propria reputazione al servizio dell’industria dell’alimentazione, a partire dalla prima infanzia fino all’adolescenza, è un’altra. Se da una parte possiamo disquisire se sia giusto pubblicizzare in modo surrettizio un negozio di abbigliamento, accettare sponsorizzazioni (nascoste o meno) da latte artificiale, omogeneizzati o merendine ha conseguenze concernenti la salute pubblica che non possono essere trascurate e che aggravano le già gravi implicazioni di carattere morale per la pubblicità non dichiarata.
Questo è particolarmente vero per il latte artificiale.
La nuova campagna Mellin e i post sponsorizzati
Vi voglio parlare di nuovo della campagna pubblicitaria della Mellin “istinto di mamma” che, dopo il lancio degli spot pubblicitari televisivi (abbiamo parlato dello spot Mellin qui, e abbiamo visto come le pubblicità dei latti di crescita/proseguimento vengano veramente percepite dal pubblico qui), ha investito anche il mondo del Web coinvolgendo diversi blogger. A quanto ho visto tra il 19 il 20 gennaio sono stati pubblicati cinque post da altrettanti blogger; questa la lista completa (se me ne sfuggito qualcuno, me ne scuso… non l’ho fatto apposta) in ordine alfabetico:
Genitoricrescono – Il mio non istinto di mamma
Mamma Felice – La sfida di diventare genitori
Al momento questo link mi apre direttamente il sito Mellin, per cui lo tolgo. Se volete leggere l’articolo di Mamma Felice provate a mettete nel browser questo indirizzo:
www.mammafelice.it/2015/01/20/la-sfida-di-diventare-genitori/
Così dovrebbe funzionare.
Se ci sono problemi con i link fatemi sapere immediatamente.
Ricomincio da quattro – Istinto materno? Forse, non subito
Sweet as a candy – Fidati del cuore
The yummy mom – Cos’è l’istinto materno
Tra tutti questi post l’unico che dichiara subito apertamente di essere sponsorizzato è quello di Genitoricrescono in quanto immediatamente sotto al titolo c’è una casellina blu con la scritta in bianco che dice “sponsor” (vedi figura)
MammaFelice dichiara che il post è sponsorizzato in modo criptico posizionando una dicitura molto dopo la fine del post all’interno delle tag di cui parlavamo poco sopra, per cui all’atto pratico nessuno lo noterà (in figura si vede la fine del post e lo spazio prima di trovare “contenuto sponsorizzato”).
Yummy mom non ha messo alcun link, quindi in teoria non so se si possa parlare davvero di articolo sponsorizzato; che sia una semplice svista?
Gli altri articoli non mi pare abbiano alcun riferimento al fatto che ci troviamo di fronte a un post scritto a pagamento. L’unico indizio che abbiamo a disposizione sulla vera natura di quello che leggiamo è che tutti finiscono con la dicitura “in collaborazione con Mellin Fidati del cuore“, con link verso la pagina della Mellin (che volutamente ometto).
È sufficiente dire “in collaborazione” per far capire la natura di quello che stiamo leggendo? In teoria sì, almeno a leggere il dizionario Treccani che dice, tra le altre cose:
Collaborazione: 2. Nel diritto del lavoro, obbligo che ha il prestatore di lavoro subordinato di prestare la propria attività manuale o intellettuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore; o, con visione bilaterale, l’unione degli sforzi delle due parti del rapporto di lavoro per il raggiungimento di un fine produttivo comune.
In pratica però sono convinto che il lettore casuale non coglierà la sottigliezza che il contenuto che sta leggendo è sponsorizzato. Ma soprattutto la dicitura si trova alla fine del post e non all’inizio, quindi volenti o nolenti siamo stati esposti a un contenuto pubblicitario senza che potessimo scegliere se leggerlo o meno.
Che differenza fa se un articolo è sponsorizzato o meno? Dopo tutto quello che conta è il contenuto, no?
Certamente vero, ma facciamo un esperimento. Qui di seguito riporto alcune frasi prese dai vari articoli:
– Genitoricrescono
[…] neomamme: non avete i superpoteri e non siete insostituibili.
Siete essenziali, determinanti, ogni errore lascerà il segno, così come ogni vostra azione. Ma siete, fortunatamente, sostituibili.
[…] Quando sarete schiacciate dal senso di responsabilità, dall’incomprensione, dal dubbio, vi renderete conto che l’inesistenza dell’istinto materno come unico, invincibile legame nella relazione con vostro figlio, sarà un enorme sollievo.
