COS'È L'AUTOSVEZZAMENTO E PERCHÉ È DAVVERO PER TUTTI.
Con oltre 140 ricette per TUTTA la famiglia


autosvezzamento per tutti


Bibliografia essenziale
#1

Lucio Piermarini, Io mi svezzo da solo, Bonomi Editore

Gill Rapley e Tracey Murkett, Baby Led Weaning




(lista in continuo aggiornamento)

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#2

AUTOSVEZZAMENTO

Per quanto possa oggi sembrare strano, i bambini sono in grado di svezzarsi da soli e, possiamo azzardare, lo sono sempre stati. Inoltre la convinzione che l’integrazione della dieta esclusivamente a base di latte con altri alimenti debba essere decisa da esperti e non dalla mamma è, in effetti, relativamente recente. Risale più o meno agli anni sessanta quando, senza nessuna vera prova o indizio di colpevolezza, il latte materno fu condannato dai pediatri ad essere sospeso a due-tre mesi di vita, con la calunnia di non essere più in grado, a quella età, di garantire da solo una crescita adeguata. La storia, quella scientifica intendiamo, ha poi fatto giustizia, dimostrando non solo l’inutilità ma anche la pericolosità, per un organismo ancora immaturo, della somministrazione di alimenti così diversi dall’unico ideale, e cioè il latte materno e, in sua assenza il “latte” artificiale formulato a somiglianza del latte umano. Le più importanti organizzazioni mondiali che tutelano la nostra salute, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Fondo per l’Infanzia dell’ONU (UNICEF), considerano il latte umano l’alimento ideale per i bambini fino a sei mesi di vita senza alcuna integrazione. Solo dopo i sei mesi è saggio iniziare, in tutta sicurezza, una diversificazione della alimentazione dei bambini in quanto, solo dopo quell’età, il loro apparato digestivo matura pressoché completamente e anche perché un certo numero di essi, se continuasse ad assumere solo latte materno, potrebbe manifestare successivamente una carenza di qualche sostanza nutritiva, più comunemente il ferro.
Questo ritorno dello svezzamento ad una età più matura ci ha permesso però di riscoprire nei bambini ancora allattati, in prossimità dei sei mesi di vita, tutta una serie di comportamenti in precedenza del tutto male interpretati. Ci riferiamo a quella eccitazione che i bambini mostrano di solito quando si trovano ad assistere al pasto dei genitori, sgranando gli occhi, allungando le mani e, potendolo fare, arraffando il cibo e portandoselo alla bocca, e di solito mostrando di volerci riprovare quale che sia il sapore gustato. In passato si diceva che i bambini preferivano, ovviamente, i cibi saporiti dei genitori alle loro scialbe pappette, iniziate già da parecchio tempo. Ma in un bambino per cui mangiare vuol dire solo succhiare e senza esperienza di altri cibi una simile spiegazione non regge. E se invece lo facesse semplicemente perché, come avviene per tutto il periodo del suo sviluppo, l’istinto di conservazione gli suggerisce continuamente di imitare i suoi genitori qualunque cosa facciano e, solo dopo aver assaggiato quello che ha portato alla bocca, comprendesse che si tratta di qualcosa assimilabile a cibo? D’altra parte sappiamo il feto, bevendo per mesi il liquido amniotico, fa esperienza di tutti i sapori e odori del cibo assunto dalla mamma, e lo stesso avviene con il latte materno. E gli scienziati ormai danno per certo che, se sono stati presenti nella dieta materna, i lattanti sono in grado di riconoscere questi sapori sia nel latte che nelle pappe. Per di più si è visto che proprio intorno ai sei mesi di vita i bambini, pur ancora senza denti, cominciano e rapidamente imparano a muovere lingua, mandibola e guance come per masticare e deglutire cibi solidi, minimizzando il rischio di soffocamento. Verrebbe da dire: ”Sembra quasi come se ci facesse capire di volere alimenti diversi dal latte proprio quando comincia ad averne bisogno e si sente pronto a farlo con successo e senza rischi”. Proprio questa è, in base a quanto la ricerca scientifica ci ha dimostrato, la nostra convinzione.
Quello che prima si faceva solo per esperienza e tradizione, ora possiamo farlo con la sicurezza che ci deriva dalle nostre conoscenze. Assunti i sei mesi di vita, giorno più giorno meno, come limite minimo, quando il bambino comincerà a mandare i suoi segnali di interesse per ciò che state mangiando, perché solo quello vuole, non dovrete far altro che accontentarlo. Potete farlo in occasione di qualsiasi pasto. Dando per scontato che la vostra dieta sia corretta sotto tutti i punti di vista (e se non lo è, sarà l’unica cosa che dovrete farvi insegnare dal vostro pediatra), dovrete tener conto soltanto del fatto che il vostro bambino non ha i denti, e frantumare perciò i bocconi, così come dovremmo far noi adulti masticando. Basteranno pezzettini per la pasta e il pane, una triturazione più fine per la carne (va bene anche un piccolo tritatutto) e ancora di più per verdure e frutta, data la loro indigeribilità per i non erbivori, come noi siamo. Un cibo che non fa male a voi, non farà male neanche a lui. Gli alimenti cosiddetti “speciali per bambini” sono fatti con le stesse materie prime dei vostri, solo preparati dall’industria. Ricordate sempre che furono inventati per svezzare i lattanti immaturi di due-tre mesi; il vostro vecchione di sei-sette mesi non ne ha più bisogno. Spizzicando ai vostri pasti il suo appetito per il latte diminuirà proporzionalmente. Ogni giorno il numero degli assaggi aumenterà, tanto da trasformarsi in vero pasto, con il mirabile risultato che un bel giorno scoprirete che il vostro bambino mangia normalmente con voi, ai vostri orari, i vostri stessi piatti, sempre con appetito (il suo) e senza lasciare nulla perché è lui che chiede e voi che concedete, e non il contrario.
Imparate a mangiar bene, fidatevi di lui e vivrete felici.


