La pubblichiamo, ringraziando l’autrice, perché fa vedere, a noi genitori, le cose con gli occhi di un bambino.
Ho scelto di scegliere la strada dell’autosvezzamento ragionando “da figlia”, perché ho ritrovato nei principi dell’autosvezzamento tutti i principi che io naturalmente avevo già, solo che ora sono libera dalle sovrastrutture mentali e culturali di genitori e nonni che inorridivano davanti a proposte del tipo “ma se ti lamenti che non finisco il piatto non potresti semplicemente farlo meno pieno?” Orrore! Una madre che dà “meno” da mangiare alla figlia, una madre che dice alla figlia “non vuoi mangiare? Arrangiati!” è poco meno che un Barbablù che si è fatto la barba. Dopo tutto, dicono loro, se una è una bambina inappetente c’è poco da fare…
L’inappetenza dei bambini
Sono stata cresciuta a
- “non ti alzi finché non hai svuotato il piatto!” (porzione non solo scelta arbitrariamente ma più adatta a un adulto che a un bambino);
- “non ti alzi da tavola finché non mangi il pesce” (anche fino a pomeriggio inoltrato);
- “se non lo finisci te lo ritrovi a pranzo/cena anche se ci vanno i vermi“ (e così era. Almeno senza vermi!);
- “…con tutti i bambini che muoiono di fame!” (“vallo a dare a loro!” era la risposta, che allora veniva accolta con indignazione e ora in età adulta più che mai mi sembra sensata, a riprova che a volte basterebbe ascoltare i bambini senza il pregiudizio che abbiano torto a priori);
- “buttare il mangiare è peccato mortale!” (ancora: l’ho forse cucinato io queste quantità?);
- “se lo vomiti te lo faccio rimangiare!”;
- e il cavallo di battaglia, “è dal *anno della mia nascita* che non mi faccio una cena tranquilla!” (perché, IO??).
Sorvolo sulle conseguenze che questo ha avuto sul mio rapporto con il cibo per non cadere nel vittimismo, e mi sforzerò di essere obiettiva, perché questa dovrebbe diventare una testimonianza a uso e consumo del prossimo e non una critica sterile a mia madre. Riflettendo ultimamente, a freddo, sempre più mi convinco che la sua ostinazione a volermi propinare più cibo di quanto ne volessi/potessi/dovessi mangiare, in nome di una supposta “inappetenza dei bambinI”, e la sua conseguente frustrazione, nervosismo, esasperazione davanti ai miei (giustificatissimi) rifiuti non abbiano fatto bene al nostro rapporto.
Sembra esagerato? A distanza di anni mi sono sentita rinfacciare che
“ti compravo il filetto anche se non avevamo soldi e tu lo sputavi!”
Queste parole mi rattristavano allora e mi rattristano ancora di più adesso. Spesso si dice “quando sarai mamma capirai!”, invece capisco ancora meno ora che so cosa significa avere un bimbo in “età da pappine”, un dolce batuffolo che mi strapazzo di coccole e giochi, e penso che altrove c’è stata, c’è, ci sarà, ci potrebbe essere una mamma che pensa “questo bambino CE L’HA CON ME” solo perché nel suo pancino non c’è posto per tutto il piatto di pappina che ha preparato.
Ancora oggi, ogni volta che vede con quanto entusiasmo mio figlio apre la bocca per accogliere il cucchiaio pieno di pasta o polpette sminuzzate dice con amarezza
“che bellezza, non sai che fortuna che hai!”
Sono passati più di 30 anni ed è ancora arrabbiata.
Ora torno al modus di mamma e immagino a quello che ha dovuto passare, e qui sì la capisco. La capisco perché era in una situazione diversa dalla mia, età più giovane, carattere più malleabile alle insistenze dell’ambiente circostante, sicuramente un grande senso di inadeguatezza. Avere una bambina “magra e che non mangia nulla”, la cosa peggiore che possa capitare a una madre! Mi immagino come si sentisse tutti gli occhi puntati addosso e sentisse il mormorio della gente “questa madre non sa educare la figlia a mangiare e la lascia morire di fame, chissà che gravi conseguenze per la sua salute!”
