Bambini che non dormono

Bambini che non dormono madre nervosa autosvezzamento

Si fa presto a dire che “il sonno dei bambini è un problema dei genitori, non dei bambini. Sono i genitori a dover andare a lavoro dopo la notte insonne, mentre non si è mai visto un bambino troppo stanco a causa dei suoi risvegli notturni”.
Venite a dirla a me, questa frase. E ditela a mia figlia. I bambini che non dormono sono un problema serio!

Se potesse capirne il senso, se potesse rispondervi, vi manderebbe cortesemente a quel paese. Io sono adulta, ed ho alle spalle due, signori dico ben DUE, notti di “tregua” (chiamasi tregua, da noi, la notte con 3-4 risvegli, con risvegli meno drammatici, o con 1 risveglio seguito da 1 ora e mezza per riaddormentare la piccola – ma pur sempre di un risveglio si tratta), quindi ho abbastanza self control per non essere scortese.
Ma il concetto che vuole esprimere, davvero, non lo mando giù.

Lo sappiamo tutti che il sonno dei bambini è diverso dal sonno degli adulti. Sappiamo che i risvegli notturni sono fisiologici, che l’immagine del bambino che dorme sereno tutta la notte nella suo lettino è un’immagine falsata che la società vuole dare al significato dell’infanzia e del ruolo del genitore.
In quanti invece sappiamo che cosa vuol dire avere DAVVERO un figlio che non dorme, e che non ti fa dormire? È certo che ognuno di noi ha il suo limite di sopportazione. Il mio l’ho oltrepassato qualche giorno fa.

Bambini che non dormono

La mia piccola non ha mai dormito bene la notte. Il primo mese di vita il latte scarseggiava e le notti erano in bianco anche fino alle 4 o le 5, una volta record ci siamo addormentati alle 7 di mattina. Poi il latte è arrivato e con quello la tranquillità. Fino al quinto mese di vita mia figlia era una bambina da manuale, che dormiva filata dalle 23:30 alle 6, poppava, si rifaceva una tirata fino alle 9. Una meraviglia.

Dal quinto mese qualcosa è cambiato. Tuttora ignoro cosa sia stato, ma la piccola ha iniziato a svegliarsi 3 (raramente), 4 (spesso), 5 (a volte) volte per notte. Chiedendo, inesorabilmente, tetta ogni volta.
Quando sono tornata a lavoro lei aveva 6 mesi, e la situazione è ovviamente peggiorata. Ricordo nottate con sveglia anche ogni quarto d’ora nella prima parte della notte. E la sveglia, la mattina, suona alle 6:30.

E allora qui le ho provate tutte, o quasi. Non sto a dire quali, non serve. Tentativi vani, risultati temporanei.
Con il nido la situazione peggiora ancora. Non subito, non con un evidente nesso causa-effetto, ma peggiora, nel tempo. E con la fine dei permessi per allattamento  la giornata lavorativa si allunga, io divento una pallina da ping pong impazzita che la notte balza in piedi quando va bene ogni ora, che alle 6.30 scende definitivamente da letto per andare a lavoro, che alle 15:30 schizza dall’altro lato della città a prendere la piccola al nido, che non dorme più neppure al pomeriggio perché la bimba fa ormai il suo pisolino al nido.

Due mesi or sono la situazione precipita ancora. I risvegli si fanno drammatici, non esagero se dico violenti. La piccola grida, piange, non si calma. Si sveglia spessissimo, accetta solo la mia presenza; la notte, rifiuta quella del padre.

Io sento di avvicinarmi sempre di più al mio limite massimo di resistenza. La notte inizia a diventare una specie di incubo, la stanchezza fisica si ripercuote sui nervi, sulla mia tranquillità. La tensione nervosa si ripercuote sul mio rapporto di coppia, si ripercuote su mia figlia per la scarsissima dose di pazienza che riesco ormai ad avere, un circolo vizioso che si autoalimenta e che mi distrugge pian piano.

Ditelo a mia figlia se quello dei suoi risvegli è un problema solo mio. I bambini che non dormono sono un problema, oserei dire, globale.

