Sappiamo bene che alcuni bambini non passano dal latte (materno o formulato) ai solidi con la rapidità o con il piacere che vorremmo che mostrassero. Oppure ci sono bambini che cominciano velocissimi, ma poi sembrano perdere interesse per un motivo o per un altro. Di solito si incolpano i denti, le malattie, la luna, ma la verità è che nessuno sa che cosa causa quella che da noi é percepita come una perdita di interesse da parte del bambino nei confronti del cibo.
A questo punto è necessario fare una distinzione… Katja Rowell nel suo libro Love Me, Feed Me (purtroppo è solo in inglese, ma lo consiglio caldamente a chiunque pensi che il proprio figlio abbia un problema legato all’alimentazione e di approccio verso il cibo, e abbia sufficiente padronanza della lingua) ci dice che i disturbi alimentari coprono tutto uno spettro di problemi, che vanno dai bambini con problemi di carattere sensoriale e che tendono a rifiutare determinate consistenze o certi sapori, ai bambini traumatizzati che possono dare voce al loro disagio attraverso un rifiuto del cibo, a quelli che hanno problemi a ingoiare, fino ai bambini normalissimi, i cui segnali vengono però ignorati creando così problemi laddove problemi non esistevano. Di quest’ultimo argomento abbiamo già parlato quando dicevamo che, anche se non vogliono mangiare, i bambini non vanno forzati.
Dei problemi più o meno seri che possono portare un bambino a non mangiare quello che vorremmo noi ne parleremo in un altro post. Qui invece accenniamo brevemente all’atteggiamento che, secondo Katja Rowell e altri insieme a lei, va tenuto per evitare l’insorgere di questo problema e come arginarlo o risolverlo una volta che si è instaurato. La soluzione è semplicissima ed è conosciuta come la divisione delle responsabilità secondo la quale
- il genitore sceglie quando e cosa si mangia
- il bambino sceglie se e quanto mangiare
Ovvero:
Il genitore prepara un menu e mette a tavola tutta una serie di piatti, compresi frutta, pane, verdure, ecc. Uno spesso non ci pensa, ma normalmente sulla tavola c’è una grande scelta, che noi spesso diamo per scontata, e difficilmente un bambino, o un adulto, non troverà qualcosa di appetibile.
Il bambino, tra quello che c’è sulla tavola. sceglierà ciò che gli è più congeniale nelle quantità che preferisce.
- Niente lotte per il potere;
- niente scenate alla tavola;
- niente obblighi, minacce e punizioni.
Ci si siede a tavola e si mangia quello che c’è, e se vogliamo mangiare qualcosa di specifico su ordinazione… riserviamo questo desiderio per quando siamo al ristorante.
Applicare il principio della divisione della responsabilità è facile, specialmente se uno ci riflette per qualche minuto, ma è anche vero che a volte questa facilità è solo teorica perché richiede al genitore di:
- cambiare prospettiva verso l’alimentazione
- abbandonare il controllo su quanto mangia il bambino
- accettare l’idea che il bambino possa scegliere cosa mangiare
In altre parole… è necessario che il genitore si sottoponga all’oramai celeberrimo trapianto di cervello, che abbiamo già nominato quando parlavamo di autosvezzamento e supercazzola.
Se il genitore non cambia atteggiamento, allora di sicuro non si arriva da nessuna parte; la responsabilità è sua ed esclusivamente sua; il bambino che – a dire del genitore – non mangia niente e – sempre a dire del genitore – si lascia morire di fame non c’entra niente. Chi deve cambiare, rinunciando al controllo, è il genitore, solo dopo possiamo cominciare a pensare a cosa si può fare per aiutare il bambino a migliorare il modo in cui mangia. Se invece si prova solo a cambiare il bambino, è garantito che i risultati saranno disastrosi in quanto il genitore, a ogni singolo pasto, si troverà imprigionato insieme al bambino in una lotta all’ultimo sangue e di sicuro l’adulto non risulterà vincitore.
Per farvi capire meglio come siano inutili questo genere di schermaglie intorno alla tavola vi racconto un fatto vero…
Io (sì, io, non un altro) sono cresciuto pressoché unicamente a latte, cacao e Oro Saiwa (ovvero, usando il termine tecnico, il cosiddetto “lattuccio”…). Lo mangiavo tranquillamente anche tre volte al giorno, a colazione merenda e cena. Sì… ho detto TRE volte al giorno, per cui non c’è da stupirsi se non mi andasse altro.
