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“Colichette” e spleen* neonatale


Bambino che piange, coliche del neonatoLe coliche del neonato, o come tanti genitori le chiamano, le “colichette”** hanno un’origine sconosciuta.  Si manifestano verso sera, sempre alla stessa ora con un pianto disperato e inconsolabile. Ricordo che quando Mario aveva appena un mese di vita ebbe questi malori serali e fu l’occasione per constatare come ogni neo-genitore intorno a me fosse in realtà un esperto di colichette.

Mi insegnarono a riconoscerle: “capisci che si tratta di coliche perché il neonato scalcia forte con le gambine e… ecco, fa proprio così come il tuo… tira indietro la lingua mentre piange, stringe i pugnetti e diventa tutto rosso”. Mi spiegarono quale posizione dovesse assumere il bambino: “fallo passeggiare tenendolo sul tuo avambraccio a pancia in giù e dando pacche sulle schiena”. Mia cognata mi disse persino che “quando hanno le colichette, sembrano posseduti”. La signora che veniva a fare le pulizie, poi, fece degli strani segni sul pancino del bimbo (naturalmente senza che glielo avessi chiesto) pronunciando cantilene dialettali: una sorta di rituale che da noi viene chiamato “sfascino” o “calmo” (quanto ‘dobbiamo’ al medioevo!).

Fatto sta che non potevo accontentarmi dei pur spassionati consigli ricevuti. Il pupo continuava a piangere. La pediatra mi aveva dato delle gocce a base di camomilla e finocchio che, oltre a non essere minimamente utili, stavano irrimediabilmente macchiando tutte le tutine di mio figlio! Ovviamente neanche prendevo in considerazione l’idea di dargli farmaci, fondamentalmente perché non accettavo il presupposto che fosse malato. Dovevo andare a fondo del  problema.

Le coliche del neonato

Di primo acchito mi tuffai nel mondo di internet cercando “coliche neonato”.
In rete, generalmente, si ipotizza che le cause del fastidio siano l’aria che ristagna nello stomaco e nell’intestino, non ancora ben rodati, del bimbo piccolo, oppure un’intolleranza al lattosio o a qualche altro alimento. Ma entrambe le ipotesi risultano fermamente smentite dalle seguenti constatazioni:

  • i farmaci antimeteorici non hanno nessun effetto positivo (mentre di effetti collaterali ne hanno fin troppi);
  • i malesseri si manifestano tanto nei bimbi allattati al seno, quanto in quelli allattati artificialmente (cosa mangeranno mai queste mamme e queste mucche?);
  • si manifestano solo verso sera e sempre alla stessa ora;
  • compaiono verso le tre settimane di vita del bimbo per scomparire, così come sono venute, verso i tre mesi;
  • sembra che sia un fenomeno tipico del mondo occidentale***.

Naturalmente, ciò che avevo trovato in rete non poteva soddisfarmi perché le evidenze che smentivano i presupposti teorici erano davvero troppe. E il piccolo continuava a piangere.

Per fortuna, leggevo in quel periodo gli splendidi libri di un pediatra spagnolo illuminato, Carlos Gonzalez (autore di “Besame mucho”, “Un dono per tutta la vita” e “Il mio bambino non mi mangia”) che sembrava avanzare un’idea tutta sua sulle famigerate colichette.

Sempre accorto, sensibile e arguto, Gonzalez attribuiva questo malessere alla tendenza, tipica della nostra società, di lasciare a lungo i bambini soli nelle cullette (o similari contenitori di plastica). Insomma, poiché la nostra è una società “a basso contatto” e poiché l’uomo, invece, necessita di un forte contatto, soprattutto quando si affaccia alla vita, questa discrasia manderebbe in tilt il neonato che, geneticamente, sente solo la necessità impellente di essere protetto ed accudito e tenuto il più possibile pelle a pelle. Teoria affascinante e che condivido certamente, ma che non spiega un punto: perché sempre di sera ed alla stessa ora?

La risposta me la suggerì il mio bambino. Dopo essermi così documentata sulle coliche dei neonati, decisi di sposare la teoria di Gonzalez, dando però anche credito anche alle teorie “fisiche” ed eliminando i latticini (ad eccezione del grana) dalla mia alimentazione (mio figlio era – ed è tuttora – allattato a richiesta). Mario non si staccò più da me. Lo tenevo sempre nella fascia. Dormiva sempre con me. Fu finalmente coccolato e protetto come entrambi desideravamo, senza  più condizionamenti esterni (il solito, noiosissimo, banale, stantio “così lo vizi”).

