Delle micotossine si parla spesso, ma altrettanto spesso senza una chiara idea di cosa siano.
L’articolo di oggi viene preso da La questione cibo e presenta, molto brevemente, le problematiche relative a questo inquinante e perché non può essere considerato alla stessa stregua, ad esempio, dei pesticidi.
Cosa sono le micotossime? La Commissione Europea le descrive così:
[A]lcuni tipi di muffe originate da funghi producono temibili veleni come segnatamente la famiglia delle micotossine. Il termine micotossina viene dal greco «mycos» che significa fungo e dal latino «toxicum» che significa veleno. Esso designa le sostanze chimiche tossiche prodotte da alcune muffe che si sviluppano su alcuni prodotti alimentari, in particolare sui cereali.
A scanso di equivoci precisiamo subito che queste tossine dal nome inquietante – aflatossina, ocratossina, patulina, ecc. – si sviluppano solo partendo da specifiche muffe e funghi che crescono in determinate condizioni, e non hanno niente a che fare con i funghi normalmente in commercio o le muffe commestibili, come quella del gorgonzola.
Tanto per fare un esempio, credere che ci siano similarità tra gli champignon e il fusarium – che genera alcune tra le micotossine più comuni – è un po’ come pensare che siccome l’oleandro è velenoso, allora anche il rosmarino è a rischio.
Le micotossine possono causare, sia negli uomini che negli animali, nausea, febbre, vomito e rifiuto del cibo, a mutazioni nelle cellule, danni ai reni, iperestrismo, malformazioni, ecc. Come se ciò non bastasse, le peggiori sono altamente cancerogene.
In generale le possiamo dividere in tre gruppi a seconda della loro pericolosità:
- Gruppo 1: cancerogene per l’uomo (Aflatossine B1, B2, G1 e G2)
- Gruppo 2B: cancerogene per gli animali e possibilmente cancerogene per l’uomo (Aflatossina M1, Ocratossina A, Fumosina B1)
- Gruppo 3: non classificabili per la cancerogenicità sull’uomo (ZEN, DON, ecc.)
A differenza dei pesticidi, e al contrario di quanto molti credono, le micotossine sono un inquinante “naturale”, nel senso che non vengono introdotte volutamente dall’uomo, ma…
… sono prodotte dal metabolismo secondario di alcune specie fungine appartenenti principalmente ai generi Aspergillus, Penicillium e Fusarium sia a seguito di stress ambientali cui la pianta è stata sottoposta (ad es. estrema aridità del campo, mancanza di un assorbimento bilanciato di nutrienti, stress idrico), sia a causa di fattori ambientali come condizioni climatiche (stagioni aride o piovose), temperatura, umidità, attacco da insetti e volatili.¹
In altre parole, è possibile che un raccolto venga infestato da micotossine per motivi non interamente controllabili o prevedibili. Il clima è il principale fattore a determinarne la presenza: i Paesi più freddi tendono a esserne meno soggetti, mentre quelli caldi, tra cui l’Italia, ne sono molto più suscettibili. Da un anno all’altro i livelli possono variare enormemente con il variare della temperatura media, umidità, piogge e altre condizioni.
Per limitare i rischi di infestazione gli agricoltori metteranno in atto tutte le buone pratiche di raccolta, stoccaggio e movimentazione, ma ancora non è possibile garantirne il risultato. Nonostante la sperimentazione stia proseguendo a 360 gradi – dalla lotta diretta a quella indiretta, dalla biologica alla chimica – non si è ancora affermata una tecnica che garantisca il controllo di tali patogeni. Ad esempio, l’esperienza degli ultimi anni relativa alle aflatossine – le micotossine più pericolose – sul mais ci ha insegnato che l’unica pratica che ci permette di limitarne la presenza è la raccolta della granella con tenori di umidità elevata².
Siccome lo sviluppo delle micotossine è legato alle condizioni ambientali, prediligere prodotti biologici non protegge in nessun modo il consumatore. Non è chiaro se il biologico offra effettivamente meno garanzie del convenzionale: c’è chi afferma che i prodotti biologici siano più a rischio proprio perché su di essi si può utilizzare un numero inferiore di prodotti chimici; altri invece sostengono che non ci sia una sostanziale differenza tra i due metodi, per cui limitiamoci a dire che per quanto riguarda le micotossine i prodotti biologici sono quanto meno non migliori di quelli convenzionali. Ad esempio, se leggete questo interessante articolo trovate link a studi comparativi effettuati tra cereali convenzionai e biologici in Paesi diversi. Anche leggendo solo i commenti vedrete come sia difficile raggiungere una conclusione univoca.
Le micotossine sono molto resistenti, in quanto una volta entrate nella catena alimentare è estremamente difficile rimuoverle, se non distruggendo la partita contaminata e se ingerite non vengono eliminate con rapidità.
Ad esempio, se il foraggio che viene dato alle mucche da latte risulta contaminato, allora con tutta probabilità anche il loro latte lo sarà, anche se la tossina può aver cambiato composizione.
Lo stesso vale se si parla di animali da macello.