Lucio Piermarini
#3

SVEZZAMENTO A RICHIESTA


Premessa per non smettere di leggere alle prime righe

Un aspetto, in parte nuovo, della medicina, e della pediatria, degli ultimi 20-30 anni è stato ed è la condivisione, da parte della comunità, diciamo pure mondiale, degli scienziati, di una ben definita modalità di valutazione di tutte le procedure mediche, in altre parole tutto quel che riguarda prevenzione, diagnosi, cura, assistenza, riabilitazione, organizzazione sanitaria etc. In concreto, siamo tutti d’accordo che nulla è lecito fare che non abbia come fondamento una seria e diffusa ricerca scientifica che ne dimostri la validità. Come in un tribunale ci vogliono le prove per condannare o assolvere un imputato, così in medicina ci vogliono le prove per accettare o rifiutare una terapia, un vaccino, un esame di laboratorio. Non che questo non si facesse anche prima, ricercatori e medici scrupolosi ci sono sempre stati, ma oggi questo atteggiamento è diventato sistematico, accolto anche nelle leggi, e quindi non più ignorabile, anche volendo, da parte dell’intera categoria medica. Il risultato è stato che negli ultimi anni si è fatto piazza pulita, perché dimostrato inutile o dannoso, almeno due terzi di quanto eravamo abituati a fare, convinti che fosse giusto solo perché lo facevamo da tanto tempo o perché ce lo avevano insegnato venerandi o rinomati professori.

