Questo articolo mi è stato inviato da Alessia Folegatti, psicologa, che ha organizzato un incontro sul tema del corretto approccio dei bambini verso il cibo. Quanto segue è il resoconto di quanto è accaduto. Sicuramente è una lettura interessante.
Alessia Folegatti è laureata in Psicologia, dottore di ricerca in Neuroscienze e specializzanda in Psicoterapia Cognitiva. Tra il 2002 e il 2015 ha lavorato presso le Università di Torino, di Trento e presso il centro Inserm di Lione come ricercatrice in ambito Neuropsicologico. Attualmente svolge la libera professione in qualità di terapeuta a Torino e ad Avigliana (TO). Tra i suoi ambiti d’interesse hanno un posto privilegiato i disturbi dell’alimentazione e la psicologia perinatale. Alessia è mamma di una bimba di 6 anni.
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Sono una psicologa e una mamma e, oltre ad avere una solida conoscenza clinica dei disturbi alimentari, mi stanno particolarmente a cuore i problemi che i neo-genitori si trovano ad affrontare. Mi sono resa disponibile ad incontrare un gruppo di genitori di bimbi tra 0 e 3 anni per un intervento psicoeducativo sul tema del corretto approccio all’alimentazione. Il messaggio che mi preme far passare è semplice: i bambini sanno riconoscere i segnali della fame e della sazietà e basta avere un po’ di fiducia nella loro innata capacità di alimentarsi in giusta quantità per non vederli incorrere in disturbi alimentari nell’infanzia, e per prevenirli in adolescenza.
So che la preoccupazione principale delle mamme (e dei nonni!) è spesso che il proprio bimbo non mangi abbastanza e del corretto approccio dei bambini verso il cibo, e mi preparo a ripetere più volte la regola aurea: non insistere mai! Quand’ecco che entra Simona, mamma sulla quarantina, con Andrea, bimbo bello paffuto di 2 anni e mezzo, e mi dico “ecco, mi preparavo alle mamme preoccupate per l’alimentazione scarsa, e invece la prima che arriva dev’essere piuttosto preoccupata per l’eccesso di alimentazione di suo figlio…”. Subito dopo entrano Francesca e il marito Luca (un papà! Sono piacevolmente stupita!) e il piccolo Samuel, anch’esso tra i 2 e i 3 anni. Luca subito mi dice di essere venuto perché molto preoccupato per il figlio che a volte non vuole proprio mangiare nulla: “Come ieri sera! Non ha toccato niente a cena!”. Eccoci rientrati nella normalità della preoccupazione per la presunta inappetenza. Ciò che mi stupisce è però che la prima mamma arrivata, Simona, risponde “Sì, nemmeno il mio non mangia niente!” e io basita che penso “com’è possibile sostenere che Andrea non mangi nulla? Si vede chiaramente che è ben in carne…”
Seguono altre mamme (Luca rimarrà l’unico papà presente…) con bimbi dai 2 ai 3 anni, tutte preoccupate per l’inappetenza (presunta!) dei figli e per la scarsa varietà del loro menù.
Raccolgo informazioni sulle modalità adottate nell’approccio all’alimentazione: viene fuori ad esempio che uno dei bambini presenti mangia da sempre prima dei genitori. Sottolineo che forse coinvolgerlo nella cena di papà e mamma potrebbe fargli sperimentare la gioia e la convivialità del pasto e non farglielo percepire come una pratica forse un po’ sgradevole, ma i genitori sostengono che non sia possibile, perché il bimbo non mangia da solo ma dev’essere imboccato, cosa che non si può fare in contemporanea al pasto dei genitori…. La mia faccia deve avere tradito un’espressione di sconforto a questo punto: parliamo di un bimbo sano di 2 anni e mezzo! Non è pensabile che non sappia mangiare da solo, è più probabile che non glielo si sia mai permesso, poiché è più comodo e meno sporchevole imboccarlo. E infatti, appena accenno alla domanda se abbia mai mangiato da solo, la risposta immediata è “ma lui mangiava con le mani! quindi dovevamo imboccarlo noi!” Viene anche fuori che il bimbo alterna giorni in cui mangia normalmente ad altri in cui non tocca nulla, “oggi ad esempio ha mangiato pochissimo!” Faccio notare che il bimbo è molto raffreddato e probabilmente anche noi nel suo stato non avremmo tanta voglia di mangiare. Un’altra mamma mi espone la paura che il suo bimbo mangi poche proteine: il piccolo pare gradire solo pasta e pane e poche altre cose. Indagando meglio vien fuori che al bimbo piacciono il prosciutto, le uova e che beve grandi quantità di latte. Faccio quindi notare alla mamma che tutte queste sono proteine, ma lei non riesce ad accontentarsi e replica che le proteine nobili sono quelle della carne e del pesce, e inoltre suo figlio non vuol nemmeno mangiare i legumi. Chiedo se il bambino non mangi carne e pesce in nessuna forma e vien fuori che un po’ di pollo lo mangia e che gli piacciono i bastoncini di merluzzo (ok, non saranno proprio il massimo, ma accontentiamoci! E poi sono abbastanza sicura che un bimbo che mangia i bastoncini di merluzzo possa arrivare ad apprezzare anche un filettino di nasello con pomodoro e olive…). La mamma, non paga, replica ancora che però il pesce andrebbe mangiato 3 volte a settimana! E mica può dare 3 volte i bastoncini!… Le chiedo se lei e il marito mangino il pesce 3 volte a settimana ed è costretta ad ammettere che, al massimo, lo mangiano una volta. L’esempio è importante, ricordiamolo! Non posso pretendere da mio figlio ciò che io non ho l’abitudine o la voglia di fare.