Quanti anni credete che avessi quando mangiavo così? Forse 3? O magari 5? O addirittura 10??
Beh, vi dico che le cose sono andate avanti più o meno così fino a che non sono andato via da casa dopo la laurea in occasione del militare (una manna!). Quindi quanti anni avevo? All’incirca 25!!
Non ricordo se ci sia mai stato un periodo della mia vita in cui non mangiassi così… Neanche mia madre se lo ricordava bene (ma è passato tanto tempo…). Quello che ricordo è che mi dicevano costantemente che dovevo mangiare di più perché quello che mangiavo non era chiaramente sufficiente (e infatti sono morto di fame…). A nessuno è mai venuto in mente che potesse essere una questione di costituzione, di fatti io sono sempre stato alto e magro come uno stecco.
La situazione che si era instaurata era più o meno la seguente: mia madre mi diceva che per cena c’era X, Y e Z e io rispondevo che se lo poteva mangiare lei o lo poteva buttare e che mi sarei invece “fatto il lattuccio”. C’erano delle eccezioni alla regola, ma queste erano, appunto, eccezioni (l’eccezione più importante erano le banane che ho sempre mangiato).
La mia teoria è che a monte di questa dinamica ci sia il fatto che da piccolo io abbia “smesso” di mangiare per cui è stato introdotto il famoso latte con i biscotti. O forse avevano cominciato a darmelo perché “si fa così”. Indipendentemente dal motivo scatenante, il fatto importante è che dopo poco si è instaurato il celebre circolo vizioso, per cui “purché mangiassi” ecco che veniva sempre presentata l’opzione latte.
Da notare che non ero un caso isolato in quanto anche mio fratello più grande era per certi versi così, anche se non ha mai raggiunto le mie vette.
Forse ero afflitto da quelle patologie di cui Katja Rowell parla nel suo libro? Avevo forse problemi ad accettare sapori o consistenze?
La risposta è sicuramente NO.
Ero semplicemente viziato.
La prova è che quando d’estate andavo in vacanza a casa di parenti in campagna o al mare, mangiavo di tutto e mangiavo tanto senza problemi. Il lattuccio era relegato al massimo solo alla colazione.
Chiariamo che, per quanto mi ricordi, non è che mi abbiano mai forzato a mangiare, né a pulire il piatto, né a stare a tavola fino a che non avevo finito quello che avevo davanti – tutte pratiche di cui si sente spesso parlare – ma mi era stato concesso di decidere quale fosse il menu della cena con le conseguenze di cui sopra. Il bello è che ricordo benissimo di come io stesso sarei voluto uscire da questo circolo vizioso, che la situazione in cui ci trovavamo non mi piaceva, ma semplicemente non potevo, né sapevo come fare… Forse era il bisogno di manifestare la mia indipendenza e individualità… chi lo sa. Per certo i ruoli erano oramai così radicati che per uscirne l’unica possibilità era… andare via di casa e attendere che una nuova routine si instaurasse. Questo non è successo dalla sera alla mattina, ma ho dovuto aspettare qualche anno prima di poter dire che avevo abbandonato il mio ruolo di latte-dipendente senza ricaderci non appena tornavo a casa. Quanti anni avevo quando questo è successo?
Ben più di 30.
Ripeto, avevo superato ampiamente la trentina quando posso dire di aver abbandonato la mia dipendenza dal lattuccio.
A essere onesti un po’ di dipendenza c’è ancora in quanto tutt’oggi trovo difficile fare colazione con qualcosa che non sia il latte e continuo a pensare che gli Oro Saiwa siano il non plus ultra, ma almeno ho eliminato il lattuccio serale e anche se a colazione non mangio gli Oro Saiwa, riesco a sopravvivere. Invece una colazione non di latte ancora non la “digerisco” più di tanto.
Nel mio caso sono stato fortunato… decenni di una dieta altamente squilibrata non hanno prodotto danni permanenti, ma altri bambini più proni ad ingrassare o ad avere altri problemi di carattere fisico potrebbero non essere così fortunati. Pensate a questo quando vedete il bambino “che non vi mangia” e che facendogli un bel biberon di latte e biscotti “almeno vi mangia”.
