Ultimamente incrocio spesso la Mamma di Kahlil Gibran.
La mamma di Kahlil Gibran ha probabilmente seguito dei corsi di pedagogia per genitori al pomeriggio, presso un monaco tibetano o una frikkettona di San Francisco, e li ha estremizzati: il bimbo veste costosissimo cotone biologico, lecca un gelato di soia, e sgranocchia crackers di kamut salati con il sale rosa himalayano.
La madre di Kahlil lo porta in fascia esattamente come te, solo che ti guarda male perché la tua ha tutti i colori dell’arcobaleno che se fotografassero la Terra da Marte, ti vedresti tu e la Grande Muraglia; lei rigorosamente bianco per non avere colori chimici e con tessuto ricavato da capre albine dell’Appennino Tosco Emiliano. Inorridisce quando le dici che hai preso la stoffa in merceria tra quelle scontate.
Questo articolo ci è stato inviato da un genitore al limite.
Quanti di noi ci sentiamo ugualmente al limite? Voglio sentire dai Signori Ciafruglio!
Tutto questo mi suscita un fastidio velato, come quando vai a sbattere contro una ragnatela; l’odio sordo si manifesta quando il tuo mondo (quello personalissimo, nostro di casa nostra, è detto Ciafruglio, e noi siamo i signori Ciafruglio*) va a interagire col loro.
Perché la madre di Kahlil non gli ha mai tarpato le ali, non le è mai scappata una sfuriata, e non lo rimprovera per non umiliarlo.
Chi è Kahlil Gibran?
Così Kahlil è un unno: un unno che ti si arrampica in testa (a te, persona adulta che non conosce, ma con la quale divide la stessa stanza da 10 minuti), un unno che spintona e picchia gli altri bimbi, un unno che reputa opportuno correre e urlare come se stesse prendendo fuoco per protesta contro il governo cinese, disturbando una costosissima lezione di musica per bimbi.
Un unno che viene guardato da occhi amorevoli che sembrano dire: “Ma quant’è bravo Kahlil, che lascia penetrare la musica in ogni sua fibra corporea e ce la restituisce con forza, vigore, energia. Sa saltando sulla gamba di un pargolo di due anni, ma è per svegliarlo dal torpore in cui l’hanno costretto i genitori oppressori e opprimenti. Genitori sbagliati, vittime di metodi educativi obsoleti”.
L’unno potrebbe scagliare con violenza un coetaneo contro un muro, e il bimbo in questione potrebbe piangere disperatamente. La mamma di Kahlil finalmente accorre, penserai: “Mo lo rimprovera”. E c’hai preso, lo rimprovera: lo porta in disparte e gli parla con dolcezza, guardandolo negli occhi. Brava, bravissima… mi sei piaciuta: il rimprovero non è umiliazione, non è esposizione al pubblico ludibrio (anche se io, a tuo figlio Kahlil Gibran, un pomodoro marcio glielo avrei lanciato volentieri. In faccia proprio).
E basta.
Mamma stressata, genitore al limite
Ma… e il bambino che non si è più ripreso e che piange tra le braccia della madre? Non ha avuto delle scuse?
No, non ce l’ha avute, perché Kahlil ha così decido e la madre ha rispettato il suo volere, anzi non gliel’ha nemmeno proposto perché doveva nascere in lui spontaneamente il desiderio di chiedere scusa.
Ora, se nonni-zii- cugini tormentassero il mio Domenico per un bacino, io sarei la prima a fare il tifo perché lui non ceda; ma le scuse no: il bimbo che ha subito un torto necessita di un riscatto morale, necessita di un minimo di risarcimento.
Per cui, mio carissimo Kahlil, gli hai quasi spaccato la testa e tua madre dovrebbe quanto meno insistere un po’ perché tu chieda scusa.
Il bambino malmenato va via con gli occhi gonfi, Kahlil sorseggiando una bevanda biologica carote e zenzero.
*il Ciafruglio è la disorganizzazione cronica e stabile, in quanto stabile è diventata miracolosamente un sistema che regge. Essere “Ciafruglio” significa prendere un po’ di qua e un po’ di là e farlo nostro, mischiando, per cui un po’ si è portato in fascia, ma pure il passeggino schifo non c’ha fatto; un po’ si cerca di prendere dalla Montessori, ma di certo la casa è per tutti, non solo per te, per cui la Maria nazionale a volte viene messa alla porta; ecc.
E durante lo svezzamento lo si aiutava col cucchiaino, che vabbè che devi fare da te, ma – come ho detto in altre sedi – non siamo a Giochi senza Frontiere che devi superare una prova d’abilità, per cui se hai necessità io ti imbocco. Insomma essere Ciafruglio significa non perseguire un metodo (sia educativo, che in generale di condotta famigliare) in maniera estrema, ma farlo un po’ tuo a modo tuo… un mix.
Come Napoli, più o meno.
27 risposte
Cianfruglio tutta la vita! Ma le scuse no, dai, sono orribili quei genitori”adesso dì scusa!’ A cui invariabilmente la creatura risponde NO! E inizia ad odiare la vittima! Parlo almeno di bambini piccoli, per me è il genitore che deve dirsi dispiaciuto. (Peggio che peggio “chiedi scusa e dà un bacino”… ma ti pare che mi hai appena steso e voglio il tuo bacino????)
Grazie mille a chi ha scritto questa storia! Il Ciafruglio è la soluzione, e vince sempre a mio parere! Ora mi sento meno sola 😛 Per quanto riguarda la mamma di kahalil gibran, ne incontro molte -_-‘
no va beh. che ridere. mi sto sentendo malissimo. l ho incontrata eccome. per sfortuna, aggiungerei.
Ciafruglio, Merry me!!! ♥
qui super ciarfuglio! 🙂 (ho comperato il sale rosa integrale biologico a 7 euro al kg la settimana scorsa ….e non l’ho ancora aperto per paura di sprecarlo! 🙂 )
Oh, anche qui famiglia molto molto Ciafruglio! 🙂
Comunque per me la vera perfezione è nella famiglia Ciafruglio 😉 più Ciafruglio per tutti! /Gloria
perfettamente d’accordo!
tutti i giorni! Non necessariamente con figlio unno, ma chissà perchè, quando noi siamo sconvolte da notti insonni, tette doloranti, neonati inappetenti, disoccupazione, casa post-uragano, sulla tua strada trovi sempre le due categorie di mamme più temute:
_ la perfettissima hippie, che vive in perfetta armonia con la natura e suo figlio e niente la scalfisce, usa solo pannolini lavabili, si nutre di solo cibo biologico, e guarda dall’alto al basso te che ci hai provato a usare i lavabili, ma poi finisci per usare anche gli altri;
_ la wonder mamma: quella che torna al lavoro a tre mesi spaccati dal parto, che è sempre in ordine, truccatissima, che ha sempre la casa perfetta e nulla la scalfisce, e guarda dall’alto in basso te, che per necessità (o obbligo) scegli di stare a casa un po’ di più, ma che comunque non ce la fai a truccarti e ad avere la casa sterilizzata.
Che poi il succo è uno solo; non importa che tipo di mamma tu sia, la maternità dovrebbe essere una condivisione di crescita e non una gara. No?
ciafruglio forever!