La notte ho le crisi di pianto e non mi vergogno a dire che qualche notte fa, quando ogni mezz’ora partivano le grida della piccola, ho sbattuto la testa nel muro per la disperazione.Disperazione nel sentire di ammalarmi giorno dopo giorno nel corpo e nella testa. Nel senso di colpa che si annida dietro l’angolo dello sclero pronto a saltarti addosso ed azzannarti come un cane rabbioso. Nel rendermi conto di essere diventata una persona che non mi piace, di non essere più qualcosa di buono per mia figlia e per il mio uomo.

Chiedetelo a lei se il problema la riguarda, o se è solo mio. E fatela parlare anche con tutti quelli che minimizzano, che non danno importanza alla mia stanchezza, che non mi sanno ascoltare, tanto meno aiutare.

Se potesse parlare, avrebbe sicuramente qualcosa di importante da dire.

Ripeto, i bambini che non dormono sono un problema SERIO.

Il seguito della storia si trova in questo post: Mi sono ripresa mia figlia.

Qui trovate cosa dice la Leche League sull’argomento dei bambini che non dormono la notte.

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188 risposte

  1. io la frase “perchè il problema è che voi avete un problema” l’ho intesa in modo molto diverso ed anzi l’ho trovata molto bella ed empatica. Provo a riscriverla per come l’ho intesa io (mi perdoni Piermarini se per la seconda volta mi arrogo il diritto di interpretare per altri quello che lei dice ma in fondo gli sto facendo tanta di quella pubblicità in giro che me lo merito quasi :-P): “se un comportamento del bambino diventa per la madre insopportabile, anche se per altre madri è invece sopportabilissimo, questo diventa un problema meritevole di ogni attenzione e di ogni sforzo per una possibile risoluzione.” Il problema non è quindi nel fatto in se ma nella percezione che se ne ha. Questo valorizza i sentimenti della mamma in quanto non è importante chiedersi se è fisiologico, naturale, psicologico ecc. Basta chiedersi: ” posso sopportare che mio figlio faccia questa cosa ancora un po’?”. Se la risposta è no si cerca una soluzione senza chiedersi (o dando il giusto peso alla risposta) se è fisiologico che lo faccia.

  2. Non posso fare a meno di pensare che un bambino ha bisogno di dormire quanto noi, e che mentre un risveglio ciclico con riaddormentamento sereno appena appurato che la mamma c’è è tanto fisiologico quanto indolore (per me, la coccola o le paroline dolci in piena notte, non le conto neanche più come risveglio, mi è anche capitato prendere la Cucciola nel mio letto senza svegliarmi per niente), il tipo di risveglio disperato/iroso che descrivete (e che succede ancora a noi qualche volta), non solo non è naturale, ma deve per forza avere un motivo, e un motivo che dà molto fastidio al bimbo. Non escluderei neanche, visto qualche episodio con la Cucciola, che s’arrabbino proprio tanto perché non vorrebbero essersi svegliati. Paura? Incubo? Svarioni chimici o sensazioni fisiche sgradevoli (p.ex. aria nella pancia, o prurito per il sudore sotto il pannolino)? Non lo so, ma sono sicura che una soluzione ci sia, e che un giorno o l’altro, procedendo per tentativi, si vada a trovare. Delle abitudini, non mi fido, sono per me condizionamenti esterni che non rispondono alle questioni in profondità.