Mi chiedo, tutti quelli
- che danno il biberon quando il bambino dorme;
- che “purché mangi” gli fanno sempre e comunque il biberon di latte;
- che insistono affinché il bambino mangi quello che c’è nel piatto;
- che… [Inserite qui il comportamento che utilizzate a casa vostra; leggete ad esempio questa storia vera]
si rendono conto che potrebbero trovarsi davanti a loro un figlio con problemi di carattere alimentare che si protrarranno nel tempo per anni se non decenni? Pensano forse che se non adottano tutte queste tecniche il loro bambino semplicemente svanirà nel nulla?
Come ho detto prima, non sapevo come fare ad uscire da questa situazione. Ora, con il senno di poi, mi rendo conto che mi serviva solo che i miei genitori mi aiutassero da una parte essendo più fermi, dall’altra abbandonando il controllo, ovvero lasciandomi scegliere cosa e quanto mangiare tra quello che c’era a tavola. Ma senza lasciarmi scegliere il menu; quello era compito loro.
Non che ce l’abbia con loro, dopo tutto erano altri tempi. Tuttavia quello che posso fare a mia volta è provare a non ripetere gli stessi errori con i miei figli. Temo che sia inevitabile che crescendo ci si trasformi nei nostri genitori, ma se proviamo a migliorarci almeno un pochino avremo fatto un cambiamento nella giusta direzione.
Quindi, se pensate di fare qualcosa purché il bambino mangi, pensateci 10 volte e poi non la fate in quanto sarà certamente la cosa sbagliata da fare.
Nel mio caso, la fissa era per il latte con i biscotti. Per altri è la pasta in bianco o con il ragù; per altri le cotolette di pollo; per altri ancora qualcosa di diverso, ma il principio è sempre il medesimo.
Conoscete qualcuno che si trova incastrato in questo genere di circolo vizioso e non sa come uscirne? Raccontatecelo nei commenti.
91 risposte
Io sono una mamma latte e biscotti. Sto facendo outing. Il mio grande è cresciuto cosi per circa tre anni. Non che lo forzassi a tavola e neanche che il latte fosse un premio. Semplicnte non toccava cibo e non aveva appetito. A periodi lo faccio anche con il piccolo. Mannaggia a me. Ripeto non sono una mamma ansiosa se non mangiano e nemmeno li forzo pero….
C’è una cosa che devo ancora capire bene. Qnd dite di mettere a tavola tutto. Cioè il mio grande mangerebbe solo pane e il piccolo solo pasta. Perciò io a tavola metto una sola cosa. Sbaglio?
andrea_ OK ho letto il post e penso di aver capito il punto della questione ‘assaggiare’. grazie. in effetti BLW è baby led, anche quando i baby sono alti un metro e parlano 2 lingue!
federicapitu la Rowell dice chiaramente che non bisogna “incoraggiare” ad assaggiare in quanto può essere percepito come pressione indebita ed essere controproducente. La richiesta deve partire dal diretto interessato.
Se ne è parlato anche qui:
http://www.autosvezzamento.it/se-il-bambino-non-mangia-non-forzatelo/
C’è da dire che secondo me è una fase che passano più o meno tutti i bambini, per cui bisogna farsene una ragione. L’unica cosa che possiamo cercare di fare è di assicurarci che sia, appunto, solo una fase e non farla diventare qualcosa di peggio.
Io non sono so se il mio caso può essere definito appartenente al circolo vizioso, giudicate voi. La B ha mangiato di tutto fino intorno ai 2 anni poi ha iniziato a fare storie (complice anche una serie di eventi su cui non mi dilungo). Per farla breve, adesso ne ha un po’ più di 3 e le cose sono notevolmente migliorate, ma direi che lei ha una serie di cibi (sufficientemente vasta per fortuna) che mangia, ma qualunque piatto nuovo venga proposto, quasi sempre si rifiuta di assaggiarlo. Noi al momento non solo non insistiamo, ma abbiamo anche smesso di chiederle se vuole assaggiare, tanto abbiamo visto che era controproducente. Però succede che, quando c’e’ un piatto nuovo, se non metto in tavola qualcosa che so che mangia, finisce per mangiare pane, formaggio e frutta e basta. Il che non è malissimo direte voi. E io vi rispondo che, si OK, chiaro che non patisce la fame, ma come si fa a incoraggiarla a almeno assaggiare tutto? perché in questo modo ovviamente lei si sazia e il piatto nuovo va a farsi benedire. Confesso che è più una cosa che mi fa entrare il nervoso che non una reale preoccupazione…
Se vi ci siete ritrovati e sapete darmi qualche dritta vi ringrazio.