Fine di un mito

Detto questo, sappiate che nel mucchio dei rifiuti è finito anche lo “svezzamento”, almeno così come tutti i genitori, da almeno un paio di generazioni, lo hanno conosciuto. Quello, cioè, che le mamme si facevano insegnare dal pediatra, pur sapendo già in anticipo quello che sarebbe stato loro raccontato, tanto era banale, stereotipato e radicato nelle nostre abitudini. Quello uguale per tutti i lattanti, manco si trattasse di polli i batteria, fatto con lo stampino, fornito spesso dalle ditte di alimenti “per l’infanzia” con i prodotti già indicati. È finito tra i rifiuti proprio perché, andando a cercare le “prove” della sua ragione d’essere, queste prove non si sono trovate. Chiacchiere molte, fatti pochi. E invece si sono trovati molti fatti, in gergo tecnico”evidenze”, che ci hanno portato ad affrontare il cosiddetto svezzamento in maniera diametralmente opposta all’usuale.
Intanto dovremmo parlare non tanto di svezzamento, che indica più propriamente l’abbandono definitivo del latte materno, ma di passaggio da una alimentazione esclusivamente a base di latte ad una fatta di latte ed altri alimenti. Questa integrazione si rende necessaria perché il latte materno, a partire dai 6-8 mesi incomincia a perdere, per alcune vitamine e sali minerali, ma gradualmente, la sua completezza. Con l’introduzione, altrettanto graduale, di altri alimenti, definiti per questo “complementari”, è possibile supplire a queste progressive carenze e garantire al bambino una nutrizione adeguata. Si è dimostrata, in tal modo, l’inutilità, e anche la pericolosità in virtù dell’abbandono precoce del latte umano, di “svezzare” prima dei sei mesi, basata solo su semplici opinioni, più o meno interessate, che il latte umano diventasse precocemente inadeguato . Oggi le più importanti organizzazioni mondiali che tutelano la nostra salute, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Fondo per l’Infanzia dell’ONU (UNICEF), considerano il latte umano l’alimento ideale per i bambini fino a sei mesi di vita senza alcuna integrazione. E se manca il latte umano, va benissimo un “latte artificiale” (più propriamente definito come un alimento “sostituto del latte umano” fatto a sua somiglianza).
Altre ricerche hanno poi dimostrato che, sempre intorno ai sei mesi di vita, l’apparato digerente dei lattanti raggiunge la maturità necessaria per consentire l’introduzione di alimenti complementari. Tale maturità riguarda anche tutta la successione di movimenti indispensabili per l’assunzione, la masticazione (pur senza denti), lo spostamento laterale e all’indietro ed infine la deglutizione dei cibi solidi. Noi, abitualmente, non consideriamo la reale complessità dell’atto dell’assunzione di cibo, ma labbra, lingua, guance, mandibola, faringe etc., debbono lavorare in perfetta coordinazione per ottenere il risultato, e cioè che il boccone finisca in esofago e non in trachea, con immaginabili tragiche conseguenze. Il bambino acquisisce queste competenze da solo e non ha quindi senso, come ancora si vede fare, iniziare anche solo con la frutta, a 4-5 mesi, allo scopo di allenarlo all’uso del cucchiaino. A tempo debito lo farà spontaneamente, e gradualmente, senza impaccio, così come imparerà a camminare e parlare, senza che nessuno lo alleni attivamente prima del tempo.
Ma c’è di più. Per quanto possa oggi sembrare strano, i bambini sono anche in grado di svezzarsi da soli e, possiamo azzardare, lo sono sempre stati. Basterebbe pensare a quello che è il naturale comportamento di tutti i mammiferi superiori, scimpanzè e simili, per convincersene. E basterebbe anche tornare indietro nel tempo per scoprire che la convinzione che l’integrazione del latte umano con altri alimenti debba essere decisa da esperti, e non dall’interazione tra mamma e bambino, è, in effetti, relativamente recente. Fu negli anni venti-trenta del secolo scorso che, espropriando la competenza millenaria delle donne, si cominciò, sempre senza alcuna dimostrazione scientifica, ma secondo l’autorevole opinione dei professori Tale o Tal’altro, con l’individuare alimenti specifici per i lattanti, preparati sempre più meticolosamente, in quantità anch’esse ben calibrate, con tempi differenziati di introduzione ma, come abbiamo già detto, sempre più anticipati, e, infine, con professionali raccomandazioni alla cautela, quasi a dire:”State attenti che questa roba fa male, ma gliela diamo ugualmente”.
La storia, quella scientifica intendiamo, seppure con cospicuo ritardo, ha poi fatto giustizia, riportando alla luce, nel lavoro di ripulitura dalle chiacchiere, numerosissime ricerche, distribuite anch’esse lungo quasi tutto il secolo scorso e dimenticate chissà perché, che ci hanno fornito un complesso di informazioni relative al comportamento dei bambini in età di “svezzamento” assolutamente sorprendenti. Informazioni poi, e questo è ancora più sorprendente, alla portata di tutti, genitori e pediatri, ma, fuorviati come eravamo, assolutamente male interpretate. Ci riferiamo a quella eccitazione che i bambini mostrano di solito quando si trovano ad assistere al pasto dei genitori, sgranando gli occhi, ai tentativi, allungando tronco e braccia, di arrivare al piatto e, potendolo fare, di arraffare il cibo e portarselo alla bocca, e di solito mostrando di volerci riprovare quale che sia il sapore gustato; alla preferenza, così riferita, di cibi saporiti dei genitori rispetto alle loro scialbe pappette, pur iniziate già da parecchio tempo, costante in tutte le diverse culture. Nella nostra profana confusione noi, pediatri e genitori, parlavamo di bambino capriccioso, furbo, pigro, viziato, inappetente, e comunque incompetente.
