L’ultimo tabù sembra essere quello di offendere le donne che non hanno allattato e non far sentire in colpa chi non ha allattato. Mai dire apertamente che
- l’allattamento è il più indicato per il bambino,
- puntualizzare che la formula non è ugualmente valida,
- elencare i vari problemi, lievi, lievissimi o meno lievi, che possono essere ricondotti al latte artificiale.
L’imperativo è formulare un pensiero che non offenda chi non ha allattato. MAI far sentire in colpa che non ha allattato. Ma il timore è giustificato? Esiste davvero questo problema o è una creazione dei social e dei media?
Analizziamo la situazione.
Per come la vedo io, e certamente semplificando molto, le non allattanti si dividono in tre gruppi (teneteli a mente perché ricorrono spesso in questo articolo)
1. Chi non ha potuto
2. Chi non ha voluto
3. Chi dice che non ha potuto, ma in cuor suo pensa che avrebbe potuto fare di meglio.
Vediamo più in dettaglio:
1. Chi “non ha potuto” non può certo risentirsi quando sente dire che il latte artificiale è inferiore al materno. Sia che abbia vissuto problemi quali il ritorno al lavoro quasi immediato, una malattia o semplicemente non ci sia riuscita, era sufficientemente motivata a farcela, solo che, per vari motivi, purtroppo non ce l’ha fatta.
2. Chi “non ha allattato per scelta”, lo ha fatto con cognizione di causa valutando i pro e i contro. Quindi, anche se ne aveva la possibilità, per motivi suoi ha deciso di fare altrimenti. Di conseguenza, se una donna che ha scelto di non allattare legge di un nuovo lavoro scientifico che ha provato che il latte artificiale è inferiore al materno, non può risentirsi. Al massimo, se ritiene l’informazione valida e se ci sarà una prossima volta, in futuro potrà prendere in considerazione di fare una scelta diversa.
3. Il terzo gruppo è quello più problematico, almeno in teoria. Onestamente non so quanto creda a certe storie che mi capita di leggere, di madri che, per aver dato un biberon di latte artificiale, vengono volutamente fatte sentire a disagio da occhiate malevole e commenti taglienti fatti con intenti meschini. Piuttosto, mi chiedo quante di queste critiche non siano semplicemente da ricondurre all’ipersensibilità della madre e dal desiderio, più o meno inconscio, di essere criticata (un discorso simile si può fare anche per chi allatta, quanto meno i primi mesi, ma questa è un’altra storia).
E così tu – madre che non sei riuscita a risolvere i problemi legati all’allattamento o il modo di affrontarlo e pensi che ci siano delle questioni tuttora irrisolte – se qualcuno fa presente che effettivamente “breast is best” ti senti chiamata in causa in prima persona; per te tu hai fallito. La questione è se questo sentirsi chiamati in causa ha effetti positivi o effetti negativi.
Il desiderio di essere politically correct e non offendere le non allattanti pervade sicuramente i mezzi di comunicazione. Prendiamo ad esempio la notizia di uno studio pubblicato molto di recente (e che trovate qui) che collega l’allattamento prolungato a un quoziente intellettivo più alto. La prima volta ho letto la notizia sul sito della BBC che nel riportarla ha sentito il bisogno di aggiungere (il grassetto è mio):
Gli esperti dicono che anche se i risultati dello studio non sono definitivi, sembrano confermare le linee guida vigenti che i bambini dovrebbero essere allattati per sei mesi.
Ma dicono che le madri possono comunque scegliere se allattare o meno.
E cosa vuole dire? Per chiarire questo concetto l’articolo poi continua citando un altro esperto che dice:
Tuttavia riconosciamo che non tutte le madri scelgono o sono in grado di allattare e il latte formulato è l’unica alternativa al latte materno per i primi 12 mesi di vita del bambino.
In altre parole hanno pensato… “Hhhmmm… c’è questa notizia, ma come facciamo a scriverla senza offendere gran parte delle nostre lettrici?”
Il quotidiano The Independent invece ha pubblicato un editoriale dal titolo: “Quindi l’allattamento favorisce il QI del bambino; prova a dirlo alle donne che non riescono ad allattare” il cui contenuto potete facilmente indovinare.
In entrambi i casi più che discutere i de/meriti del lavoro, se ne critica a priori il contenuto in quanto considerato inadatto per le madri che non allattano per paura che le faccia sentire in colpa; tirare in causa le donne che non sono riuscite ad allattare a causa di vari problemi viene considerato tabù. Ma allora che facciamo, dichiariamo la ricerca sull’allattamento illegale?