Ora provate a leggere lo stesso passaggio così (immaginate in sottofondo il narratore, rigorosamente maschio e dalla voce autorevole, che a ogni frase vi ricorda chi ha sponsorizzato quello che leggete…):
[…] neomamme: non avete i superpoteri e non siete insostituibili. (In collaborazione con Mellin Fidati del cuore)
Siete essenziali, determinanti, ogni errore lascerà il segno, così come ogni vostra azione. Ma siete, fortunatamente, sostituibili. (In collaborazione con Mellin Fidati del cuore)
[…] Quando sarete schiacciate dal senso di responsabilità, dall’incomprensione, dal dubbio, vi renderete conto che l’inesistenza dell’istinto materno come unico, invincibile legame nella relazione con vostro figlio, sarà un enorme sollievo. (In collaborazione con Mellin Fidati del cuore)
Improvvisamente quello che poteva essere un pensiero condivisibile, ma certamente interessante, acquista una connotazione davvero sinistra e manipolatrice.
– Sweet as a candy
Ogni bimbo è a sé, ogni mamma è a sé e ciò che conta è solo il proprio cuore.
Nonostante il messaggio sia più positivo e per molti versi scontato, l’approvazione della Mellin che ci dice di “fidarci del cuore” fa diventare il tutto sospetto… Cosa devo pensare se una ditta di latte artificiale e baby food mi dice di “fidarmi del cuore”? Cosa si aspettano che io faccia? Presumo che se il mio cuore mi dice di comprare un barattolo di quello_che_vi_pare devo seguire il mio cuore e faccio sicuramente bene… Dopo tutto la loro campagna dice che la mamma di Amelie ha trovato la tranquillità nella scatola blu.
Avete mai riflettuto, quando lo slogan dice “fidati del cuore”, a quale cuore stia facendo riferimento la pubblicità? A quello della madre o a quello della Mellin? Dopo tutto questo è il logo Mellin…
– Ricomincio da quattro
Istinto materno? Si vende al supermercato?
Questo è la frase che si trova all’inizio del post… Sembra una presa in giro, ma non lo è. Certo mi sorprende gli editor non abbiano cambiato quella frase; gli sarà sfuggita (sì, in caso non lo sapeste, i post vengono approvati dagli sponsor prima della pubblicazione). Ma appena leggi che è stato fatto “in collaborazione con Mellin” la domanda assume un tono degno della miglior satira, anche se molto probabilmente inconsapevole.
– Mamma Felice
Forse è stata questa la mia sfida di madre più potente: imparare a gestire la mia umanità, capire che dentro di me ci sarebbe sempre stata questa dicotomia tra la madre perfetta e la madre migliore per mia figlia
Anche qui, mettiamo in coda a questa frase il nome dello sponsor e una frase normale e perfettamente condivisibile diventa un tentativo di sminuire e manipolare il lettore, manipolando al tempo stesso lo scrivente che utilizza la propria esperienza e la propria faccia per dare credito a una campagna pubblicitaria.
– Yummy mom
Io credo che l’istinto materno sia la capacità di spegnere il cervello di fronte ai numerosi consigli non richiesti, metodi a prescindere (ottimi spunti ma mai verità assolute) e mettersi ad osservare il proprio bambino, ascoltarlo e capire di cos’ha bisogno.
Insomma, sapete quello che dovete fare…
L’articolo con o senza sponsor assume una valenza e un significato del tutto diversi e una volta scoperto chi ha pagato per farlo pubblicare è impossibile leggerlo con gli stessi occhi.
In questi post entra sempre lo scontro tra “perfezione” e “realtà”. La perfezione è rappresentata dall’allattamento, la realtà è racchiusa nella scatola blu e la mediazione tra le due è offerta dall’istinto di mamma che ci dice di fidarci del cuore. Dopo tutto nessuno può illudersi di essere perfetto.
La reputazione del blogger
La Mellin nello scegliere il “tema” da far svolgere alle blogger è stata molto accorta, dopo tutto che c’è di male ad avere 5 mamme che parlano delle loro esperienze? Come se ciò non bastasse e per personalizzare ancora di più il messaggio, 4 su 5 blogger hanno deciso (di loro spontanea volontà?) di utilizzare foto di famiglia per illustrarlo, così abbiamo madri con figli, madri con figli appena nati, figli più o meno grandi, ecc. Insomma, non solo hanno prestato la reputazione del loro blog a questa campagna, ma ci hanno messo letteralmente il loro volto e quello dei loro figli. Quindi la campagna “Fidati del cuore” ha così dei testimonial d’eccezione che, per dimostrare quanto ci credono, non esitano a esibire anche le loro famiglie, un po’ come il Santo Padre che pubblicizza con la sua foto un tonico.