In realtà poiché, come avviene per tutto il periodo del suo sviluppo, l’istinto di conservazione gli suggerisce di imitare i suoi genitori qualunque cosa facciano, nel caso del pasto della famiglia, trattandosi di un bambino per cui mangiare fino a quel momento ha voluto dire solo succhiare, senza esperienza di altri cibi, solo dopo aver assaggiato e deglutito quello che ha portato alla bocca, e più di una volta, lui comprende che si tratta di qualcosa assimilabile a cibo. Inoltre sappiamo anche che il feto, bevendo per mesi il liquido amniotico, fa esperienza di tutti i sapori e odori del cibo assunto dalla mamma, e lo stesso avviene con il latte materno. Questo mette i lattanti in grado, gli scienziati lo hanno ripetutamente dimostrato, di riconoscere questi sapori sia nel latte che nei cibi solidi e, contrariamente a quanto popolarmente fantasticato, anche di apprezzarli maggiormente. In ogni caso, vi dovrebbe essere ormai chiaro, lui preferisce quel che mangiano i genitori non perché è più buono, ma, semplicemente, proprio perché lo mangiano i genitori. Non sono, infatti, altrettanto interessati ai pasti o alle offerte di cibo degli sconosciuti. Mirabilmente tutti pezzi di questo puzzle si ricompongono intorno all’età di sei mesi come se fosse una fase di sviluppo obbligata come tante altre. Verrebbe da dire: ”Sembra quasi come se ci facesse capire di volere alimenti diversi dal latte proprio quando comincia ad averne bisogno e si sente pronto a farlo con successo e senza rischi, fidandosi di quel che facciamo noi genitori”. E di chi dovrebbe altrimenti fidarsi? Ricambiamolo fidandoci di lui. D’altra parte, ci siamo fidati di lui fin da neonato praticando l’allattamento a richiesta, a maggior ragione, ora che è più maturo, e quanto!, continuiamo a fidarci praticando lo “svezzamento a richiesta”. Viste le premesse e i risultati concreti che abbiamo ottenuto mettendole in pratica quotidianamente con i bambini, proprio questa è la nostra convinzione e ci auguriamo che diventi anche la vostra.
Quello che prima si faceva solo per esperienza e tradizione, ora possiamo farlo con la sicurezza che ci deriva dalle nostre conoscenze, e dal riconoscimento dei nostri passati errori. Assunti i sei mesi di vita, giorno più giorno meno, come limite minimo, quando il bambino comincerà a mandare i suoi segnali di interesse per ciò che state mangiando, perché solo quello vuole, non dovrete far altro che accontentarlo. Potete farlo in occasione di qualsiasi pasto. Dando per scontato che la vostra dieta sia corretta sotto tutti i punti di vista, qualitativo e quantitativo (e se non lo è, sarà l’unica cosa che dovrete farvi insegnare dal vostro pediatra), dovrete tener conto soltanto del fatto che il vostro bambino non ha i denti, e frantumare perciò i bocconi, così come dovremmo far noi adulti masticando. Basteranno pezzettini per la pasta e il pane, una triturazione più fine per la carne (va bene anche un piccolo trita-prezzemolo) e ancora di più per verdure e frutta, data la loro indigeribilità per i non erbivori, come noi siamo. Un cibo che non fa male a voi, non farà male neanche a lui. Gli alimenti cosiddetti “speciali per bambini” sono fatti con le stesse materie prime dei vostri, solo preparati dall’industria. Ricordate sempre che furono inventati per svezzare i lattanti immaturi di due-tre mesi; il vostro vecchione di sei-sette mesi non ne ha più bisogno. Questa età, anche questo aspetto è stato attentamente studiato, mette inoltre al riparo dai tanto temuti rischi allergici, rendendo inutile ritardare l’introduzione degli alimenti ritenuti più in causa nelle allergie, quali uovo, pesce, frutta secca, etc. Altrettanto inutile, si è visto, è eliminare il sale; nessuno ha infatti potuto dimostrare una sua pericolosità. Senza contare che, pur raccomandando esplicitamente di escluderlo, lo abbiamo sempre aggiunto, ahi che figura!, mimetizzato nel formaggio parmigiano.
Spizzicando ai vostri pasti la sua richiesta di latte diminuirà proporzionalmente. Ogni giorno il numero degli assaggi aumenterà, tanto da trasformarsi, in settimane o mesi, in un vero pasto, con il mirabile risultato che un bel giorno scoprirete che il vostro bambino mangia normalmente con voi, ai vostri orari, i vostri stessi piatti, sempre con appetito (il suo) e senza lasciare nulla perché è lui che chiede e voi che concedete, e non il contrario. Non mettetegli fretta! Le carenze del latte materno e quindi l’opportunità integrarlo, che è l’obiettivo del bambino, insorgono gradualmente, e non massivamente, tanto da rendere necessaria la immediata sostituzione di una intera poppata. Il vostro bambino potrebbe arrivare a fare un pasto complementare completo, magari spezzettato in tanti piccoli assaggi dispersi lungo la giornata, anche a 9-10 mesi, senza alcun danno. Più forzerete la mano, più rischierete di andare incontro a rifiuti, conflitti, ansie, fallimenti. A voler cambiare a forza ciò che è naturale, si rischia solo di rovinarlo.
Imparate a mangiar bene, fidatevi di lui e vivrete felici.