  3. Credo sia vero, come dice il Dott. Piermarini, che un genitore attento sa, e difficilmente sbaglia, quando è ora di fermare un comportamento di un piccolo che mette in pericolo se’ stesso o la salute ed equilibrio domestici. Però che fare quando una bimba non ha la minima intenzione di collaborare, anzi, ogni tentativo di “imporsi” peggiora solo le nottate e l’equilibrio familiare? E se non si accontentano della sola vicinanza “che è tutto quello che vogliono”? Se l’obiettivo è mantenere equilibrio e salute e l’imposizione non dà risultati “in tempi utili”, anzi peggiora la situazione, allora a che pro?
    Detta come va detta, io _ora_ (e per ora) mi posso permettere di dire alla mia piccola di due anni e 4 mesi, “Dormi: sono solo andata in bagno”, due coccole, si gira e si riaddormenta. Un anno fa questo avrebbe comportato un quarto d’ora di pianto disperato, un quarto d’ora di relax e riaddormentamento, un quarto d’ora per me per riaddormentarmi e poi eravamo da capo: un urlo disperato che squarcia il silenzio, manco non fosse attaccata a cozza alla mamma.
    E’ come negare il seno a un neonato di due mese o a un bambino di due anni: sono due film diversi.
    In qualche modo il problema si risolve, a chi con un metodo, a chi con la semplice crescita però intanto si sta male!
    Mi scusi Dott. Piermarini, ma dire “Perché il problema è che voi avete un problema.” mi fa sentire infilata ancora una volta nella “nota categoria di visionarie”. Come se una stanchezza tale da rovinare amicizie, fare incidenti stradali, essere persino incapaci a contare, non fossero effetti reali di una prolungata mancanza di sonno. Lei dice: “Se riusciste a riposare nonostante i risvegli, il problema non esisterebbe e non ci sarebbe bisogno di far nulla, e prima o poi, quando non si può dire, la situazione si normalizzerebbe.” Il punto è: e se non riuscissimo a riposare nonostante i risvegli? Perché non credo si sia parlando di quei casi in cui il piccolo si sveglia zitto zitto e si attacca alla tetta x volte e la mamma a stento se ne accorge. Ho avuto qualche periodo così e conosco la differenza. Stiamo parlando di bambini che si svegliano urlando alla notte ogni 40 minuti, che sono difficilmente consolabili e riaddormentabili, che non hanno cause di dolore organico e per il dolore psicologico si è fatto l’umanamente possibile.
    Prima o poi la situazione si sistema, e su questo siamo più o meno d’accordo, ma se il mancato riposo si protrae per un anno, due, due e mezzo… davvero una donna, una famiglia, che non ce la fa più ha un problema solo perché ha una visione un po’ particolare della faccenda?

  4. Anche io la penso come cancy. Quanto al ruolo del padre, è importantissimo, ma non sempre intercambiabile con quello della madre. Anche mio marito forse avrebbe voluto in pancia un figlio, ma l’ utero ce l’ ho solo io. E se la bimba si sveglia chiamando mamma, evidentemente sa quello che vuole. Come mai per l’ as siamo tutti disposti a credere che sanno di cosa hanno bisogno, mentre per il sonno rifiutiamo di credere che hanno solo bisogno di riaddormentarsi sapendo che la mamma è accanto a loro?

    1. Eh, ma può darsi che chiami mamma perché, anche se fuori dall’utero, la situazione di fatto è tale che l’unica presenza costante sia la mamma. Credimi, per esperienza, se il papà c’è davvero, sopratutto se la sua presenza e il suo accudimento sono ad alto contatto fisico, dopo non molto si chiama anche papà. Io vedo che molti bimbi, più persone hanno attorno di cui sanno che posso fidarsi, verso le quali sanno che possono trovare conforto, cibo e sicurezza, più sono sereni. Se c’è solo la mamma, appena manca è panico, e purtroppo l’ho vissuto per forza di cose, questo, perché non abbiamo ne nonni né zii vicini, e papà, per quanto volenteroso e amorevole, è spesso in trasferta di lavoro. Paradossalmente, è stato un lungo viaggio in cui abbiamo incontrato un sacco di gente, e poi l’entrare al nido, che hanno regalato alla mia piccola una molto maggiore serenità.
      (adesso si sveglia e chiama Papi, anche se non l’ha mai allattata di notte.)

      1. Anche noi per alcune cose siamo assolutamente intercambiabili (a parte l’allattamento) e non ci sono grossi criteri. Di notte a volte cerca me a volte il papa’. E guai se ci va la persona “sbagliata”. Il papa’ in particolare ha vinto tutte le cacche :-)) (“con papa'”)
         

  5. Se delle madri intelligenti e moderne credono che tre anni di maternità retribuita siano utopia, irrealtà e contro natura, allora mi sa che ne avremo ancora per molto tempo!
    Del resto viviamo in una società che fa credere alle donne che lavorare sino al nono mese di gravidanza è da donne in gamba e “toste”. Per me TUTTO QUESTO è contro natura.

