SVEZZAMENTO A RICHIESTA
Premessa per non smettere di leggere alle prime righe
Un aspetto, in parte nuovo, della medicina, e della pediatria, degli ultimi 20-30 anni è stato ed è la condivisione, da parte della comunità, diciamo pure mondiale, degli scienziati, di una ben definita modalità di valutazione di tutte le procedure mediche, in altre parole tutto quel che riguarda prevenzione, diagnosi, cura, assistenza, riabilitazione, organizzazione sanitaria etc. In concreto, siamo tutti d’accordo che nulla è lecito fare che non abbia come fondamento una seria e diffusa ricerca scientifica che ne dimostri la validità. Come in un tribunale ci vogliono le prove per condannare o assolvere un imputato, così in medicina ci vogliono le prove per accettare o rifiutare una terapia, un vaccino, un esame di laboratorio. Non che questo non si facesse anche prima, ricercatori e medici scrupolosi ci sono sempre stati, ma oggi questo atteggiamento è diventato sistematico, accolto anche nelle leggi, e quindi non più ignorabile, anche volendo, da parte dell’intera categoria medica. Il risultato è stato che negli ultimi anni si è fatto piazza pulita, perché dimostrato inutile o dannoso, almeno due terzi di quanto eravamo abituati a fare, convinti che fosse giusto solo perché lo facevamo da tanto tempo o perché ce lo avevano insegnato venerandi o rinomati professori.
Fine di un mito
Detto questo, sappiate che nel mucchio dei rifiuti è finito anche lo “svezzamento”, almeno così come tutti i genitori, da almeno un paio di generazioni, lo hanno conosciuto. Quello, cioè, che le mamme si facevano insegnare dal pediatra, pur sapendo già in anticipo quello che sarebbe stato loro raccontato, tanto era banale, stereotipato e radicato nelle nostre abitudini. Quello uguale per tutti i lattanti, manco si trattasse di polli i batteria, fatto con lo stampino, fornito spesso dalle ditte di alimenti “per l’infanzia” con i prodotti già indicati. È finito tra i rifiuti proprio perché, andando a cercare le “prove” della sua ragione d’essere, queste prove non si sono trovate. Chiacchiere molte, fatti pochi. E invece si sono trovati molti fatti, in gergo tecnico”evidenze”, che ci hanno portato ad affrontare il cosiddetto svezzamento in maniera diametralmente opposta all’usuale.
Intanto dovremmo parlare non tanto di svezzamento, che indica più propriamente l’abbandono definitivo del latte materno, ma di passaggio da una alimentazione esclusivamente a base di latte ad una fatta di latte ed altri alimenti. Questa integrazione si rende necessaria perché il latte materno, a partire dai 6-8 mesi incomincia a perdere, per alcune vitamine e sali minerali, ma gradualmente, la sua completezza. Con l’introduzione, altrettanto graduale, di altri alimenti, definiti per questo “complementari”, è possibile supplire a queste progressive carenze e garantire al bambino una nutrizione adeguata. Si è dimostrata, in tal modo, l’inutilità, e anche la pericolosità in virtù dell’abbandono precoce del latte umano, di “svezzare” prima dei sei mesi, basata solo su semplici opinioni, più o meno interessate, che il latte umano diventasse precocemente inadeguato . Oggi le più importanti organizzazioni mondiali che tutelano la nostra salute, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Fondo per l’Infanzia dell’ONU (UNICEF), considerano il latte umano l’alimento ideale per i bambini fino a sei mesi di vita senza alcuna integrazione. E se manca il latte umano, va benissimo un “latte artificiale” (più propriamente definito come un alimento “sostituto del latte umano” fatto a sua somiglianza).
Altre ricerche hanno poi dimostrato che, sempre intorno ai sei mesi di vita, l’apparato digerente dei lattanti raggiunge la maturità necessaria per consentire l’introduzione di alimenti complementari. Tale maturità riguarda anche tutta la successione di movimenti indispensabili per l’assunzione, la masticazione (pur senza denti), lo spostamento laterale e all’indietro ed infine la deglutizione dei cibi solidi. Noi, abitualmente, non consideriamo la reale complessità dell’atto dell’assunzione di cibo, ma labbra, lingua, guance, mandibola, faringe etc., debbono lavorare in perfetta coordinazione per ottenere il risultato, e cioè che il boccone finisca in esofago e non in trachea, con immaginabili tragiche conseguenze. Il bambino acquisisce queste competenze da solo e non ha quindi senso, come ancora si vede fare, iniziare anche solo con la frutta, a 4-5 mesi, allo scopo di allenarlo all’uso del cucchiaino. A tempo debito lo farà spontaneamente, e gradualmente, senza impaccio, così come imparerà a camminare e parlare, senza che nessuno lo alleni attivamente prima del tempo.