Un’altra mamma è preoccupata per la stitichezza del figlio che si rifiuta di mangiare le verdure. Chiedo se vengano rifiutate proprio tutte le verdure e dalla risposta è chiaro che alcune, proposte quando il bimbo aveva 1 anno e non gradite allora, non sono state mai più ripresentate. I gusti dei bambini cambiano! E inoltre i bimbi possono essere restii ad assaggiare cose nuove, ma queste vanno comunque messe a tavola regolarmente per diventare alimenti noti ed aver la possibilità di essere un giorno assaggiate.
Faccio notare che tutti i loro bimbi appaiono in forma, nessuno sembra sottopeso, e sono tutti vivaci (corrono e urlano a tal punto che mi vien difficile farmi sentire dai grandi), quindi è probabile che mangino il giusto.
Il corretto approccio dei bambini verso il cibo
Nel mio intervento mi concentro sull’importanza del corretto approccio dei bambini verso il cibo e di non alterare i meccanismi innati di riconoscimento di fame e sazietà: in condizioni non alterate l’organismo umano utilizza dei segnali che guidano il soggetto a ricercare o meno l’assunzione di cibo (principalmente i livelli di alcuni ormoni nel sangue, come la leptina, l’insulina e la grelina). Tali segnali sono interpretati nel cervello dall’ipotalamo: due zone di tale struttura cerebrale, il cosiddetto centro della fame nella zona laterale e il centro della sazietà nell’area mediale, interagiscono tra loro regolando l’assunzione di calorie e mantenendo il peso stabile all’interno di un intervallo di pochi chili (nell’adulto). Nell’uomo la scelta degli alimenti però non avviene solo in base a necessità fisiologiche ma è condizionata da fattori di tipo ambientale, psicologico e sociale, quindi il comportamento alimentare può assumere un significato che si discosta molto dalla mera assunzione di calorie per rispondere al segnale di fame. Nel bambino può diventare un comportamento in cui si gioca la relazione con il genitore (o con chi si prenda cura di lui). Il cibo può quindi avere usi distorti: ad esempio un uso ricattatorio (“se non finisci il tuo piatto non puoi andare a giocare”) e più in generale un uso affettivo (“mangia tutto così fai contenta la mamma”). Il bambino che colga l’ansia del genitore intorno alla sua alimentazione può a sua volta imparare ad usare a suo favore le stesse armi e magari non mangiare finché non ottiene quello che vuole (un gioco, un cartone animato, il suo cibo preferito). L’insistenza poi è sempre controproducente: il bambino deve mangiare perché ha fame, non perché viene obbligato; inoltre, insistere con un bambino che rifiuti del cibo può portare a una resistenza più strenua e al rifiuto in blocco di qualsiasi nuova proposta alimentare. Anche le tattiche usate per far mangiare di più i bambini senza troppa consapevolezza vanno a intaccare la corretta percezione di fame e sazietà: se faccio mangiare il bambino distratto dalla tv, se lo imbocco facendo l’aeroplanino, se gli canto la filastrocca per mangiare, otterrò che ingurgiti qualche boccone in più quando magari è già intervenuto il senso di sazietà che però rimane ignorato. Mangiare ad ogni pasto qualche boccone in più rispetto a quanto il nostro corpo ci chiede può portare nel lungo periodo ad un aumento di peso e, quel che è più grave, a un non corretto approccio dei bambini verso il cibo e a una ridotta capacità di ascoltare i segnali di sazietà che il cervello ci rimanda. Ricordiamo inoltre che spesso noi adulti sovrastimiamo la quantità “giusta” di cibo che un bambino normale e sano dovrebbe mangiare.
Il mio consiglio è quello di interferire il meno possibile con tale meccanismo innato. Suggerisco pertanto alcuni comportamenti da adottare durante i pasti:
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Mangiare possibilmente tutti insieme rendendo il pasto un momento conviviale e piacevole per tutti.
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Lasciare al bimbo la possibilità di scegliere se e quanto mangiare, senza insistere in alcun modo (ripeto: non insistere in alcun modo!). Nessun bambino sano si lascerà morire di fame.
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Proporre sempre un menù vario, senza restringere il campo ai soli alimenti graditi. Prima o poi, se il bimbo non viene forzato, verrà spontanea la voglia di assaggiare qualcosa di nuovo: questo non significa che sicuramente prima o poi mangerà i broccoli, ma che magari arriverà ad apprezzare spinaci e carote….