E in Italia come è stata riportata la notizia? Finora se n’è parlato pochissimo e nessuna delle testate cartacee mi pare se ne sia occupata – anche se nel 2011 La Repubblica ha parlato di un simile studio polacco. L’Huffington Post ha pigramente riportato parte del contenuto dell’articolo già citato dell’Independent dal quale hanno selezionato, tra le altre, questa frase:
Questi studi, pur utili, portano una critica implicita a chi non riesce ad avere successo nell’allattamento
Quindi anche questa testata ha deciso, piuttosto che parlare dello studio in sé, di criticarlo per il fatto stesso di esistere. Il mantra è sempre il medesimo, non tirare in ballo chi non allatta per non farla sentire in colpa, anche se implicitamente. Il problema non è mai il tasso di allattamento o i problemi che circondano le donne che desiderano allattare, ma lo studio che chiaramente non andava fatto.
Queste non sono certo cose nuove. Mi ricordo che anni fa lessi un post che mi colpì molto su un blog personale di una mamma: parlava dei pericoli dal non allattamento – potete leggere il nostro sullo stesso argomento qui – ed elencava le solite controindicazioni quali maggiori problemi gastrointestinali, otiti, ecc., ma al termine l’autrice finiva con questa frase (mia enfasi):
“Detto questo è logico che se non potete/volete allattare al seno avrete comunque un bambino sano, intelligente e meraviglioso…
… ribadisco che [se] per un motivo o un altro non si può/vuole allattare, non colpevolizzatevi! Una mamma serena vale più di mille anticorpi!“
Ma allora che senso ha il post? Prima vuoi dare informazioni, ma poi mi dici che “è logico” che non contano per timore di far sentire in colpa la madre che non allatta?
Di esempi così è piena la rete, basta cercare su Google digitando le parole chiave preferite. Data la vastità delle testimonianze disponibili sembrerebbe vero che le madri che hanno avuto problemi con l’allattamento si offendano facilmente, o questo è il messaggio che passano i media.
Quello che però mi ha fatto scattare la molla e mi ha convinto a scrivere quello che leggete è stato il programma di Rai2 “Detto Fatto”. Premetto che fino all’altro giorno non ero al corrente dell’esistenza di questo spettacolo, né conoscevo la conduttrice, e devo ringraziare Marzia di Facebook per avermi segnalato che nella puntata del 23 marzo si parlava di svezzamento. Il programma è presentato dalla conduttrice Caterina Balivo, a quanto leggo anche lei è diventata madre di recente e almeno per un po’ sembra aver allattato – e, sì, questa informazione è rilevante.
Se volete vedere il pezzo sullo svezzamento (con cremine, brodini e liofilizzati vari) cliccate sul link poco sopra e cominciate dal minuto 26, ma non credo ne valga la pena. A me invece interessa cosa accade a partire dal minuto 38:26 e per i successivi 30 secondi circa e che vedete riassunto nel seguente “fotoromanzo”.
Il dialogo completo tra Caterina e la Pediatra ospite, che pare essere la sorella, è il seguente:
Caterina: Le mamme vanno in crisi, quando… quando c’è il passaggio dal latte allo svezzamento?
Pediatra: Allora, il latte resta comunque un alimento fondamentale per i bambini, Caterina. L’ideale è che anche l’allattamento continui fino al primo anno di vita (foto 1). Se però questo non è possibile…
Caterina: Scusami, l’allattamento… materno (foto 2)?
Pediatra: Esatto, fino al primo anno di vita (foto 3) è l’ideale sempre per il discorso degli anticorpi…
Caterina: Tanto, eh… però
Pediatra: È molto impegnativo; non sempre le mamme riescono, perché… comunque anche per esigenze lavorative, però sarebbe l’ideale. Se però questo non è possibile…
Caterina: Sì, però neanche far sentire in colpa le mamme che non hanno potuto allattare fino all’anno di vita! (foto 4)
Pediatra: Assolutamente, assolutamente…, Caterina…
Lasciamo perdere la questione su quale sia la durata ottimale dell’allattamento (o non ne usciamo più) ed esaminiamo invece la reazione della presentatrice che appare stupefatta alla sola idea che si possa allattare addirittura fino ai 12 mesi del bambino e che mette letteralmente le mani avanti per precisare che assolutamente non dobbiamo far sentire in colpa le madri che “non hanno potuto allattare fino all’anno di vita“. Che messaggio si sta facendo passare? Vediamo… Da una parte, ovviamente, che non si è mai visto un bambino allattato per un anno!! Dall’altra che eh però, se mi dici così poi chi non l’ha fatto si sente in colpa!!