Evidentemente il cuore gli dice di fidarsi, ma fanno bene?
Il tema della reputazione è davvero chiave quando si parla di post sponsorizzati: alcune volte la reputazione ti fa vivere di rendita, ma se la perdi…
Sempre su Genitoricrescono un commento dice:
Vi ho eliminato dalla lista dei siti preferiti
mentre un altro apre così:
Uh come lo sento, questo articolo. Anche se è sponsorizzato Mellin […] conosco benissimo la vostra integrità e ciò mi basta.
Cosa intendeva la commentatrice per “integrità”? Forse credeva che l’autrice del post non fosse stata pagata. O che non condividesse il tema della campagna. O forse, e questa è la possibilità che credo più probabile, che se genitoricrescono sponsorizza questa campagna pubblicitaria, allora deve essere meritevole, altrimenti la loro “integrità” ci garantisce che non ne avrebbero parlato.
Personalmente tendo a fidarmi delle persone quindi non ho problemi a credere che le autrici dei cinque post che ho linkato in alto abbiano scritto quei pezzi dicendo davvero cosa pensavano. Anzi, molto probabilmente chi ha venduto loro questa campagna pubblicitaria lo ha fatto convincendole che davvero non c’era niente di male e che la Mellin in questo caso davvero non poteva essere criticata.
Non per mettere Genitoricrescono sotto il microscopio, ma quando l’autrice del pezzo dice nei commenti allo stesso, e in risposta a qualcuno che si lamentava della sponsorizzazione, che
Abbiamo deciso di non parlare di alimentazione. Gli argomenti della campagna saranno a più ampio respiro.
sento il rumore di unghie che cercano di far presa sugli specchi. Non so come si evolverà la campagna (con un po’ di fortuna non mi capiterà di vederla in giro, ma ci credo poco), ma dire che siccome hanno “deciso di non parlare di alimentazione” allora lo sponsor diventa accettabile, fa davvero ridere… L’autrice di cosa pensa che abbia parlato nel suo post? Forse che la Mellin, assieme a latte formulato e baby food, vende anche mobilio e macchinari industriali, per cui riesce a scindere i vari settori del business?
Ricomincio da quattro a una simile critica risponde così:
non credo che sia questione di accostare istinto materno a Mellin, quanto far emergere cosa sia l’istinto materno per ogni donna, io la vedo così. Mellin è un’azienda, un brand, e credo che il messaggio che vuole trasmettere sia davvero “seguite il vostro istinto”. Non ho ricevuto pressioni per scrivere il mio post, ho scritto solo quello che ho voluto davvero penso.
Probabilmente i blog post sono stati scritti prima che la campagna Mellin cominciasse, per cui chi li ha scritti non sapeva bene per cosa o di cosa stesse scrivendo e ora ci si trovano in mezzo loro malgrado. Così proprio come il pubblico viene manipolato tramite lo slogan “segui il tuo istinto”, così anche le mamme blogger sono state portate a credere da chi le ha ingaggiate che questa campagna non fosse quella che veramente era.
Tanto per dire, immaginiamo una campagna dal titolo “Le prime volte” dove un certo numero di blogger descrivono varie “prime volte” dei loro figli. Così parlano dei primi passi, del primo giorno di scuola, del primo giorno passato fuori casa, della prima volta che uscivano da soli, ecc. Poi leggi che lo spot era offerto dalla Marlboro: a che conclusione giungi? C’è niente di male nel post? Dopo tutto la blogger ha parlato della propria esperienza e delle “prime volte” del proprio figlio e non ha mai menzionato né le sigarette né la Marlboro. Forse estendere al concetto di “Prima sigaretta” sarebbe così audace? Credete che sarebbe ardito pensare che si stia tentando di normalizzare il modo in cui i genitori vedono il fumo negli adolescenti?
Tornando alla campagna Mellin, un’idea di cosa parlerà in futuro ce la dà Sweet as a candy che dice:
In questo lungo progetto affronteremo insieme alcuni dei temi più cari a noi mamme: il risveglio, la nanna, la pappa, il gioco, i capricci e più in generale le grandi emozioni nel loro complesso. Sarà un percorso che ci accompagnerà fino al prossimo Autunno.
Oddio… 9 mesi di post sponsorizzati (nascosti)? Tremo al solo pensiero.