• Tenere sempre il bambino a tavola con i genitori non appena in grado di stare seduto con minimo appoggio sul seggiolone o in braccio

• Aspettare i sei mesi circa come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’UNICEF

• Aspettare le richieste di cibo del bambino, di solito il tentativo di raggiungerlo con le mani o uno sguardo sostenuto ed eccitato

• Soddisfare qualsiasi sua richiesta, sempre e ovunque, purché si tratti di cibo idoneo a giudizio dei genitori

• Smettere gli assaggi se il bambino smette di chiederli, o se il pasto della famiglia è finito

• Non cambiare ritmi e durata dei pasti dei genitori. Il bambino deve, necessariamente, e lo farà senza alcuno sforzo, prendere il loro ritmo

• L’allattamento prosegue a richiesta fin quando la mamma e il bambino saranno, entrambi, d’accordo a continuarlo



Lucio Piermarini
#4

Un passo dopo l’altro


Tutti sappiamo che nello sviluppo di ogni bambino ci sono delle tappe obbligate, in quanto indispensabili alla sua sopravvivenza, come imparare a sorridere, manipolare gli oggetti, imitare gli adulti, parlare, camminare e così via. Ovviamente nessuno di noi, se il bambino è sano e libero da impedimenti fisici o ambientali, va a pensare che prima o poi non le possa raggiungere, né che si debba spronare affinché ci riesca. Anche se ci riesce difficile crederlo, lo svezzamento è considerato oggi un’altra di queste tappe di normale sviluppo che il bambino conquista senza bisogno di particolare aiuto; basta soltanto dargliene la possibilità. Chi può negare infatti che, a un certo punto dello sviluppo (come per altro succede a tutti i mammiferi), assumere cibo diverso dal latte sia indispensabile alla sua sopravvivenza? E quindi come si può pensare che un comportamento di importanza così vitale non sia stato programmato in maniera puntuale e reso, diciamo così, inevitabile come gli altri, ma affidato invece alla discrezione di qualcun altro?
Tutti sappiamo inoltre, per comune esperienza, che tutte le tappe di sviluppo o, diciamo meglio, le competenze del bambino, hanno un epoca di comparsa sì ben individuabile, ma diversa per ogni singolo soggetto, e quindi prevedibile in un ambito che va da un minimo a un massimo di età. Lo svezzamento non fa eccezione; ogni bambino avrà il suo momento ideale per iniziarlo, ma sicuramente questo non potrà realizzarsi, almeno nel rispetto dei vincoli naturali, prima di una certa età.
La raggiunta maturità consentirà al bambino di aggiungere in tutta sicurezza alla sua alimentazione, fino a quel momento esclusivamente a base di latte, la varietà di alimenti che nella sua cultura di appartenenza è sperimentata e conosciuta come salutare. Questo adattamento gli consentirà di soddisfare quelle esigenze nutrizionali che, prima o poi nel corso del suo successivo sviluppo fisico, con una alimentazione di solo latte, umano o artificiale, cominciassero ad emergere. Graduale la comparsa dei nuovi bisogni nutrizionali, graduale il ritmo del cambiamento.
Per non sbagliare i tempi basta rispettare il bambino, come tutte le mamme imparano, o almeno intuiscono, durante l’esperienza dell’allattamento. Il neonato, l’essere umano nel momento di maggiore fragilità e dipendenza, sa farci capire quando ha fame e quando è sazio (anche questa è una competenza vitale); perché dubitare che sappia ancora farlo quando è ben più maturo e competente? Il cibo è come l’aria che respiriamo, è vita, e nessuno lo rifiuta se ne ha veramente bisogno, a meno che la rinuncia non sia decisa in nome di un bene superiore. Potrebbe farlo un adulto o un adolescente anoressico, non certo un lattante il cui unico bene superiore è l’amore dei genitori da cui sa bene che dipende la sua sopravvivenza. Ecco che, quindi, entrare in conflitto con il proprio bambino durante i pasti non farà che sortire esattamente l’effetto opposto, un’ostilità di fondo nei confronti del cibo o, che non è certo meglio, una condiscendenza, per amor di pace, all’insistenza dei genitori, preludio a una futura obesità.
Con tutto ciò una mamma ha in ogni caso il diritto di preoccuparsi di tutto, e quindi anche di ciò di cui la ragione, e dotte letture come questa, consiglierebbero di non preoccuparsi. Di più, potremmo dire che sarebbe strano, quasi innaturale, se così non fosse. Sarebbe una negazione del naturale istinto materno di protezione del cucciolo non cogliere ogni minimo sospetto di pericolo. Per cui allarmatevi pure per un nonnulla, paventate il peggio per un insignificante rifiuto di cibo, fate innocentemente i vostri errori, perché non potete non farli, come tutti al mondo, ma poi dagli errori cercate di imparare a sbagliare sempre meno, magari anche sfruttando l’esperienza di chi di errori ha avuto il tempo di farne più di voi, come noi pediatri.


Lucio Piermarini
#5

E’ in verità una maestra di scuola imperiosa e ingannatrice l’abitudine, essa, senza parere, a poco a poco, mette su noi il piede della sua autorità: ma con questo inizio dolce e umile, poggiato e ben piantato che l’ha con l’aiuto del tempo, essa ci si manifesta in breve con un viso furioso e tirannico, sul quale non siamo più liberi neppure di alzare gli occhi….. Cito in prova……i medici che abbandonano tanto spesso alla sua autorità le leggi della loro arte. (Montaigne, 1533-1592)