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Aggiungo poi che per interessare il bimbo a cibi nuovi si può provare a coinvolgere il bambino nella preparazione dei cibi, proporzionalmente alle sue capacità. Ai bambini piace molto partecipare alle attività degli adulti: li fa sentire utili ed apprezzati.
Propongo in sostanza quella che Ellyn Satter, nutrizionista americana, definisce “divisione di responsabilità”: il genitore decide quando, dove e cosa si mangia, il bimbo decide quanto e se (e aggiungerei “come”) mangiare. È bene anche permettere un’esplorazione attiva del cibo, anche con le mani!, che permetta al bambino di sentire consistenza e profumo del cibo prima di decidere se assaggiarlo o no.
L’impressione che ho è che i genitori presenti mi ascoltino con interesse ma che non stiano ponderando davvero di cambiare le proprie abitudini, spesso dettate principalmente dalla propria comodità: imboccando il bambino si fa prima e non si sporca in giro, tenendolo davanti alla tv si fa ancora prima. Quello che propongo è un vero cambiamento di prospettiva che si sposta dal controllo sull’alimentazione dei figli verso il polo della fiducia: mi fido della capacità del mio bambino di nutrirsi a sufficienza, perché in lui è attivo un meccanismo di regolazione innato che gli fa sentire quando ha fame e quando è sazio. Spero che almeno qualche semino attecchisca qua e là.
Verso la fine lancio lo spauracchio dei disturbi alimentari dicendo che un bambino che si sa autoregolare e che mangia per fame e non per altri motivi ha meno probabilità di incorrere in un disturbo alimentare in adolescenza. Alcuni studi longitudinali rivelano che i bambini che mostrano problemi con l’alimentazione nella prima infanzia sono ad aumentato rischio per lo sviluppo di anoressia o bulimia in adolescenza (Marchi & Cohen, 1990). Almeno questo dovrebbe far presa…
La mia soddisfazione è venuta il giorno successivo all’incontro quando la mamma preoccupata per la carenza proteica del figlio mi scrive un messaggio “Grazie! Oggi mi sono goduta il primo pasto senza ansie dopo tanto tempo”.
Ah, Simona, la mamma del bimbo bene in carne, non ha fiatato per tutto l’incontro, ma uscendo mi ha presa in disparte per sussurrarmi: “Ho capito, sentendo le altre, che non mi posso proprio lamentare dell’alimentazione di Andrea… oggi a pranzo si è mangiato un bel piattino di pasta e fagioli…”. Meno male che almeno su di lei il mio intervento ha avuto un effetto positivo! Andrea avrà più chances di non diventare un adulto sovrappeso!
Nel suo intervento Alessia fa riferimento alla “Divisione di Responsabilità”, un concetto elaborato dalla nutrizionista americana Ellyn Satter e che trovate descritto in dettaglio nel suo libro Child of mine. Purtroppo questo libro è disponibile in Italia solo in versione Kindle e in inglese.
Tuttavia se la lingua non è un problema, vi consiglio ancora di più Love me feed me, di Katja Rowell, che è sicuramente meno impegnativo – e più breve – ma molto istruttivo e di sicuro impatto. Per chi sa l’inglese è una lettura a mio avviso obbligatoria. Sul libro della Rowell c’è anche l’articolo qui, che vi consiglio caldamente di leggere, “Se il bambino non mangia, non forzatelo!“, uno dei più popolari di tutto il sito.
(Disclaimer: al solito i link sono affiliati Amazon)
3 risposte
Ma il problema contrario? Un bimbo che mangia troppo? Sì, ha il momento in cui dice basta, ma è sempre troppo oltre! Da sempre mangia porzioni da adulti (continua a chiedere quando finisce, e se la pietanza è finita chiede pane…), ed infatti è davvero rotondetto, quasi 14kg a due anni appena. Mah, sarà che si autoregolano, ma il mio mica tanto…
eccomi qui: figlio di due anni e mezzo, autosvezzato, sempre fatto tutto quanto scritto nell’articolo dai 6 mesi. La sua crescita (come peso) è sempre al limite (al ribasso) ma è vivace ma non me ne preoccupo, meglio, non me ne preoccupavo, ma da qualche settimana ha iniziato a mangiare davvero poco poco …………………. lui ha già avuto fasi così, però ora comincia a dire “mamma ho mal di pancia” (il suo segno per indicare la fame) e non mangia lo stesso, respingendo ogni cosa. Io resto tranquilla, cerco di dargli latte di riso (unica cosa che gli va) ma inizio davvero ad essere, per la prima volta, preoccupata sull’alimentazione……
Anonima, difficile rispondere in modo costruttivo dato che non vi abbiamo visto “in azione”.
Mi viene da chiedere però, come sono le vostre dinamiche a tavola? Sicura che il bambino non si senta sotto pressione?
Rileggi questo:
http://www.autosvezzamento.it/se-il-bambino-non-mangia-non-forzatelo/
Inoltre, quando dice che ha mal di pancia, avete giù escluso che non ci sia altro? (ma c’è da dire che anche qui i morsi della fame vengono interpretati come “mal di pancia” 😀 )