    1. Mi sembra un tantino ingeneroso tacciare di maschilista chi imposta il discorso parlando di “genitori” e non di “la madre” (“anche i cuccioli degli esseri umani hanno bisogno della continua vicinanza dei propri genitori”), e che affida ogni decisione finale sul lasciar piangere, motivatamente, il proprio figlio al giudizio di chi ne sente il maggior peso, e cioè la madre (“Dovrà essere lei a proporselo da sola”). Comunque, ed in sintesi, i modelli possibili sono i più variegati, certamente preferibili quelli “dolci” ma, quando non vi sono le risorse necessarie (cioè carattere, tempo, denaro, padre, nonni, etc), c’è da scegliere tra subire nella disperazione, e stanno male tutti a vita, o dire un no! sofferto, ma deciso e sereno, e stanno ugualmente male tutti, ma solo per un po’. Non pare giusto colpevolizzare una madre e un padre che si sentono costretti a prendere una tale decisione. C’è chi ce la fa e chi no; echi non ce la fa deve necessariamente adattarsi per sopravvivere. D’accordo che una società diversa migliorerebbe anche questa problematica ma, senza rinunciare a tentare di cambiarla, come il vostro gruppo si sforza di fare ogni giorno, non crediate che così scompaiano i naturali conflitti tra le esigenze dei genitori e figli. Ogni nucleo familiare deve trovare il suo specifico equilibrio, perché solo così potrà raggiungere il massimo livello di felicità possibile per esso, ed imporgliene uno dall’esterno solo perché idealmente è il migliore servirebbe solo a sconvolgerlo e precipitarlo nel caos relazionale. Come molti saggi hanno suggerito: combattere per il meglio spesso distrugge ciò che è buono. Infine una rassicurazione; non considerate così poco i bambini da pensare che non siano in grado di adattarsi alle decisioni di genitori affettuosi.

      1. @Piermarini “i naturali conflitti tra le esigenze dei genitori e figli”.Quando si parla di equilibrio viene sempre in mente la bilancia e sono d’accordo sul trovare un equilibrio che accontenti tutta la famiglia.Il problema è che spesso nel piatto dei genitori il lavoro pesa come un macigno e manda a farsi benedire l’equilibrio.Non credo che 3 anni di maternità pagata risolverebbero il problema ma un’elasticità generale si.Personalmente amo lavorare e amo il mio bambino,ma spesso mi sono ritrovata a doverlo sacrificare per motivi di lavoro:1)l’ho inserito al nido senza compensare con la mia presenza=nessuno poteva sostituirmi a lavoro,se non andavo io si restava chiusi=mancato guadagno dell’azienda
        2) ho iniziato a lavorare ai suoi 10 mesi senza i permessi di allattamento=o cosi o niente lavoro
        3)mi sono resa conto che il bimbo ne ha risentito ma non ci ho potuto (voluto?)fare nulla.
        Se una mamma o un papà vogliono fare i genitori e anche lavorare dovrebbero essere liberi non di non lavorare ma di poter plasmare il lavoro sui propri bisogni.Quante volte un collega ci chiede un cambio turno per farsi gli affaracci suoi e noi lo accontentiamo?Perchè se è una madre che chiede un cambio o un permesso tutti la giudicano un’approffittatrice?E se lo chiede un padre per stare col figlio con la febbre lo prendono per smidollato?
        Non siamo automi e fingere che lo siamo e trattarci solo come una macchina industriale fa solo danni.Perchè siamo obbligati ad andare a lavorare alle 7 quando magari rendiamo di più dalle 10?Crediamo davvero che l’omologazione sia positiva?

