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Incinta: in Giappone e il sistema ospedaliero giapponese

bambola giapponese Kokeshi autosvezzamento

Sono incinta!!
Dopo il primo, inziale, entusiasmo comincio a domandarmi “E ora cosa faccio?”
E già, perché abito in Giappone, e sono molto lontana dal possedere una sufficiente padronanza dei termini medici necessari… E comincio a pensare alla fuga!
In Giappone il “satogaeri” (???) è quasi la norma: in parole povere la donna incinta torna a casa dei genitori e ci rimane fino al parto, e quindi perché no?
Quindi comincio a elencare i mille motivi per dire “No” a un ritorno in Italia, che si riducono immediatamente a uno solo: la distanza che metterei tra mio marito e suo figlio.
Il primo aspetto da affrontare è la ricerca di un ospedale… Un momento! In Giappone la norma è quella di rivolgerti ad una clinica privata!!
“Perché?” Vorrei proprio saperlo… “Ma non sono più costose degli ospedali?”
Alla fine, il parto ha un costo non indifferente, specialmente se lo paragoniamo agli standard italiani. Ma in ogni caso lo stato giapponese rimborsa una cifra che può arrivare, al massimo, a 420.000 yen (circa 3.600 euro) e quindi non è così importante rivolgersi a una struttura privata.
Allora non resta che cercare di adattarsi: comincio a chiamare le cliniche che si trovano più vicine a casa nostra, con un po’ di timore. Del resto, sta per cominciare un’avventura fantastica lontano dal mio paese, e non so proprio che cosa aspettarmi.
Ed ecco la prima sorpresa: ho un problemino di salute (una tiroidite) e le persone che rispondono dalle varie cliniche mi dicono che, purtroppo, non possono assistermi…

All’inizio mi chiedo se il problema non sia legato piuttosto alla mia scarsa padronanza della lingua giapponese: insomma, forse mi sto spiegando male e quindi chi ascolta la mia richiesta non capisce? Mi sembra impossibile che in un paese come il Giappone non possano accogliere una persona che ha solo bisogno di continuare a prendere una medicina anche in gravidanza! “Ma siamo matti?” E lo spettro del ritorno in Italia per il parto si fa sempre più vicino!
Nell’ultima clinica che ho contattato, dove hanno almeno accertato la gravidanza prima di rispondere che non potevo diventare una loro paziente, ci preparano una lettera di presentazione per un ospedale della zona: non è vicinissimo ma dovremmo trovare un medico in grado di seguire la gravidanza e regolare il dosaggio delle medicine che devo prendere per la tiroidite.

Certo che sto cominciando a perdere le speranze…
Che fare quando, all’estero, ti ritrovi ad aver bisogno di una mano e non sai a chi chiedere? A questo punto devi sperare in un colpo di fortuna!
E, qualche volta, la fortuna guarda nella direzione giusta!!

Nell’ospedale in cui ci siamo rivolti possono occuparsi del mio caso!! È la prima volta in cui un “Faremo il possibile” mi sembra così bello da sentire.
Da qui in poi comincia il vero e proprio percorso della gravidanza: visite di controllo, prima vicine (ogni due settimane), poi sempre più distanziate (fino a un mese di stacco) per poi assumere una cadenza settimanale.
Affrontare la gravidanza in un paese straniero può essere faticoso: in Giappone il medico non è mai incline alla spiegazione, e molto spesso capita di entrare nel suo studio con alcune domande per poi uscirne con molta più confusione in testa!! E questo fenomeno non colpisce esclusivamente la partoriente straniera, ma arriva a contagiare perfino il marito giapponese!!
Il tempo passa, tra qualche momento indimenticabile, che è comune a tutte le future mamme, momenti che sarebbe meglio dimenticare (come la strenua lotta contro la bilancia cattiva, persa irrimediabilmente nonostante la sicurezza del ginecologo giapponese che si aspetta da me un aumento di peso non superiore ai dieci chilogrammi totali) e momenti che non mi aspetto (come sostenere imprevisti esami interni poco prima del parto, e vedere la pancia, con il suo ospite, che si agitano come il mare in burrasca davanti al medico, che ride davanti a questo spettacolo imprevisto).
Anche in Giappone viene offerta la possibilità di frequentare dei corsi pre-parto, e anche io partecipo con entusiasmo, sperando di conoscere delle altre partorienti che potrei incontrare in ospedale: purtroppo le mie speranze restano deluse, ma almeno passo il tempo!!
E così è arrivato il momento…

Passano i mesi e il parto si avvicina: e allora il mio bambino decide di rompere le acque in anticipo, e prima di rendermene conto ho sopportato sei ore di contrazioni preparatorie per poi decidere di praticare il taglio cesareo (“Ma non potevano pensarci prima?”) e un piccolino con dei grandi occhi scuri è entrato a far parte della mia vita e della nostra famiglia!
Sono piena di tubi, non posso muovermi dal letto e, al contrario, vorresi scappare per correre a vedere ancora il bambino: decisamente una brutta giornata, vero?
Ma dal giorno successivo cambia tutto: via tutti i tubi (evviva!), arriva una gentile infermiera con tanto di sedia a rotelle per scarrozzarmi in giro. “Io devo camminare senza aiuti!” E con la testa dura che mi ritrovo comincio a fare piccoli passettini dentro la stanza, e piano piano i sei giorni di degenza passano (tra la pratica col neonato, le lezioni preparatorie per insegnarci cosa fare una volta a casa e le sveglie notturne).

E finalmente fuori dall’ospedale, con un piccolo neonato da riportare a casa, e la consapevolezza che la nostra avventura, come famiglia, è appena cominciata.