Ancora c’è un tono di rimprovero e frustrazione quando dice
“tu non sai cosa vuol dire avere una bambina INAPPETENTE!”
come se l’inappetenza dei bambini fosse una croce da portare senza via di scampo. Ecco come cambia la percezione di “quanto mangia un bambino”, non solo da applicare al bambino del vicino, perfino allo stesso bambino. Anche dando da mangiare a mio figlio non si è risparmiata le classiche frasi
“questa pastina è più ora che all’inizio!”,
mentre con me sembra che si mangi il bue con tutto l’asinello.
Chi glielo dice che in realtà il mio bimbo non mangia spesso neanche la metà di un piatto “tipo” quando è sazio, e non insisto anche se ha mangiato “niente? Che ci sono giorni in cui il pranzo consiste in 2 cucchiaini e poi solo tetta (ri-orrore! Ormai è acqua) e il giorno dopo magari 4 polpette al sugo; che finisce più pane sul pavimento che in bocca e che ciononostante i vecchietti per strada commentano “questo bambino non fa certo la fame!”; che non ho mai fatto aeroplanini né cantato canzoncine o fatto il pagliaccio e non gli ho mai infilato un cucchiaio in bocca a tradimento.
Non penso di esagerare affermando che qui il nutrimento, l’affetto, dietro il quale la nostra tradizione popolare maschera le insistenze sull’orlo della violazione dei diritti umani (è successo più di una volta che, complici nonne e zie, una mi tenesse ferma e mi aprisse la bocca a forza e l’altra ci infilasse dentro un cucchiaino di miele o una fetta di pane e burro, due cose che mi davano la nausea), non c’entrano niente.
Il cibo diventa una lotta, dove uno lotta non per tenere il figlio in salute ma per affermare la sua supremazia genitoriale, il suo diritto ad avere obbedienza cieca e il controllo totale sul figlio, anche su istinti basilari come fame e sazietà. E questo non può certo essere il terreno fertile per un buon rapporto.
Se l’autosvezzamento può risparmiarmi l’orlo di questa crisi di nervi (continuando ad avere un bimbo perfettamente in salute e per niente denutrito), con tutte le conseguenze del caso, per me è già grasso che cola. Per fortuna solo in senso metaforico.
Se non l’avete già fatto, leggete l’articolo sulla spirale ansiogena e i 6 motivi per cui non bisogna forzare a mangiare nessuno!
Sono articoli chiave per chiunque voglia affrontare con il proprio figlio la strada dell’autosvezzamento.
78 risposte
Mai state a scuola dalle suore? Io ero una bambina che mangiava tutto, tranne il cotechino e dalle suore mia madre mi fece portare sto dannato cotechino che mi obbligarono a mangiare e che inevitabilmente io rimessi, ho 31 anni non ho mangiato cotechino mai più. 🙂
Mai state a scuola dalle suore? Io ero una bambina che mangiava tutto, tranne il cotechino e dalle suore mia madre mi fece portare sto dannato cotechino che mi obbligarono a mangiare e che inevitabilmente io rimessi, ho 31 anni non ho mangiato cotechino mai più. 🙂
Io fino ai 9/10 anni ho mangiato pochissime cose. All’asilo mi rifiutavo di assaggiare quello che non conoscevo o che non mi piaceva. E la suora allora mi metteva con lei da sola a un tavolino in castigo, finché non avessi finito. Risultato? Entravo all’asilo e mi venivano i conati a vuoto
Allora, partendo dal presupposto che ogni esperienza è un’esperienza a sé, anch’io mi son sentita dire centinaia di volte frasi citate nel testo dai miei genitori, ma non bisogna fare del qualunquismo e del buonismo a tutti i costi. Ho una bambina prematura che per un anno e mezzo non ha mangiato praticamente nulla a causa di un reflusso gastroesofageo diagnosticato tardi..e vedere un bambino che non cresce per una madre è terribile. Qui non si tratta di far ingerire a forza del cibo preparato o di un orgoglio di madre-cuoca da soddisfare, ma del bisogno di un genitore di veder crescere suo figlio in modo regolare. Detto questo, faccio tantissimi auguri a chi ha avuto la fortuna(ed è realmente una FORTUNA) di avere un bambino complice dell’autosvezzamento, ma non a tutte va così.
@Flo , capisco che la tua situazione deve essere difficile, ma (e questo è GROOOOSSO “ma”) tua figlia aveva una patologia ben precisa. Non è questione di fortuna e/o di avere un bambino “complice”, ma solo che nel tuo caso c’era un disturbo che non è stato diagnosticato.