        scusate magari sono un po’OT

  6. Premettendo innanzi tutto che nella mia disperazione ho anche avviato un paio di tentativi di lasciar piangere la bambina, fra l’altro anche seguiti da successi in termini di miglioramento di sonno, devo dire di non essere affatto sicura di essere in grado di ricorrere a questo “metodo”. Ma devo anche ammettere che, nelle condizioni a cui sono arrivata, più e più volte c’è stata una parte di me, istintiva, profonda, che mi diceva che avrei fatto bene a seguirlo.
    Per motivazioni varie poi la cosa non è mai andata avanti, fra le tante un assoluto non appoggio da parte del padre a agire in questo senso.
    Padre che si rimbocca le maniche per aiutarmi la notte, ma senza ottenere dei risultati con la piccola, che lo rifiuta con veemenza. Padre che, tutto sommato, comunque riesce a dormire, quantomeno a dormicchiare, e che lo ha fatto alla grande finchè c’è stata la tetta a placare il pianto. E che continua a dirmi che io non ho un problema, che lo ho solo perchè lo voglio vedere in tale prospettiva, che lui riesce a vedere le cose sotto un’ottica diversa, come una tappa obbligata e necessaria dell’essere genitori destinata a risolversi col tempo.
    Certo, vero. Ma quello che lui non vuole ammettere a sé stesso, che la maggior parte di quelli che mi circondano non vuole ammettere, è che nel frattempo io (e non solo io, ma la mia famiglia intera) ho un problema.
    QUanto a quello che dice Giuliee sì, anche quello è pure vero. Ma è utopistico, forse irrealizzabile, addirittura innaturale come dice Gloria. E comunque non è qualcosa che fornisce una soluzione.
    Adesso da noi ci siamo attrezati, stiamo avendo risultati. Ma vi assicuro che ho il terrore che il momento di crisi possa tornare da un momento all’altro, e in quel caso non lo so se forse dovrei davvero impormi di seguire un “metodo” …

    1. certo che alla fine cerchi un “metodo” perchè non vuoi giustamente diventare pazza.Secondo me (parere personalissimo)la bimba è in piena ansia da separazione e tu hai bisogno di dormire SERENA non con lei che piange in salotto col papà.Secondo me (e sottolineo secondo me) dovresti prendere qualche permesso a lavoro e dormire quando lei è al nido,o passare più tempo con lei che magari si rilassa e dorme di più.Se la mattina non dovessi andare al lavoro,riposeresti di più nonostante i risvegli,o no?

  7. Io credo invece che Piermarini, evitando l’aspetto filosofico e sociologico del problema che di certo il problema non risolve, vada al nocciolo della questione (in un modo un po’ contorto perchè in effetti il suo pensiero arriva con calma e dopo due tre letture dell’articolo). Il nocciolo è: cosa vuol dire essere genitori? vuol dire rispondere sempre ai bisogni dei bambini? vuol dire evitargli ogni minimo trauma? o vuol dire trovare il giusto equilibrio tra le esigenze di tutta la famiglia ed il giusto peso ad ogni bisogno?
    Io credo che quello che differenzia un buon genitore da un cattivo genitore non sia tanto le risposte che da ma le DOMANDE che si pone. Un buon genitore è colui che comprende il bisogno del bambino, oppure prova in tutti i modi a farlo, a dare significato a… rendendo il bambino “significante”, e a questo risponde nel migliore dei modi ed a volte, per il bene della famiglia e del bambino stesso, il migliore dei modi è ignorare quel bisogno e negarne la soddisfazione alla ricerca di un altro equilibrio. Credo che sia questo che permette di poter usare il metodo estevill o hogg o vattelappesca senza cadere nell’addestramento…..il sapere che il proprio bambino è stato ascoltato e che come genitori abbiamo fatto la faticosa scelta di scegliere la strada che in quel momento ci sembra più in salita ma che sappiamo porta a panorami molto più vasti.
    Spesso la fatica e l’essere troppo coinvolti ci offusca questa capacità di scelta, per questo spesso ci si affida ai consigli esterni….perchè da lontano le cose si vedono con più chiarezza.

      1. Grazie Gloria e grazie Alexandra, è bello sentirsi in accordo con altre mamme e non solo in disaccordo con il mondo esterno!!!