Ma abbiamo bisogno davvero della Mellin per parlare di “alcuni dei temi più cari a noi mamme”? La mamma blogger per definizione non dovrebbe parlare proprio di quelle tematiche? Quindi che bisogno c’è della Mellin? Perché Sweet as a candy ha deciso che questo progetto era così meritevole da trasformarsi in uomo-… anzi donna-… anzi… mamma-sandwich da dovervi apporre la foto propria e dei suoi figli?
Il post continua così:
Sono entusiasta ed onorata di far parte di questo team fantastico e vi aspetto in tante sia sul blog che su Facebook per condividere con tutte noi le vostre esperienze.
Evidentemente questa chiusa trionfalistica, in cui sembra che la blogger lo faccia per la gloria – perché appassionata al progetto e senza che ci sia stato alcuno scambio di denaro – è più forte del “in collaborazione con Mellin” in coda, considerato che tra le quasi 40 persone che hanno commentato nel sito e sulla pagina Facebook, forse 2 si sono forse rese conto che quello che leggevano era un post pubblicitario e non un’iniziativa creata e sviluppata da Sweet as a candy e nessun altro.
No, la dicitura “in collaborazione con” non è sufficiente affinché il lettore medio capisca con chiarezza davanti a cosa si trovando.
Solo la Mellin fa campagne con le mamme blogger?
Concludo dicendo che di campagne di questo genere è piena la rete. Basta che andiate a spulciare uno qualunque dei blog che ho citato, vedere i loro posto sponsorizzati e fare una ricerca in rete per trovare articoli simili. Proprio ieri ho trovato un’altra campagna orchestrata in modo simile a quella della Mellin nel mio feed di Facebook…
Di solito non le vedo perché raramente leggo i mummy blog e questa campagna l’ho scoperta perché mi è stato linkato un articolo e da lì ho fatto qualche ricerca.
Per chi fosse interessato, qualche anno fa ho scritto un post fiume sulle mamme blogger omeopatiche (pieno di articoli sponsorizzati non dichiarati, ma quello era il meno) e più di recente si è parlato del medico in camice bianco che girava l’Italia nel tir blu, dove le mamme blogger si univano al medico della Mellin in tournée per l’Italia.
22 risposte
@Alessia , ho cancellato gli altri due commenti. ma ti chiami Maria o Alessia? 😀 😀
Comunque che il post sia sponsorizzato 4 casi su 5 casi NON si capisce. Se anche si capisse in questi 4 casi, io lettore ho il diritto di sapere a MONTE e non a valle (quando oramai il danno è fatto) che il contenuto che mi sto apprestando a leggere è sponsorizzato. Tu non devi pensare con la tua testa dato che sai dove metti il disclaimer, ma con quella del lettore casuale che arriva sul tuo blog per la prima volta.
Per dire, io non so niente di fashion blog; se dovessi trovarmi a leggerne uno come dovrei fare secondo te a distinguere gli articoli “veri” da quelli “pagati”?
Quello che poi non capisco, dov’è il problema a scrivere in grande e chiaramente all’INIZIO del post che quello che segue è un contenuto a pagamento? Mi si risponde, il cliente non vuole che si faccia. Benissimo (anche se da lettore non è un mio problema), ma così si ammette che in qualche modo ci si vergogna di scrivere contenuti sponsorizzati e soprattutto si ammette che si sta mascherandoli.
La mellin proprio l’altro giorno se n’è uscita con un paginone pubblicitario sul Corriere e in tutta onestà se non mi avessero spiegato come funzionava mai avrei saputo dire come si faceva a dire che mi trovavo davanti a una pubblicità gigantesca (anche se era ovvio). Questo per dire che neppure i quotidiani, neanche quelli in teoria più prestigiosi, certe volte danno in buon esempio (ora la faccenda è con il garante).
Avevo scritto un commento ma non so perchè appare qui sotto con un nome e in una forma che non è quella scritta e me ne rendo conto adesso 🙁
Ci riprovo.
Da mamma e da operatore sanitario devo dire che le aziende che basano la loro vita sui latti artificiali e sui latti formula, creando dei bisogni che non solo non esistono ma che non sono in nessun modo positivi, non mi piacciono per niente, da blogger invece mi rendo conto che non è tutto bianco o nero e che in mezzo ci stanno mille sfumature, le obiezioni sollevate in alcuni casi le trovo eccessive, soprattutto per quanto riguarda l’indicazione del post sponsorizzato che c’è e a me sembra chiara.
Seguo e credo che il dialogo anche tra ideologie opposte possa portare arricchimento, in primis a me come blogger 🙂