Tuttavia, e questo è un punto importante, anche nel caso di una patologia l’imbuto non ha mai guarito nessuno; al massimo non ha fatto danni…
Se c’è una patologia, si cura quella, ma se per curarla dobbiamo creare potenzialmente problemi da qualche altra parte ci deve essere un difetto di fondo nel modo in cui la cura era stata messa assieme.
In bocca al lupo 🙂
io rifiuto tutt’oggi il pesce…se sento anche solo l’odore ho la nausea: da piccola ero costretta a mangiarlo e la tata mi faceva restare lì seduta a tavola finchè non finivo…a volte erano scapaccioni. Non voglio ricordare oltre, se no mi incupisco.
Bellissime parole….racconto che sento molto…..figlia inappetente dove nonne, vicini di casa e zie tentavano di ingozzare….mamma giovane giovanissima (poco più che ventenne) succube della società e dei parenti, spesso parlando mi ha raccontato del suo senso di inadeguatezza della debolezza di una ragazza/donna che non ha potuto prendere nei miei confronti le SUE decisioni come mamma….risultato una bambina parecchio in carne nell’adolescenza super controllata e alimentata dai manicaretti di nonna….anoressica dai 19 ai 26 anni in cui brutalmente mi sono allontanata da tutto e tutti…rapporto col cibo pessimo….SEMPRE….poi vabbè ho capito che dovevo fare qualcosa per me…quindi sono stata in analisi,dal nutrizionista, ho “perdonato”tutti e me stessa….risultato a 31 anni sono felice un bellissimo bimbo di 3 mesi…che allatto a richiesta….e che quando sarà il momento alimenterò a richiesta proprio per evitargli i miei traumi…vorrei che il suo rapporto col cibo fosse il più naturale possibile.
potrei averlo scritto io l articolo.pari pari!!
potrei averlo scritto io l articolo.pari pari!!
Ho letto solo ora questa storia che mi è molto piaciuta, soprattutto in quella lettura di potere del rapporto genitoriale, che si manifesta anche nell’obbligo di mangiare e non nello sviluppare il piacere del mangiare. Anch’io da quando sono mamma capisco ancora meno certi comportamenti dei miei genitori, certe prese di posizione e certi egoismi (ovviamente non solo legati al cibo). Posso pensare che erano altri tempi, che negli anni 70 la gravidanza e la maternità avevano un approccio molto più medicalizzato e che l’obesità (soprattutto infantile) non era un tema sentito, anzi un bambino robusto era sinonimo di salute. Lo comprendo ma non la considero una giustificazione. Perchè è inconcepibile anche solo dire a una bimbetta “se lo vomiti te lo faccio rimangiare!” o forzarla a mangiare in senso fisico (assurdo!), i bambini hanno bisogno di amore, fisicità (nel senso di vicinanza fisica!) e supporto e non certo di essere forzati, nella convinzione di “farlo per il suo bene”. Siamo sicuri che sia quello il suo bene?
Mio figlio, tre anni, non è propriamente autosvezzato, nel senso che non ha mai mostrato particolare attrazione verso il cibo. Non è selettivo (mangia di tutto) nè esigente, nè diffidente verso i cibi nuovi. Semplicemente… non gli interessa mangiare, non ha mai chiesto di assaggiare dal nostro piatto da piccolissimo e dopo un paio di forchettate/cucchiaiate smette di mangiare, anche le cose che più gli piacciono. Poi dopo alcuni giorni ha ovviamente l’attacco di fame e divora un pasto, ma il resto del tempo mangia poco e nulla. Direte: a lui va bene così. Ma purtroppo no, perchè risulta nervoso, sempre pallido e debole, facile ad ammalarsi… ovviamente. Non lo forzo se non il minimo indispensabile, sono una sostenitrice del non forzare i bimbi a mangiare perchè deve essere una cosa positiva il nutrirsi, non un’angoscia giornaliera. Crescerà, cambierà. Ma non c’è nulla da fare, non lo definirei altro che inappetente… non capriccioso o altro: inappetente. Tutto ciò per dire che capita, capita anche se li si lascia liberi, anche se non li si obbliga a mangiare, purtroppo 🙁
questo post mi ha fatto capire che forse la nostra scelta di AS ha delle radici più profonde, che forse risalgono a quando passavo lunghi pomeriggi a tavola a fissare il pranzo nel piatto 🙁