E per concludere, un piccolo bilancio sulla mia esperienza: per cominciare, la sanità giapponese non funziona come quella italiana, il medico spiega meno e – probabilmente – si aspetta l’assenso del paziente in ogni caso. Conoscere la lingua è di grande aiuto, così come si è rivelato molto utile, in tutta questa storia, non lasciarsi intimidire da un sistema diverso e rivolgere al medico tutte le domande del caso (aiutandosi col dizionario elettronico in certi casi).
Insomma, se vi capiterà di trovarvi in una situazione del genere armatevi di pazienza, dizionario elettronico e gran faccia tosta, e l’iniziale rigidità del medico si scioglierà come neve al sole!

Continua…
l
a prossima puntata vedremo cosa succede una volta che “il bimbo è nato”

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18 risposte

  1. curiosissimo! io in italia, milano – ospedale san paolo mi sono trovata benissimo, se può essere di aiuto. anche io 4 giorni di degenza ma per via dell’ittero di mia figlia. per il resto ho una ginecologa che spiega tutto, anche fin troppo, e le visite + ecografia sono mensili, analisi del sangue ogni trimestre e due ecografie di accrescimento e valutazione della sanità del piccolo (queste obbligatorie in Italia).

  2. Serena Bianchi, onestamente non ti so dire, ma se il cibo dici che è così pericoloso non vedo perché quello per bambini debba essere (tanto) diverso. I locali come fanno? E che tipo di omogeneizzati si trovano? /Andrea

  3. Noi siamo in Cina, da oggi iniziamo autosvezzamento con un dubbio però: la qualità del cibo qui non è esattamente la stessa che in Italia… ormoni, antibiotici e ogm sono in agguato in ogni dove… gli omogeneizzati e le pappine garantirebbero un po’ di più… o no?

  4. Di certo non deve essere facile se anche cose banali come leggere una cosa qualunque risultano impervie/impossibili o quasi. Figuriamoci dover fare una cosa come portare avanti una gravidanza:) /Andrea

    1. @Elisa GasbarriIn Giappone il cesareo non viene mai proposto prima del ricovero, lo si tiene come “ultima possibilita'” in caso di emergenza. A me e’ successo proprio questo: dopo sei ore di contrazioni il bambino ha dato segni di sofferenza cardiaca, e il medico ha ordinato il cesareo. Io ero collegata al monitor, e posso dirti che ho avvertito un dolore fortissimo al centro della pancia, a cui ha fatto seguito un suono emesso dal monitor. In seguito mi hanno detto che il bambino, privo del liquido, stava soffrendo e io non mi dilatavo abbastanza (dopo sei ore la dilatazione era di due/tre cm…). Questi sono stati i motivi che hanno convinto i medici, altrimenti il mio travaglio sarebbe durato molto piu’ a lungo!!

  5. bell’articolo, bello spunto di riflessione. personalmente conosco molte mamme che si trovavano lontano da ‘casa’ al momento della gravidanza e del parto e che hanno scelto di tornare a casa da mammà dal primo mese di gravidanza fino a  svariati mesi dopo il parto. sinceramente salvo casi in cui la lingua è davvero un problema e/o il paese in cui ci si trova è meno affidabile del nostro dal punto di vista sanitario, non ho mai condiviso questa scelta. e alcune delle persone che conosco che la hanno fatta non si trovavano nemmeno all’estero. non so, ma mi sembra che stai anteponendo il rapporto con i tuoi genitori e la sicurezza che questi ti offrono, al rapporto con il tuo compagno nonchè padre del bambino, e la fiducia che hai in lui. quindi da una parte mi sembra anche che lo stai privando di un diritto: quello di vivere con te in intimità un periodo così bello come la gravidanza, in cui si stabiliscono le basi per la nuova configurazione familiare, e che è davvero uno dei momenti più belli per la coppia, e di vivere con te e in intimità i primi mesi di vita di vostro figlio, mesi fondamentali per costruire il nuovo rapporto a 3 (o a 4, o a 5…). dall’altra parte ho però notato da parte dei padri un rinunciare a questo diritto sapendo che allo stesso tempo si sarebbero tirati fuori da tutta una serie di responsabilità e prese di coscienza, un lavarsi le mani e “tirarsi fuori dai guai” che tutto sommato non gli dispiace. del resto, le decisioni si prendono in due. ovviamente sono impressioni relative ai casi che conosco e soprattutto ognuno fa le scelte che vuole. le motivazioni potrebbero essere tante e non petta a me giudicarle. per quanto mi riguarda, io ringrazio il cielo di essermi trovata ‘lontano da casa’ (ma sempre in Italia) per tutta una serie di motivi, fra cui la sanità romana che fa acqua da tutte le parti (e dove se vuoi prenotare un’ecografia del 1 trimeste nel pubblico hai l’appuntamnento dopo la data presunta), e dove – come in Giappone! – per le famiglie che possono permetterselo “la norma è quella di rivolgerti ad una clinica privata”. per fortuna vivo in una città dove certi servizi funzionano molto bene, e mi sono risparmiata tutta una serie di professori privati ottuagenari strapagati consigliati dall’amica della suocera (so già che sarebbe finita così!) oltre al fatto che ho continuato la mia vita vita normale e ho avuto accanto mio marito.
    in conclusione: tanto di cappello per te che sei rimasta in un paese così lontano, così diverso dal nostro e soprattutto con una lingua così difficile e poco intuitiva per noi. anche se penso che al tuo posto avrei fatto come te, a maggior ragione con un marito giapponese! 😉

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