Vediamo la logica dell’argomentazione per la quale le donne che non allattano (a lungo) non possono sentir parlare di allattamento (se non in termini negativi).
Mi direte che non c’è niente di male ad essere empatici e a mostrarsi sensibili verso il dolore del prossimo. In teoria sono d’accordo, ma… il problema è che si parte da premesse, a mio avviso, sbagliate in quanto si vede la madre che non è riuscita ad allattare (a lungo o meno a lungo, la durata poco importa) come un essere indifeso che va protetto e alla quale non bisogna far pesare in alcun modo il suo fallimento – parola non scelta a caso in quanto se non pensasse, anche se solo inconsciamente di aver fallito, farebbe parte del gruppo (1), ovvero di quelle che non hanno potuto allattare.
Riesaminiamo i tre gruppi di donne non allattanti:
1. Tra le donne che hanno effettivamente provato ad allattare, ma non ci sono riuscite, quante sono a sentirsi veramente offese quando sentono che la formula altro non è che un surrogato? Non ho statistiche alla mano, ma mi verrebbe da dire molte meno di quanto non si pensi, dopo tutto qual è la logica per la quale ci si dovrebbe sentire in colpa, del resto più che mettercela tutta uno non può.
Per cui la donna che non è riuscita ad allattare nonostante tutta la buona volontà non se la prenderà a male se le dicono, ad esempio, del legame tra QI e (non) allattamento e sarà grata che la formula esiste, altrimenti la situazione del suo bambino sarebbe stata ben più grave.
2. Neanche la donna che non ha voluto allattare se la può prendere se le capita di leggere che il latte formulato non è all’altezza del materno, perché ha fatto una scelta libera e senza costrizioni. Al massimo farà spallucce e passerà oltre, oppure interiorizzerà l’informazione e magari la userà in futuro.
3. Ritorniamo quindi alle donne consapevoli o di aver rinunciato troppo presto o di non aver perseverato abbastanza, o di non aver ricevuto il supporto necessario, ecc ecc.
Dobbiamo essere rispettosi di questa categoria? Certo, così come dobbiamo essere rispettosi nei confronti di tutti, ma senza essere condiscendenti, e questo è il punto chiave.
Quali sono i motivi che non fanno riuscire le madri ad allattare? Una lista assolutamente non esaustiva può comprendere:
- Pressione di chi ti sta intorno
- Poca motivazione
- Assistenza sanitaria di scarsa qualità
- Difficile combinazione lavoro, famiglia e allattamento
- Assenza di esempi di allattamento dal “vivo”
- ecc. ecc.
Che si allatti poco è purtroppo un dato di fatto (basta leggere le statistiche – alcuni esempi li trovate in questo articolo), ma come risolviamo questa situazione? A mio avviso molto semplicemente cambiando la prospettiva e il tipo di conversazione spostandoci da
“non facciamo sentire in colpa le madri che non hanno allattato (più o meno a lungo)” (atteggiamento per me per nulla empatico, ma estremamente condiscendente)
verso un più costruttivo
“coinvolgiamo le donne che sentono che non sono riuscite nell’allattamento per assicurarci che gli stessi sbagli non vengano ripetuti in futuro“.
Le donne che sentono di aver vissuto un allattamento fallito sono le più indicate per chiedere a gran voce un cambiamento di mentalità e nelle strutture che faciliti chi madre ancora non lo è. Dopo tutto loro hanno vissuto questi problemi in prima persona e sanno cosa vuol dire doversi scontrare con una realtà che non è quella che ci immaginavamo.
Chi insegna alle donne che verranno come aumentare la possibilità di allattare?
– Le donne per cui l’allattamento è stato una passeggiata hanno poco da insegnare.
– Quelle che non sono interessate ad allattare, non sono in grado di insegnare.
– Le donne che invece non sono soddisfatte di come sono andate le cose hanno tutto da insegnare e sono quelle che dovrebbero sbandierare studi come questi a destra e a manca esigendo a gran voce che chi diventerà madre domani o l’anno prossimo o tra 5 anni possa vivere un’esperienza migliore di quella che hanno vissuto loro, perché se lo meritano.
Senza essere uno psicologo, mi sembra lampante che un’esperienza catartica come questa le aiuterà a superare la delusione dell’allattamento fallito, molto, ma molto di più del nascondersi dietro (la paura) del senso di colpa, che è quello che, in modo condiscendente, teorizza tra gli altri la Balivo (e non posso non chiedermi… la Balivo a che categoria appartiene, la 1, la 2 o la 3?).
Se invece continuiamo come è stato fatto finora, con l’intoccabilità delle non-allattanti, garantiremo solo il ripetersi all’infinito della situazione attuale, ovvero tassi di allattamento molto bassi.