"Colichette" e spleen* neonatale – coliche del neonato
Le coliche del neonato: un ritorno alla notte dei tempi?

Le coliche sparirono. O meglio si trasformarono in una sorta di lamento serale, quasi un canto africano, che si presentava, puntuale al tramonto. Eravamo, in quei giorni d’estate, in paese e ricordo che facevo lunghe passeggiate con Mario appoggiato sulla mia spalla sinistra a pancia in giù. Sentivo questo suo lamento e osservavo il sole rosso calare e davvero mi sembrava di vivere qualcosa di ancestrale, di primordiale. Fu allora che mi balenò una strana idea ed elaborai una mia teoria sulle colichette. Pensai a come l’uomo, in realtà, è un “predatore diurno”; a come le sue capacità si riducano notevolmente dopo il tramonto; a come ci si poteva sentire spaesati ed indifesi di fronte all’immensità della Natura e alle innumerevoli ed inquietanti presenze di predatori notturni. Ed immaginai uno scenario alla Kubrick (agli albori dell’umanità…) con un nucleo di umanoidi che, mentre osservano questa enorme e sacra sfera luminosa che cala giù sprizzando fasci di luce rossastra, intonano un lamento malinconico e struggente, a salutare il giorno che va via ed a prepararsi per la notte fredda, stando uniti e vigili.

Del resto ognuno di noi conosce quella malinconia che accompagna i tramonti, e la paura della notte, genetica e biologica, che si trasforma in eccitazione adrenalinica in chi la sfida (e che tanto fascino esercita sugli adolescenti). Siamo creature che vivono di luce solare.

Teorizzai allora, ovviamente in quanto madre e senza nessuna pretesa di valore scientifico, che questo malessere serale altro non fosse che un ricordo lontano di quella malinconia. Una paura tracciata nel nostro DNA che riaffiora quando ci sentiamo soli e spaesati, proprio come un neonato che non viene tenuto in braccio. Proprio come il mio bimbo che con quel suo strano canto sembrava dirmi “mamma, non lasciarmi proprio adesso”.


* Spleen: In francese, spleen rappresenta la tristezza meditativa o la melanconia.

** Leggo su Wikipedia: “Per Colica in campo medico, si intende una grave forma di dolore che si concretizza in due fasi: la prima ascendente dove si manifesta in modo acuto, la seconda in fase discendente dove lentamente si attenua fino a scomparire”. E’ evidente che il termine “colichetta” è una contraddizione in termini, nel momento in cui vuole minimizzare il dolore acuto che pur si attribuisce a questo fenomeno. Ho utilizzato questo termine, tuttavia, perché molto diffuso.

*** E. Balsamo, Sono qui con te – C. Gonzalez, Un dono per tutta la vita

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75 risposte

  1. Emanuela:guarda che visione personale e dolce del pianto disperato del suo bimbo ha questa mamma?!!❤

  2. a noi non è successo però da sempre si sveglia tra le 3/3.30 di notte e cerca contatto. ha 16 mesi ma continua a farlo.

  3. portandolo in fascia e tenendolo attaccato al seno ho visto che il mio tato ne soffriva molto meno!

  4. Concordo in pieno! Che bell’articolo, affascinante! Mi ha fatto venire voglia di tenerla subito in braccio!!

  5. concordo in pieno sul discorso del contatto fisico: penso che le “coliche” siano una cosa psicologica, più il bambino sta a contatto con la madre nei primi, critici tre mesi (come vorrebbe la natura), meno ne soffre (che siano maldipancia o altro)… io ho sempre usato marsupio, fascia, niente sdraiette o passeggino, ho sempre tenuto in braccio mio figlio e non ho praticamente avuto problemi!