Quindi, riassumendo, le micotossine:
- si sviluppano naturalmente
- sono molto resistenti
- è pressoché impossibile eliminarle totalmente
- possono essere molto pericolose
Il panorama però non è drammatico come potrebbe sembrare, dopo tutto conviviamo con le micotossine dalla notte dei tempi e siamo ancora qui. Inoltre oggigiorno tutte le aziende che producono i prodotti finiti, come ad esempio la pasta, sono soggette a procedure di autocontrollo, analisi dei rischi, analisi qualitative e sanitarie, e così via, oltre ai controlli effettuati dalle autorità sanitarie, per cui la merce che troviamo sugli scaffali è tracciata e controllata.
Della definizione dei limiti ammessi si occupa il Regolamento (CE) n. 1881/200623 che elenca puntigliosamente, divisi per contaminante, tutta una serie di prodotti a base di cereali, ma anche carne, pesce, ortaggi, ecc. che fanno parte della nostra dieta di tutti i giorni. Il regolamento afferma che…
Si devono fissare tenori massimi a un livello rigoroso che sia ragionevolmente ottenibile mediante buone pratiche agricole, di pesca e di fabbricazione, tenendo altresì conto dei rischi associati al consumo degli alimenti. Nel caso dei contaminanti considerati agenti cancerogeni genotossici o qualora l’esposizione attuale della popolazione o di gruppi vulnerabili della stessa sia prossima o superiore alla dose tollerabile, occorre fissare tenori massimi al livello più basso ragionevolmente ottenibile (ALARA – as low as reasonably achievable). Tali approcci garantiscono l’applicazione, da parte degli operatori del settore alimentare, di misure volte a evitare e ridurre quanto più possibile la contaminazione, così da tutelare la salute pubblica.
Ma quanto sono rigorosi questi controlli? Oggigiorno non si sente parlare di avvelenamento da micotossine, ma non è stato sempre così. Pensate che, ad esempio, negli anni ’40 la tossina T1 e HT2 ha interessato il 10% circa della popolazione nella Russia orientale, provocando la morte del 60% dei soggetti colpiti – fortunatamente un’indagine del 2003 ha trovato che questo tipo di tossina è praticamente assente in Italia, mentre si trova su scala Europea.
Facciamo un balzo in avanti nel tempo e arriviamo in Italia nel 2012. Quello è stato un anno davvero drammatico per i coltivatori di mais in quanto il clima torrido e la forte umidità hanno contribuito a far impennare la contaminazione da micotossine, tra cui quella da aflatossina B1, che non solo è considerata cancerogena per l’uomo, ma è la più tossica in assoluto. Il risultato di tutto ciò è che circa il 30% del raccolto del 2012 si è trovato a tutti gli effetti sequestrato nei silos in quanto non compatibile per l’uso nella catena alimentare destinata all’uomo e perché non si sapeva come gestirlo in modo sicuro così da evitare di inquinare l’ambiente circostante3 4. Tutto ciò si è chiaramente rivelato un disastro per gli agricoltori coinvolti; il consumatore però deve sentirsi rassicurato da una storia di questo genere perché evidentemente i controlli ci sono e non si ha timore a mettere in atto i provvedimenti necessari.
E per quanto riguarda il baby food? Per chiarimenti mi sono rivolto alla Commissione Europea che mi ha risposto così:
I livelli massimi stabiliti per le micotossine potenzialmente presenti negli alimenti sono stati definiti per tutelare la salute di tutti i consumatori, compresi i più vulnerabili. Infatti nel definire questi livelli si è tenuto conto della necessità di proteggere i gruppi vulnerabili della popolazione, come i lattanti e bambini piccoli, nonché i gruppi di popolazione con un alto livello di assunzione di alcuni alimenti.
La definizione di un livello massimo di micotossine inferiore per gli alimenti specificamente indirizzati ai neonati e bambini piccoli riflette il principio che i livelli dovrebbero essere quelli più bassi ragionevolmente ottenibili; tramite un’attenta selezione delle materie prime questi livelli più bassi sono raggiungibili e perciò sono impostati dei limiti inferiori.
Ciononostante anche i livelli definiti per il cibo normale proteggono lattanti e bambini piccoli.
Confusi? E chi non lo sarebbe. In ogni caso, il principio di fondo, come anche nel caso dei pesticidi, è che per quanto riguarda la Commissione Europea, che ricordiamo legifera e monitora la qualità degli alimenti che troviamo nei negozi, il cibo – convenzionale, biologico, baby-food o altro – è cibo e deve essere sicuro per tutte le categorie, comprese quelle più vulnerabili. Se poi, per motivi storici o per eccesso di sicurezza o quant’altro, hanno anche deciso di definire un tipo di cibo che sia ancora più sicuro, ciò non toglie che quello ordinario sia da considerarsi sicuro per tutti5.
Infine, se volete saperne di più su cosa si fa nella Comunità Europea per quanto riguarda le micotossine, vi consiglio questo documento dell’EFSA aggiornato al 2020.
Se volete saperne di più sul perché i Piccolini Barilla devono riportare la dicitura “adatti dai tre anni in su”, allora leggete questo.
Bibliografia (in aggiunta ai link testuali)
¹ http://www.arpa.emr.it/documenti/arparivista/pdf2007_5e6/BreraAR5e6_08.pdf
² https://www.iss.it/documents/20126/45616/16_28_web.pdf/ab12c8a3-da39-97f6-955b-c2d2ac741813?t=1581099211820
https://www.iss.it/documents/20126/0/20-20+web.pdf/e002be7c-88eb-68c8-00d6-ed0d076091a3?t=1604321840232
5 http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2002:031:0001:0024:IT:PDF