Ma c’è di più. Per quanto possa oggi sembrare strano, i bambini sono anche in grado di svezzarsi da soli e, possiamo azzardare, lo sono sempre stati. Basterebbe pensare a quello che è il naturale comportamento di tutti i mammiferi superiori, scimpanzè e simili, per convincersene. E basterebbe anche tornare indietro nel tempo per scoprire che la convinzione che l’integrazione del latte umano con altri alimenti debba essere decisa da esperti, e non dall’interazione tra mamma e bambino, è, in effetti, relativamente recente. Fu negli anni venti-trenta del secolo scorso che, espropriando la competenza millenaria delle donne, si cominciò, sempre senza alcuna dimostrazione scientifica, ma secondo l’autorevole opinione dei professori Tale o Tal’altro, con l’individuare alimenti specifici per i lattanti, preparati sempre più meticolosamente, in quantità anch’esse ben calibrate, con tempi differenziati di introduzione ma, come abbiamo già detto, sempre più anticipati, e, infine, con professionali raccomandazioni alla cautela, quasi a dire:”State attenti che questa roba fa male, ma gliela diamo ugualmente”.
La storia, quella scientifica intendiamo, seppure con cospicuo ritardo, ha poi fatto giustizia, riportando alla luce, nel lavoro di ripulitura dalle chiacchiere, numerosissime ricerche, distribuite anch’esse lungo quasi tutto il secolo scorso e dimenticate chissà perché, che ci hanno fornito un complesso di informazioni relative al comportamento dei bambini in età di “svezzamento” assolutamente sorprendenti. Informazioni poi, e questo è ancora più sorprendente, alla portata di tutti, genitori e pediatri, ma, fuorviati come eravamo, assolutamente male interpretate. Ci riferiamo a quella eccitazione che i bambini mostrano di solito quando si trovano ad assistere al pasto dei genitori, sgranando gli occhi, ai tentativi, allungando tronco e braccia, di arrivare al piatto e, potendolo fare, di arraffare il cibo e portarselo alla bocca, e di solito mostrando di volerci riprovare quale che sia il sapore gustato; alla preferenza, così riferita, di cibi saporiti dei genitori rispetto alle loro scialbe pappette, pur iniziate già da parecchio tempo, costante in tutte le diverse culture. Nella nostra profana confusione noi, pediatri e genitori, parlavamo di bambino capriccioso, furbo, pigro, viziato, inappetente, e comunque incompetente.
In realtà poiché, come avviene per tutto il periodo del suo sviluppo, l’istinto di conservazione gli suggerisce di imitare i suoi genitori qualunque cosa facciano, nel caso del pasto della famiglia, trattandosi di un bambino per cui mangiare fino a quel momento ha voluto dire solo succhiare, senza esperienza di altri cibi, solo dopo aver assaggiato e deglutito quello che ha portato alla bocca, e più di una volta, lui comprende che si tratta di qualcosa assimilabile a cibo. Inoltre sappiamo anche che il feto, bevendo per mesi il liquido amniotico, fa esperienza di tutti i sapori e odori del cibo assunto dalla mamma, e lo stesso avviene con il latte materno. Questo mette i lattanti in grado, gli scienziati lo hanno ripetutamente dimostrato, di riconoscere questi sapori sia nel latte che nei cibi solidi e, contrariamente a quanto popolarmente fantasticato, anche di apprezzarli maggiormente. In ogni caso, vi dovrebbe essere ormai chiaro, lui preferisce quel che mangiano i genitori non perché è più buono, ma, semplicemente, proprio perché lo mangiano i genitori. Non sono, infatti, altrettanto interessati ai pasti o alle offerte di cibo degli sconosciuti. Mirabilmente tutti pezzi di questo puzzle si ricompongono intorno all’età di sei mesi come se fosse una fase di sviluppo obbligata come tante altre. Verrebbe da dire: ”Sembra quasi come se ci facesse capire di volere alimenti diversi dal latte proprio quando comincia ad averne bisogno e si sente pronto a farlo con successo e senza rischi, fidandosi di quel che facciamo noi genitori”. E di chi dovrebbe altrimenti fidarsi? Ricambiamolo fidandoci di lui. D’altra parte, ci siamo fidati di lui fin da neonato praticando l’allattamento a richiesta, a maggior ragione, ora che è più maturo, e quanto!, continuiamo a fidarci praticando lo “svezzamento a richiesta”. Viste le premesse e i risultati concreti che abbiamo ottenuto mettendole in pratica quotidianamente con i bambini, proprio questa è la nostra convinzione e ci auguriamo che diventi anche la vostra.