“Chi dice la verità, prima o poi, viene scoperto” Oscar Wilde







Come una favola


C’era una volta, per la precisione 79 anni fa, una ricercatrice di Chicago, USA, tale Clara Davis, sconosciuta ai più, che si mise in testa di scoprire se i bambini in epoca di svezzamento fossero in grado di regolare, autonomamente, in qualche modo l’assunzione di cibo. Questa volontà nasceva dalla necessità di affrontare e, possibilmente, risolvere i numerosissimi problemi di appetito e di qualità della dieta presenti nei bambini dell’epoca. Il suo dubbio era che i bambini mangiassero poco e male, non per loro spontanea volontà, ma perché costretti a rispettare rigidamente le dosi che la scienza nutrizionale dell’epoca considerava adeguate per loro, impedendo la loro libera sperimentazione e, così, privandoli di una sorta di primitiva, istintuale capacità di aggiustare la dieta a seconda delle proprie individuali necessità. Cercò allora di ricreare una situazione in cui i bambini, 15 in tutto, di età intorno ai sei mesi, potessero procurarsi liberamente il cibo. Certo, quello che a lei riuscì di fare allora, forse oggi non sarebbe neanche proponibile, ma, io credo, solo per una bigotta cecità scientifica e non perché eticamente inaccettabile.
Furono scelti 32 alimenti diversi, dieci di origine animale, vale a dire latte, pesce e carne, frattaglie comprese, e gli altri di origine vegetale, sia cotti che crudi, più acqua e sale, tutti al naturale, cioè non mescolati con altri ingredienti, e ognuno servito su un piatto proprio. Ai benpensanti (?), che un bambino di quella età si possa alimentare in tal modo, farebbe accapponare la pelle; fatto è che, invece, i bambini studiati, una volta imbandita la tavola, cominciavano prima a mostrare interesse per ogni cosa che vedevano, e non solo il cibo ma anche la tovaglia, i piatti, le posate e tutto il resto, e poi ad indicare questo o quell’altro. A questo punto, e solo a questo punto, il personale di assistenza offriva al bambino quanto richiesto. Lui accettava, assaporava, e poi richiedeva la stessa cosa o cambiava obiettivo. Ogni bambino veniva assecondato qualunque cosa chiedesse, per quanto strano e inortodosso potesse apparire il pasto sulla base delle indicazioni ufficiali dell’epoca (non molto dissimili dalle attuali, in verità). Pian piano ogni bambino sviluppò i suoi gusti e le sue preferenze, senza per questo restringere di molto la varietà dei cibi richiesti. Questo avveniva almeno tre volte al giorno ed è stato continuato per sei anni, annotando, bambino per bambino, cosa e quanto mangiasse. I lettori assidui di UPPA già immagineranno come è andata a finire. La signora Davis scrive nelle sue conclusioni: “Tutti i bambini sono riusciti ad alimentarsi correttamente; tutti avevano un poderoso appetito; tutti sono cresciuti bene”. Penate che sono stati analizzati, e allora senza computer, circa 36000 pasti, valutando il rapporto fra alimenti vegetali e animali, calorie, percentuali di proteine, grassi e zuccheri, e, seppure in modo indiretto, l’adeguatezza dell’apporto di vitamine e minerali. Tutto risultò ricadere nei limiti definiti corretti dalle tabelle nutrizionali e tutto era stato, alla fin fine, frutto delle scelte spontanee dei bambini.
Ma, come lo chiama maliziosamente la stessa ricercatrice, c’è il trucco: la disponibilità di soli alimenti “sani”. E nel caso specifico, anche più sani di quanto chiunque oggi pretenderebbe, come abbiamo detto sopra. Addirittura sempre al naturale, senza quei, anche limitati, accorgimenti culinari che non negherebbe neanche il più esigente specialista di alimentazione infantile. Questo dimostra due cose. Primo, che i bambini mangiano, e apprezzano il mangiare (tutto indistintamente, a dispetto delle favole sull’avversione per verdure o cibi strani), senza che ci si debba, per forza, arrabattare ad escogitare ricette invitanti (o, peggio ancora, trabocchetti gastronomici). Se lo si fa, deve essere per il piacere, cultural-gustativo, di farlo. Secondo, che chi ha la responsabilità del bambino, nell’esperienza descritta il ricercatore, in famiglia i genitori, deve rendere disponibili alimenti salutari in sufficiente varietà. E qui, forse qualche volta o forse spesso, casca l‘asino, che poi, senza offesa, sareste voi genitori. Senza farvene nessuna colpa, è indiscutibile che la conoscenza di una corretta alimentazione non è così diffusa tra i genitori come sarebbe augurabile. Spesso sono i bambini della scuola dell’obbligo che, diligentemente, portano a casa le indicazioni ricevute da volenterose insegnanti, senza però che si aprano brecce significative nelle cattive abitudini che tendiamo a portarci dietro fin dall’infanzia. Lo studio della Davis si conclude infatti così: ”I bambini debbono poter scegliere gli alimenti nelle mani dei loro genitori, così come è da sempre avvenuto”. Avete quindi una grossa, enorme responsabilità, e non potete lavarvene le mani con pochi mesi (fino a un anno? uno e mezzo? due?) di dieta milligrammata ricevuta da qualche pseudo dietologo, pediatra o meno che sia. Prima o poi vostro figlio mangerà con voi, e potrebbero essere guai per lui, come talvolta lo sono già per voi.
Questa favolosa esperienza, disgraziatamente, non è riuscita, vista la situazione italiana passata e recente, a valicare l’oceano o, se l’ha fatto, deve essere miseramente naufragata sulla spiaggia di qualche inaccessibile Baronia universitaria. E ciò, nonostante altri ricercatori avessero continuato e completato le sue esperienze con bambini della stessa età, ed anche più grandi, arrivando alle identiche conclusioni, ed aggiungendo altre conoscenze utili, a chi lo avesse voluto, per risolvere tutti i nostri dubbi in merito al comportamento più idoneo da tenere in famiglia riguardo l’alimentazione dei bambini. Qualcuno più acculturato potrebbe dire che si tratta di niente di trascendentale, e spesso tutto riportabile al buon senso e a qualche proverbio della bisnonna, però, e, vi garantisco, con tanti tromboni in giro, non è poco, non più una semplice affermazione ma il risultato di una seria ricerca; il che vuol dire inattaccabile dalle chiacchiere e dalle opinioni di chicchessia (i tromboni di cui sopra). Ed ecco allora dimostrata l’inutilità di graduare l’introduzione dei vari alimenti per il timore di allergie, la sciocchezza (lo dice la parola stessa) di eliminare completamente il sale, l’innocuità e l’apprezzamento dei cibi piccanti, peperoncino incluso. E, soprattutto, smentita l’utilità, anzi sottolineata la pericolosità, in termini di rifiuto di una opportuna varietà di alimenti, e di insufficiente o eccessiva crescita di peso, di tutte le tattiche di convincimento, dalle lusinghe alle minacce, dai piatti colorati a quelli più ghiotti, e così via, messe in opera da genitori mal consigliati per indurre il bambino a mangiare. L’effetto è esattamente l‘opposto di quello sperato.
In tutta questa storia, in definitiva, il messaggio chiave, come si dice nelle riviste scientifiche serie, è quanto sia importante, ancora una volta, aiutare i genitori a capire il vero valore della vita con i figli, per imparare ad apprezzarli e goderseli. E ve li godrete quando vi dirà, a suo modo: “Fatemi assaggiare che sono pronto”. Che poi non vuol dire altro che :“Mi fido tanto che, se lo mangiate voi, allora posso mangiarlo anch’io.”
Il problema è che, detto così, è troppo semplice per sembrare vero.