Se i problemi che hanno afflitto te non sono stati non solo risolti, ma neanche affrontati, chi verrà dopo di te si troverà nella stessa situazione. Nessun cambiamento, nessun miglioramento. Solo un ciclo che si ripete.
La donna che ritiene di essere stata informata male, assistita male, di non essere stata motivata, di non aver ritenuto l’allattamento sufficientemente importante, ecc. non vorrà cercare di aiutare le altre donne a risolvere il problema? Questa è la vera “sisterhood of motherhood” (come dice lo slogan pubblicitario di una ditta di latte artificiale americano) e non il silenzio e l’assenza di dibattito, come alcuni ci vogliono far credere, compresa la stessa ditta di latte artificiale che ha fatto suo questo messaggio in modo mirabile.
Il genere di (non) conversazione suggerito dai media non solo è sbagliato, ma nella migliore delle ipotesi è inutile e molto probabilmente controproducente.
[box]A chi non è riuscito ad allattare secondo i propri desideri, vi siete sentite frustrate/deluse a causa di ciò?
Se sì, come avete fatto a risollevarvi? Raccontatelo nei commenti.[/box]
322 risposte
Jennifer Visintini, proprio così… la nostra esperienza, per negativa che sia, può sempre diventare un aiuto positivo per qualcun altro.
Io ho allattato fino al 4 mese. Poi ho deciso di smettere, schiacciata dalla depressione post partum e dal non aver avuto nessun supporto. A volte mi spiace non essere riuscita ad allattare ma non mi sento in colpa e non me ne faccio una colpa. Per aiutare me stessa ed altre mamme, ho fatto un corso sul sostegno per l’allattamento al seno, portando la mia esperienza come esempio di cosa non fare. Ho aiutato ed aiuto molte mamme e sono felice di questo
Per curiosità, mi racconti come sono andati questo genere di incontri? Onestamente non riesco a immaginare che qualcuno se ne esca così davanti a te… L’unica che posso capire è che un bambino usa la tetta come il ciuccio (dato che sappiamo che il ciuccio è visto come la norma biologica…), ma il resto? Chi ti viene a dire in faccia che rovini tuo figlio? (la suocera non conta 😀 😀 )
Ti capisco benissimo, anche noi esperienza di tin e comunque abbiamo portato fuori l’allattamento al seno con successo!! Ma qui a Verona siamo fortunati, abbiamo una bella banca del latte (della quale poi sono diventata anch’io donatrice) ma capisco che non ovunque è così……
Credo entrambe le cose. Sentirsi dire che cosi rovino mio figlio, che è viziato, che usa la tetta come ciuccio (?), che cosi facendo non me lo levo più di dosso… Lo reputo offensivo.
Eh già perché l’unico messaggio invece che passa è che chi allatta ha avuto fortuna e chi invece non ci riesce deve essere difesa….. col cavolo! Chi non ha allattato non sa ….. non può immaginare la fatica anche fisica!
chi non allatta non defe affatto sentirsi in colpa, sono scelte
Certo, imporsi non serve. L’empowerment nasce solo se l’altro CHIEDE aiuto.
no, non voglio
Ma io non dico di tenere la bocca chiusa a mo’ di omertà, ma che dare dei consigli attivamente, senza essere chiesti, non ha effetto. Io inizialmente lo facevo, ma vedevo la faccia annoiata del tipo: “ecco un’altra super-mamma che mi vuole dare dei consigli”.
Ma mi ricordo io dal momento in cui ero incinta, tutti arrivavano coi buoni consigli e a un certo punto raggiungi un’assuefazione e non puoi, ma nemmeno volendo, ascoltare. Ma nemmeno se i consigli sono buoni.
Per questo parlo dei professionisti: se ti scegli un’ostetrica buona ascolterai prima di tutti i suoi consigli e poi il resto. (O alternativamente, come scrive un’altra mamma qui, se in ospedale almeno ti informassero dove poter ricevere aiuto professinonale)
E non è che non parlo con le mie conoscenti ed amiche, durante la loro gravidanza accenno alla mia storia (il più brevemente possibile, ma spesso anche lí credo di vedere le microespressioni d’annoiamento), faccio sapere che sarei stata contenta di sapere di non essere l’unica al mondo con quei problemi e se dovesse essere necessario mi metto a disposizione. Ma raramente poi qualcuna si rivolge a me. Credo che sia anche una questione troppo “intima”.
Ma credo che in linea di massima siamo d’accordo: Poterne parlare sarebbe ideale. Offrirsi sicuramente è un bene, ma imporsi non serve a niente.
p.s.: Abito a Vienna.