      2. Grazie Gloria e grazie Alexandra….mi sono impegnata nello scriverlo (e soprattutto Giacomo dormiva dandomi la lucidità necessaria a raccogliere i pensieri!)

  8. Aggiungo che l’ottica di cui sopra (mi perdoni il Dott. Piermarini) mi sembra anche un po’ maschilista, del genere “se ti devi esaurire tu madre, allora fai piangere il bambino, tanto non se ne ricorderà!”. Ma perchè? Ma non ne può risentire qualcun’altro (il padre ad esempio, se la società proprio non vuole accollarsi tale “incomodo”)? O dobbiamo sempre dare addosso al più debole? Tanto non ne patirà conseguenze. E che ne sappiamo? Esistono studi sufficientemente approfonditi sui metodi Estvill e simili?
    Il “problema” del sonno dei bambini, ha ragione Madregeisha, non è un problema delle madri; ma non è un problema neanche dei bimbi (che non vanno lasciati da soli a risolvere la situazione…).
    E’ un problema di chi pensa che sia un problema e non vuole guardare le evidenze che anche l’istinto e la natura mettono in luce…..

    1. Io non credo che questa sia un’ottica realistica. E’ bello pensare che il bambino sia un angelo perfettamente disegnato dalla natura, ma il mancato sonno del bambino e’ un problema e lo e’ davvero di tutta la famiglia… E’ molto poco realistico pensare ad una societa’ che metta madre e bambino in una bolla di vetro, protetti dal resto del mondo e da responsabilita’ diverse dalla stretta cura del piccolo, se pensiamo a societa’ diverse – primordiali, antiche o anche contemporanee ma ad altre latitudini – vediamo che le donne sono tutt’altro che protette e dedite alla sola maternita’, anzi devono fare probabilmente molto piu’ di quanto non si faccia noi oggi! Certo, le condizioni sono diverse sotto tutti i punti di vista, ma io non credo che sia giusto divinizzare la diade madre-figlio e di fatto poi minimizzare un problema che e’ reale. La madre puo’ avere il sonno frammentato senza soffrirne troppo (a me e’ successo con la seconda figlia ma non con la prima), ma appunto ci sono anche il padre, magari dei fratelli e comunque… una vita da vivere, che comporti alzarsi la mattina alle 6:30 per andare a lavoro o mettersi il figlio in spalla per andare a raccogliere radici. Che’ se io anche non dovessi andare a lavorare, non riuscirei a svegliarmi ogni mezzora per un anno e mezzo! Per qualche settimana si puo’ sopravvivere se si ha aiuto attivo, ma e’ realistico pensare di riuscire ad occuparsi di altri figli senza aver dormito?
      Cortisolo e ormone dello stress? A volte ho la sensazione si esageri citando danni a breve o a lungo termine, do per assunto che qui non si stia parlando di ore di pianto disperato da parte di bambini abbandonati alla loro sorte, ma di pianti frutto di uno sforzo educativo (mi e’ piaciuto l’accostamento di LP con i pianti per non poter fare qualcosa di pericoloso).

    2. “Che so, magari tenendoli vicino ma senza dargli il seno, o la succhiata di biberon, ogni notte (o ogni due notti, o ognuno come se la sente a casa sua) una volta di meno. ”
      Confermo: erano i primi tempi del nido, e quando arrivavo a casa il seno mi scoppiava. La prima cosa che facevamo, con la mia Cucciola, era una mega-poppata di ritrovamento felice. Poi, tiravo il latte dall’altro seno, e le tenevo il biberon per la notte. Prima di andare a dormire, invece, prendeva il latte artificiale con biscotti o farina di cereali e miele, perché col seno non le bastava e – almeno così mi sembrava – si svegliava dopo poco con ancora fame. Di notte, biberon di latte “tirato” per concedere alle scorte di rifarsi per la poppata delle 5.30-6. E coccole/abbraccio a gogo. Non solo non ha pianto di più, ma la Cucciola era contentissima! il biberon superpotenziato se lo “sgluppava” con voracità, quelli notturni di latte tirato li considerava occasionalmente, se aveva fame, ma prediligendo le coccole senza nulla in bocca, e la tetta della mattina era una grandissima gioia. Finché non ha avvistato sul tavolo il bibi di latte artificiale rimasto lì, verso il quale ha teso le braccia con grida di gioia … e da lì, perdita d’interesse vertiginosa per la tetta, ma non per le coccole. E i risvegli si sono diradati. In qualche modo, credo, le cose si erano “chiarite”, tra quello di cui aveva veramente bisogno (la mamma) e quello che era superfluo (il latte/la ciucciata).