Io ho avuto la fortuna di avere genitori che non mi obbligavano a finire il piatto e così sto facendo con le mie figlie. Se non vogliono, tiro via il piatto e basta. Alle volte non riesco a proporre un menù molto variegato e in quel caso le chiedo “vuoi un po’ di frutta?” e le do volentieri una banana o quello che c’è disponibile a seconda della stagione. Quindi in casi estremi propongo un’alternativa, ma che non comporti il cucinare, in modo tale che non pensi che può “ordinare” come al ristorante. Alle volte è andata a dormire anche digiuna, non l’ho mai rincorsa per la casa 🙂
Sono d’accordo con il post, ma se dovesse capitare non mi sembra il finimondo. Faccio un esempio per spiegarmi meglio. Dopo 4 mesi di autosvezzamento ho capito quando mia figlia è sazia, quando non le piace qualcosa o quando non mangia perché c’è qualcosa che la turba (persona estranea a tavola, stanchezza ecc…). Quando non le piace una pietanza inizia ad agitarsi come fa quando vuole essere imboccata, ma poi, giustamente, quando le mostro il cucchiaino si gira dall’altra parte e si arrabbia tanto da iniziare anche a piangere se non le viene dato altro. La piccola ha 10 mesi e sicuramente non si tratta di un capriccio; è ancora troppo piccola. Io so che lei vuole mangiare con noi, ma non quello. Per ora questo caso limite mi è capitato solo una volta con il cous cous…purtroppo avevo solo quello e del pesce. Niente pane o frutta. Niente. Già al primo cucchiaino piangeva e si metteva le mani in bocca per toglierselo. Col pesce pure. Era così arrabbiata che non riuscivamo nemmeno noi a pranzare. Allora ho aperto il frigo e le ho dato una mozzarella e un po’ di prosciutto cotto. Era la bambina più felice del mondo. Ovviamente poi, essendo in tavola lo abbiamo mangiato anche noi, ma se anche non lo avessimo mangiato penso di aver fatto la cosa giusta perché il pranzo poi è continuato in armonia come sempre. Cerco sempre di mettermi nei suoi panni. Cosa farei se una cosa non mi piacesse? Certamente non resto a digiuno, ma mi cerco altro da mangiare. Tra l’altro, ogni tanto il cous cous glielo ripropongo con altre cose. Proprio non le va, ma non demordo!
Quindi penso che cucinare qualcosa apposta per lei assolutamente no; preparare i pasti in base ai gusti di tutti si; ma per i casi limite tengo sempre qualcosa in frigo che sono sicura le piaccia.
andrea_ alexaleaia … e poi, pensandoci … perché mai orremmo non enfatizzare i dolci? i dolci sono cosa da festa, dessert, regalo. L’errore è enfatizzarli come “la cosa che piace ai bimbi” – sott’inteso mentre il resto è punizione.
A casa mia c’è sempre stato un pranzo completo a tavola. Primo (ogni giorno diverso) secondo (o pesce o carne o uova o frittate etc) contorno e frutta. Altro che scelta!
Manuella Crini ti ho risposto direttamente sul blog! /Gloria
Manuela, io ti capisco benissimo, in realta’ anche a casa nostra e’ cosi’ (a parte la frutta), mica c’e’ il buffet! O almeno lo era finche’ non e’ stato davvero palese che a BM, 5 anni, la singola portata non basta, non da’ soffisfazione. Chiede “il secondino”. E si lancia ad aprire il frigo per vedere cosa c’e’. Non e’ facile non assecondare e personalmente mi trovo sempre in difficicolta’ “Si o no, se si’ perche’…? E soprattuto se no… perche’??”.
Quindi, per rispondere alla tua domanda, fossi in te quel piatto unico lo scorporerei in modo da dare piu’ opzioni. Ci vuole forse solo un po’ di fantasia.