  6. Mi piace moltissimo la tua esperienza e non penso che hai abbassato il tono dell’articolo, anzi! L’EC è una forma altissima di comunicazione con il proprio bimbo, complimenti per esserci riuscita.
    Credo che tu abbia ragione, così a pelle. Il pianto di un bimbo è una forma di comunicazione di ogni disagio e può nascere, naturalmente, da diverse cause. E non sentirsi abbastanza liberi per poter evacuare, mi sembra un’ottima ragione per piangere.
    Così come l’innata paura della notte. Io e il mio cucciolo abbiamo vissuto un’esperienza molto forte in quei giorni e davvero quel canto toccava note così profonde e antiche….

  7. Mi piace la tua teoria, è primitiva e molto poetica. Poi il sole al tramonto ha un suo fascino anche solo a immaginarlo 🙂

    Io vorrei proporti però una mia personalissima idea. Non la posso chiamare teoria perchè non ho prove 🙂 ma è derivata dalla mia esperienza.

    Premetto che pratichiamo Elimination Communication dalla nascita del piccolo (ovvero rispondiamo ai segnali che ci manda per comunicarci che deve fare pipì o pupù).
    Il primo mese, essendo io concentrata sull’allattamento, il mio bimbo ha portato i pannolini, alternando momenti in cui gli offrivamo la possibilità di evacuare “all’aperto”, vale a dire wc, vasino, lavandino, ecc.
    Un giorno abbiamo dovuto passare la giornata fuori casa, viaggiando parecchio in macchina, e per sicurezza gli abbiamo messo un pannolino, per paura di non essere molto concentrati su di lui così che rischiavamo che si sarebbe bagnato e sarebbe stato un problema maggiore sballottarlo tra cambi vari che non tenerlo con un pannolino.
    Tuttavia ogni volta che lui segnalava o quando pensavamo fosse il momento giusto, ci fermavamo per dargli la possibilità di fare una pipì o una cacca.

    Tutto è stato perfetto fino a sera. Al ritorno siamo rimasti fermi a un passaggio a livello chiuso per quasi 20 minuti, ad appena 5 minuti da casa. D. è partito dai lamenti per finire a un pianto inconsolabile e disperato. Non c’era seno o canzone che lo consolasse.
    Ho potuto solo correre a casa e appena arrivati mio marito l’ha preso ed è corso in casa, gli ha tolto il pannolino (che era rimasto asciutto e pulito) e lui si è felicemente liberato in bagno.
    Quella sera ho capito cosa possa essere una colica.

    Ora può sembrare che questo sia stato provocato da noi. Tuttavia vi siete mai chieste come mai i bambini sul fasciatoio puntualmente aspettino di non avere il pannolino per farla? Vi avranno detto che è colpa del freddo, però succede anche in estate o in ambiente riscaldato.
    Il punto è che i neonati sanno perfettamente cosa voglia dire farsela addosso, perchè lo sentono sulla loro pelle.
    E hanno il controllo degli sfinteri. Non a lungo come noi, ma sanno trattenere benissimo. Questo lo confermerà qualunque mamma che pratichi EC.

    Ora, sicuramente vi sarà capitato almeno una volta nella vita di dovervi trattenere tutto il giorno per impegni, o per mancanza di un bagno, o chissà.
    E immagino che quella sera la vostra pancia sia stata dura, contratta e dolorante.

    Ecco, questo è quello che ho visto succedere ai neonati. Io penso che cerchino di non farla nel pannolino per quanto possibile, finchè la sera non ce la fanno più.
    E certo che una volta liberata l’aria si sentono meglio! Causa o conseguenza che sia.

    A sostegno della mia ipotesi c’è il fatto che i bimbi di chi pratica EC (o delle società non occidentali, che guarda caso non usano i pannolini come noi e anzi praticano proprio questo tipo di comunicazione) soffrano meno o non soffrano proprio di coliche.

    Immagino sia meno poetica della tua versione, Giulia, e perdonami se ho abbassato il tono della conversazione, ma che ne pensi?

  8. La piccola, mai una colica…. Sara’ che avevo letto il Gonzales (per cui non sono “reali” coliche :-)) per cui non me le aspettavo “necessariamente”, o sara’ che abbiamo passato i primi tre mesi della sua vita in vacanza, in giro a trovare amici, quindi ero moolto contenta….
    Il grande: a lui avevo notato che il disagio incominciava verso le tre del pomeriggio… il momento in cui a me, in gravidanza, cominciavano le nausee. Fortunatamente mai avute di sera ardi perche’ io di sera sono uno straccio.

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