Quello che prima si faceva solo per esperienza e tradizione, ora possiamo farlo con la sicurezza che ci deriva dalle nostre conoscenze, e dal riconoscimento dei nostri passati errori. Assunti i sei mesi di vita, giorno più giorno meno, come limite minimo, quando il bambino comincerà a mandare i suoi segnali di interesse per ciò che state mangiando, perché solo quello vuole, non dovrete far altro che accontentarlo. Potete farlo in occasione di qualsiasi pasto. Dando per scontato che la vostra dieta sia corretta sotto tutti i punti di vista, qualitativo e quantitativo (e se non lo è, sarà l’unica cosa che dovrete farvi insegnare dal vostro pediatra), dovrete tener conto soltanto del fatto che il vostro bambino non ha i denti, e frantumare perciò i bocconi, così come dovremmo far noi adulti masticando. Basteranno pezzettini per la pasta e il pane, una triturazione più fine per la carne (va bene anche un piccolo trita-prezzemolo) e ancora di più per verdure e frutta, data la loro indigeribilità per i non erbivori, come noi siamo. Un cibo che non fa male a voi, non farà male neanche a lui. Gli alimenti cosiddetti “speciali per bambini” sono fatti con le stesse materie prime dei vostri, solo preparati dall’industria. Ricordate sempre che furono inventati per svezzare i lattanti immaturi di due-tre mesi; il vostro vecchione di sei-sette mesi non ne ha più bisogno. Questa età, anche questo aspetto è stato attentamente studiato, mette inoltre al riparo dai tanto temuti rischi allergici, rendendo inutile ritardare l’introduzione degli alimenti ritenuti più in causa nelle allergie, quali uovo, pesce, frutta secca, etc. Altrettanto inutile, si è visto, è eliminare il sale; nessuno ha infatti potuto dimostrare una sua pericolosità. Senza contare che, pur raccomandando esplicitamente di escluderlo, lo abbiamo sempre aggiunto, ahi che figura!, mimetizzato nel formaggio parmigiano.
Spizzicando ai vostri pasti la sua richiesta di latte diminuirà proporzionalmente. Ogni giorno il numero degli assaggi aumenterà, tanto da trasformarsi, in settimane o mesi, in un vero pasto, con il mirabile risultato che un bel giorno scoprirete che il vostro bambino mangia normalmente con voi, ai vostri orari, i vostri stessi piatti, sempre con appetito (il suo) e senza lasciare nulla perché è lui che chiede e voi che concedete, e non il contrario. Non mettetegli fretta! Le carenze del latte materno e quindi l’opportunità integrarlo, che è l’obiettivo del bambino, insorgono gradualmente, e non massivamente, tanto da rendere necessaria la immediata sostituzione di una intera poppata. Il vostro bambino potrebbe arrivare a fare un pasto complementare completo, magari spezzettato in tanti piccoli assaggi dispersi lungo la giornata, anche a 9-10 mesi, senza alcun danno. Più forzerete la mano, più rischierete di andare incontro a rifiuti, conflitti, ansie, fallimenti. A voler cambiare a forza ciò che è naturale, si rischia solo di rovinarlo.
Imparate a mangiar bene, fidatevi di lui e vivrete felici.
• Tenere sempre il bambino a tavola con i genitori non appena in grado di stare seduto con minimo appoggio sul seggiolone o in braccio
• Aspettare i sei mesi circa come raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’UNICEF
• Aspettare le richieste di cibo del bambino, di solito il tentativo di raggiungerlo con le mani o uno sguardo sostenuto ed eccitato
• Soddisfare qualsiasi sua richiesta, sempre e ovunque, purché si tratti di cibo idoneo a giudizio dei genitori
• Smettere gli assaggi se il bambino smette di chiederli, o se il pasto della famiglia è finito
• Non cambiare ritmi e durata dei pasti dei genitori. Il bambino deve, necessariamente, e lo farà senza alcuno sforzo, prendere il loro ritmo
• L’allattamento prosegue a richiesta fin quando la mamma e il bambino saranno, entrambi, d’accordo a continuarlo
Lucio Piermarini