10-03-2012, 02:34 02
Ho appena quasi-finito di leggere Bésame Mucho, regalo della mia sorellina improvvisato e graditissimo. Dico quasi-finito perché ho sorvolato proprio sull'alimentazione, dato che questa fase non è "d'attualità" con Giovanni, ma voglio tornarci.
Come brevissima recensione vorrei dire che mi è piaciuto lo stile diretto e a volte umoristico dell'autore. Trovo geniale lo strattagemma di sostituire la descrizione del bambino con quella di una donna o di un nero: resta davvero impresso questo scambio di punti di vista. Ne ho apprezzato anche la chiarezza e il coraggio nel ribadire da che parte sta, cioè dalla parte dei bambini E dei genitori. Sulla ambiguità di molti testi, G. costruisce un discorso molto interessante che condivido in pieno. Ho appena finito di leggere un libriccino più specifico sulla scuola e l'età dell'asilo, pieno zeppo delle contraddizioni che Gonzales fa notare.
La corda che più mi ha toccato e - perché no - consolato e confortato è stata la decostruzione di molti modi comuni di crescere i figli, proposti come validi da presunte "scuole di pensiero", che fanno sentire in colpa i genitori se non le condividono, perché spacciate come "il bene del bambino".
In particolare, mi ha fatto riflettere la questione del ritmo e dei limiti.
Molti, credo, la giudicheranno forte, estrema. Forse. Forse ci sono adulti che riescono con più facilità ad avere giornate simili tra loro e a fare le stesse cose agli stessi orari e sono contenti. E' giusto, penso, che lo facciano appunto se sono contenti e se il loro bambino è contento.
Non lo dico con disprezzo, ma con ammirazione sincera.
Io l'ho sempre considerata un'utopia per la nostra famiglia, ma allo stesso tempo mi flagellavo (ax, ti chiedo i diritti) per non saper dare a mio figlio quella regolarità e quei limiti "chiari e distinti" che - secondo molti autori - sono il massimo desiderio del bambino.
Prima osavo solo pensare: ma i limiti, a dir la verità, ce li pone la vita.
E i limiti di noi tre compagni di vita sono anche più forti di altri: due lavori incerti, una casa non nostra, la mancanza di aiuti domestici, per noi adulti. E per il piccolo, la sua non-altezza, la sua inesperienza, il non camminare, eccetera, eccetera.
Se ci sono già questi, che bisogno c'è di mettere altri paletti, tipo: non si tocca qui, non si tocca là, in bagno non si entra (però in salotto sì e non si capisce bene perché), si dorme così, cosà, non si mangia per strada, non si esce dopo le 19, si mette questo o quel vestito: alcune cose tanto il bambino non le sceglie finché è piccolo e dopo che problema c'è se la maglietta è verde o rossa?
Naturalmente lo pensavo, pensavo di essere folle o quasi e comunque non l'ho detto mai a nessuno.
Stessa questione per il ritmo. Se noi abbiamo piacere ad andare a letto non troppo presto, perché dovrebbe essere diverso per un bambino che il giorno dopo non va a scuola?
Se ci fa piacere mangiare insieme, perché dobbiamo soffrire e mangiare separati (tanto poi si finisce per non mangiare) a tre orari diversi? Nessuno di noi tre fa aperitivi con gli amici o cene nei locali, almeno non regolarmente e se non ci sono ragioni di lavoro. E quindi che male c'è se nelle eccezioni ci portiamo Giovanni con noi?
Naturalmente vale anche l'inverso: che male c'è, pensavo, se Giovanni fa il pisolino dalle 16 alle 17, se ha sonno? Perché deve fare il pisolino alle 14 tutti i giorni, in tutte le stagioni, anche se non ha sonno?
Ovviamente avendo fatto allattamento a richiesta e as, non è che ci fossero molti ritmi e quindi mi adattavo a lui.
Ma pensavo, comunque, di essere una pazza...
Bésame Mucho mi ha confortato e consolato nel sapere che i limiti e certi ritmi ce li impone la vita stessa, con le sue necessità e il suo intrinseco svolgersi. Il resto è "affetto, contatto, rispetto e attenzione". E, ultima nota a margine, Gonzalés ha fatto una piccola crepa nella considerazione alta che ho nutrito finora per ALCUNI estremismi delle mie amate pedagogie di metodo.