BOX
• Tenere sempre il bambino a tavola con i genitori non appena in grado stare seduto con minimo appoggio sul seggiolone o in braccio al genitore

• Aspettare i sei mesi circa come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’UNICEF

• Aspettare le richieste di cibo del bambino, di solito il tentativo di raggiungerlo con le mani o uno sguardo sostenuto ed eccitato

• Soddisfare qualsiasi sua richiesta, sempre e ovunque, purché si tratti di cibo idoneo a giudizio dei genitori

• Smettere gli assaggi se il bambino smette di chiederli, o se il pasto della famiglia è finito

• Non cambiare ritmi e durata dei pasti dei genitori. Il bambino deve, necessariamente, e lo farà senza alcuno sforzo, prendere il loro ritmo

• L’allattamento prosegue a richiesta fin quando la mamma e il bambino saranno, entrambi, d’accordo a continuarlo




Lucio Piermarini
#6

VIVA LA PAPPA COL POMODORO



Per l’ennesima volta la signora Severa arrivò in fondo a quelle dieci righe senza averne capito nulla. Non che l’articolo fosse complicato; si trattava di una di quelle riviste, di cui il suo pediatra riempiva la sala d’attesa, con la metà delle pagine zeppa di pubblicità per le mamme, e che hanno quindi tutto l’interesse di farsi capire. Piuttosto era del tutto distratta dall’apparente discussione, se così possiamo chiamarla, che si stava intavolando tra il suo piccolo e un altro bambino, con toni sempre più accesi e, pensava la signora Severa, forieri di possibili minacce alla incolumità della sua creatura. La sua preoccupazione dipendeva dal fatto che l’altra mamma, che lei non aveva mai visto prima di allora, sembrava del tutto disinteressata a quanto stava accadendo.
Finalmente la signora Candida, la mamma appunto dell’altro bambino, parve dedicarsi alla faccenda, senza particolare apprensione ed energia in verità, ma quanto bastava per dare un po’ di tregua alle preoccupazioni della signora Severa, che poté così finalmente concentrarsi sul suo articolo. Scoprì allora, scorrendo i vari punti ben messi in risalto, che il formaggio è un prodotto che si fa con il latte, che detto formaggio contiene quindi le stesse sostanze nutritive del latte, e che quindi durante lo svezzamento, quando il bambino necessita di mangiare altri alimenti oltre il latte, è importantissimo sostituire un pasto di latte con il formaggio, meglio ancora con un formaggino in vasetto che, pur contenendo meno sostanze nutritive del formaggio naturale, costa molto, ma molto di più.
Mentre la signora Severa leggeva e rileggeva l’articolo, non riuscendo a convincersi di aver avuto fino a quel momento delle idee così confuse sull’alimentazione, i due bambini si davano del gran buon tempo. Ad un ghee ghee dell’uno rispondeva l’altro con un oh oh oh. Di rimando partiva un prrrr.. interminabile, interrotto da un glo glo glo molto deciso. Il gioco andò avanti più o meno su questo tono per poi passare ad un crescendo in cui ai gorgheggi cominciarono ad accompagnarsi smorfie, sputacchiamenti, gran pugni sui passeggini e così via, fino a quando si affibbiarono reciprocamente un sonoro schiaffo l’uno sulla mano aperta dell’altro, come due sportivi che si congratulano l’un l’altro dandosi “il cinque”. La signora Severa sobbalzò, preparandosi già ad recriminare sul presunto assalto subito. La bocca le resto però aperta senza che ne uscisse parola, perché immediatamente il bambino della signora Candida cacciò un urlo tremendo, lunghissimo, diventando di tutti i colori. Ripreso un gran respiro ne approfittò immediatamente per cacciarne un altro e così via inconsolabile, fintanto che, con l’aria un po’ seccata, il pediatra non si affacciò sulla soglia chiedendo alla mamma se non fosse il caso di riportare il bambino un altro giorno, quando fosse stato un po’ più tranquillo. La signora Candida si scusò e si ricusò e, raccolte le sue cose, molto tranquillamente si congedò lasciando la signora Severa nella più profonda costernazione. Guardava infatti il suo bambino con aria mesta e confusa, dubitando che avesse una qualche responsabilità nell’accaduto, vista la sua faccia paciosa e furbetta, come di uno che la sa lunga.
Dubbi legittimi, perché in effetti chi fosse stato in grado di comprendere il gergo dei lattanti di quella età avrebbe ascoltato all’incirca un dialogo come questo:
- Ehi fratello! Sei nuovo?
- Sì, è la prima volta
- E così non sei mai stato prima da uno sbucciapiselli.
- Un che?
- Uno sbucciapiselli. Uno di quelli che ti spogliano, ti fanno sorrisi e moine, ti accarezzano la pancia e poi, quando meno te lo aspetti, le mani sul pisello e zac! Un dolore atroce per giorni.
- Ah! Ho capito di chi parli. Certo che ci sono stato, ma a me non è mai capitato niente di simile.
- Allora stai in guardia che qui ti capiterà. Ci sono passati tutti. Ma come mai hai cambiato?
- Guarda, non ne ho la minima idea. Non decido certo, e la mia mamma non è sempre facile da capire.
- A chi lo dici! È un po’ di tempo che non riusciamo comunicare. Specie da quando mi vogliono dare un certo mangiare nuovo. È un fatto che proprio non mi va giù.
- Anch’io mangio sempre roba nuova, ma non ho problemi. Certo la tetta è la tetta. Però anche le fettuccine ai funghi, il pollo all’arrabbiata e tutto il resto. C’è da leccarsi i baffi!
- Ma come! Ti danno quella roba lì! E come fai, che io ho provato l’impossibile e non ci sono riuscito? Mi sbraccio, sgrano gli occhi, mi pencolo dal seggiolone, sbavo che faccio schifo e niente. Come fanno a non capire che io voglio quello che mangiano loro, e che di quell’altra roba non mi fido?
- Che ti dico; io non dovuto fare sforzi particolari. Era già un po’ di giorni che li osservavo attentamente quando stavano a tavola. Poi, credo, vedendomi incuriosito di quello che portavano in bocca, me lo hanno offerto e io ho accettato. Capirai, io non sapevo neanche che cosa fosse, ma è stato un attimo e gliene ho chiesto subito di più.
- E io che devo mangiare sempre roba diversa dalla loro. Ma io mi impunto e non gliela mangio, o almeno il minimo indispensabile, poi serro la bocca o comincio a sputacchiare così, guarda….E loro a insistere con tutto un teatrino che non ti dico. Io li lascio fare, mi riempio ben bene la bocca e poi in questo modo, bleah…gli vomito tutto. E quando non ne posso più do dei gran colpi sul tavolo così…e, senza farlo apposta per carità, butto tutto all’aria.
- Ah, sei grande fratello! Ma dove l’ha scovata quella roba la tua mamma?
- Gliel’ha data lo sbucciapiselli l’ultima volta che sono venuto. L’ha riempita di vasetti e bustine colorate.
- Che dici? Bustine, vasetti? Oh Dio, vuoi vedere che….Ma sì, quella antipatica della sua amica, ce li aveva in borsa e glieli ha fatti vedere; e accennava a me. Ecco perché è venuta qui; perché il mio non glieli aveva dati. Lui sì che è un amico. E ora come faccio? Farò la tua stessa fine, sbucciato e cucinato a dovere!
- Senti fratello, non disperare. Ho un piano, ma bisogna agire subito. Questo sbucciapiselli qui è un tipo strano. Se qualcuno si mette a piangere a lungo e disturba, lui si presenta qui e ti fa riportare a casa. Per cui preparati a tirare fuori quanto fiato hai in corpo e spara al massimo.
- Va bene, farò come dici. Forse non ti rivedrò ma ti ricorderò sempre. Un momento, prima di lasciarti dammi “il cinque”….. Addio! Uaaaaaaaaaaaaaaaaaaa……..