Una lettura preziosa e un grazie a chi l'ha consigliata!
Come brevissima recensione vorrei dire che mi è piaciuto lo stile diretto e a volte umoristico dell'autore. Trovo geniale lo strattagemma di sostituire la descrizione del bambino con quella di una donna o di un nero: resta davvero impresso questo scambio di punti di vista. Ne ho apprezzato anche la chiarezza e il coraggio nel ribadire da che parte sta, cioè dalla parte dei bambini E dei genitori. Sulla ambiguità di molti testi, G. costruisce un discorso molto interessante che condivido in pieno. Ho appena finito di leggere un libriccino più specifico sulla scuola e l'età dell'asilo, pieno zeppo delle contraddizioni che Gonzales fa notare.
La corda che più mi ha toccato e - perché no - consolato e confortato è stata la decostruzione di molti modi comuni di crescere i figli, proposti come validi da presunte "scuole di pensiero", che fanno sentire in colpa i genitori se non le condividono, perché spacciate come "il bene del bambino".
In particolare, mi ha fatto riflettere la questione del ritmo e dei limiti.
Molti, credo, la giudicheranno forte, estrema. Forse. Forse ci sono adulti che riescono con più facilità ad avere giornate simili tra loro e a fare le stesse cose agli stessi orari e sono contenti. E' giusto, penso, che lo facciano appunto se sono contenti e se il loro bambino è contento.
Non lo dico con disprezzo, ma con ammirazione sincera.
Io l'ho sempre considerata un'utopia per la nostra famiglia, ma allo stesso tempo mi flagellavo (ax, ti chiedo i diritti) per non saper dare a mio figlio quella regolarità e quei limiti "chiari e distinti" che - secondo molti autori - sono il massimo desiderio del bambino.
Prima osavo solo pensare: ma i limiti, a dir la verità, ce li pone la vita.
E i limiti di noi tre compagni di vita sono anche più forti di altri: due lavori incerti, una casa non nostra, la mancanza di aiuti domestici, per noi adulti. E per il piccolo, la sua non-altezza, la sua inesperienza, il non camminare, eccetera, eccetera.
Se ci sono già questi, che bisogno c'è di mettere altri paletti, tipo: non si tocca qui, non si tocca là, in bagno non si entra (però in salotto sì e non si capisce bene perché), si dorme così, cosà, non si mangia per strada, non si esce dopo le 19, si mette questo o quel vestito: alcune cose tanto il bambino non le sceglie finché è piccolo e dopo che problema c'è se la maglietta è verde o rossa?
Naturalmente lo pensavo, pensavo di essere folle o quasi e comunque non l'ho detto mai a nessuno.
Stessa questione per il ritmo. Se noi abbiamo piacere ad andare a letto non troppo presto, perché dovrebbe essere diverso per un bambino che il giorno dopo non va a scuola?
Se ci fa piacere mangiare insieme, perché dobbiamo soffrire e mangiare separati (tanto poi si finisce per non mangiare) a tre orari diversi? Nessuno di noi tre fa aperitivi con gli amici o cene nei locali, almeno non regolarmente e se non ci sono ragioni di lavoro. E quindi che male c'è se nelle eccezioni ci portiamo Giovanni con noi?
Naturalmente vale anche l'inverso: che male c'è, pensavo, se Giovanni fa il pisolino dalle 16 alle 17, se ha sonno? Perché deve fare il pisolino alle 14 tutti i giorni, in tutte le stagioni, anche se non ha sonno?
Ovviamente avendo fatto allattamento a richiesta e as, non è che ci fossero molti ritmi e quindi mi adattavo a lui.
Ma pensavo, comunque, di essere una pazza...
Bésame Mucho mi ha confortato e consolato nel sapere che i limiti e certi ritmi ce li impone la vita stessa, con le sue necessità e il suo intrinseco svolgersi. Il resto è "affetto, contatto, rispetto e attenzione". E, ultima nota a margine, Gonzalés ha fatto una piccola crepa nella considerazione alta che ho nutrito finora per ALCUNI estremismi delle mie amate pedagogie di metodo.
Una lettura preziosa e un grazie a chi l'ha consigliata!