Lucio Piermarini
#7

Fine di un mito


La medicina attuale si muove oggi alla luce di un semplice paradigma: ogni atto o procedura medica, per essere considerati validi, in senso lato, hanno bisogno di essere supportati da prove. Sono così finite nel cestino, anche se non per tutti i praticanti l’arte, un numero infinito di consuetudini mediche, e tra queste anche lo svezzamento, cioè l’introduzione di cibi solidi nella dieta di un lattante, così come è stato tradizionalmente inteso negli ultimi 50-60 anni.
Questo modello “moderno” nacque come diretta conseguenza di un repulisti generalizzato, e poco meditato, di quanto di vecchio ingombrasse la strada al progresso medico. Nel mucchio finì anche l’allattamento al seno, pratica obsoleta inadatta alla donna emancipata, e, appresso, lo svezzamento tradizionale, gestito dal sapere familiare, con tutti i suoi pregiudizi e credenze popolari. La massa dei pediatri accettò acriticamente questa tendenza, solo di quello si trattava, buttando via, come si dice, il bambino con l’acqua sporca. Il latte materno venne letteralmente umiliato, ridotto a povero alimento per poveri, spesso rifiutato fin dalla nascita, e si cominciò ad introdurre alimenti solidi fin dai tre mesi di vita, fidandosi delle rassicurazioni dell’industria, che si potesse dare un nutrimento diverso dal latte umano, ad un apparato digerente ancora immaturo con il minimo del rischio di far danni. Una maggiore indipendenza scientifica avrebbe consentito di rifiutare un cambiamento così radicale, conservando quanto di buono (tanto) c’era nel vecchio modello, e modificando quel (poco) che era evidentemente sbagliato.
L’alimentazione complementare (cioè lo svezzamento) a richiesta cerca di realizzare oggi quanto già si poteva allora. Il modello naturale di attaccamento affettivo madre figlio, e conseguente ottimale inizio della nutrizione al seno che si osservano alla nascita e, successivamente, la istintiva, positiva, risposta materna alla istintiva richiesta da parte del bambino del cibo della famiglia, sono i capisaldi scientifici su cui fondiamo questo nuovo vecchio modello. Nessuna fantasia, nessuna tendenza, nessuna filosofia; solo scienza, almeno per quanto ne sappiamo oggi.



Lucio Piermarini


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