      Su quello che dici, Giulia, non posso essere d’accordo. Intanto, la maternità obbligatoria italiana è più lunga che in molti paesi. 3 anni di maternità pagata, ma da chi? con quali tasse/contributi? senza lavoro né impegni casalinghi??? ancora, chi paga? 3 anni di puro tete-à-tete con un bambino non sono mai esistiti, né in natura, né in preistoria. Le mamme animali ricominciano subito a cacciare o cercare cibo e fare tutto quello che fanno nella loro specie, le donne preistoriche non smettevano mai di raccogliere, coltivare, fare oggetti, ecc. E i bimbi non hanno certo bisogno di vivere 3 anni staccati dalla realtà del loro mondo, un mondo nel quale si lavora, ci si organizza per il meglio, ci si adegua agli altri. Lavorare è l’atto con il quale partecipiamo al mondo, è un atto d’amore e di realizzazione di sé, ed è giusto dare questo esempio ad un bambino sin dall’inizio. Quello che non è giusto, che è sfruttamento, è che i bambini siano il dominio esclusivo delle donne. I bambini si fanno in due, e a parte allattare, un padre può fare tutto quello che facciamo noi, se non gli insegnano che è contrario alla sua dignità maschile.

      Sono d’accordo sul bisogno di asili nido di qualità, perché l’educazione è una cosa fondamentale, non sono “parcheggi”. Ma i parchi attrezzati … credo si viva benissimo anche senza, basta uno spazio senza macchine e un pallone, o anche solo un piccione che vola da rincorrere … Sono per un mondo umano, pacifico e ragionevolmente sicuro, ma non m’interessa molto che sia ri-dimensionato a misura di bambino. Il bambino si dimensiona da sé: cresce nel e per il mondo e lo fa suo.

  9. Io non sono d’accordo con quanto scritto dal Dott. Piermarini. Mi sembra ancora che il “problema” venga visto da un’ottica sbagliata. Io sono convinta che si viene a creare un problema SOLO perchè madre e figlio non sono per nulla protetti e tutelati in questa società. Quando nasce un bimbo, alla madre dovrebbe essere consentito (se lo desidera) di dedicarsi solo ed esclusivamente a lui, con tutte le tutele e gli appoggi (anche economici) del caso, cerando una RETE PROTETTIVA intorno a loro. Una madre che può dedicarsi integralmente al figlio (senza lavoro, senza o con pochi impegni casalinghi, etc) è una madre che può permettersi di dormire ad intervalli, senza risentirne.
    Almeno questa è la mia esperienza: io non dormo più di due ore consecutive da quasi tre anni: prima per la gravidanza di Mario, poi per le poppate notturne, ora per la gravidanza di “pagnotta”. Ma sono tranquillissima e dormo quando posso.
    E se in gravidanza una madre inizia a prepararsi spezzando il sonno, non è certo un caso! Vuol dire che anche per lei è fisiologico dormire a cicli brevi. Ovvio che se ha mille altre incombenze da sostenere, scoppia!
    L’ho già scritto sul forum e lo ripeto con convinzione (magari sbaglio, ma non posso fare a meno di pensarla così): una società che SFRUTTA così tanto le donne e ignora le esigenze dei piccoli (che poi sono il FUTURO della società) è una società malata.

    Io, personalmente, ho mollato tutto. Certo me lo sono potuto permettere (rinunciando a qualche bene materiale in più), ma sono fiera della mia scelta, perchè mi sembrava atroce dover essere sfruttata fino al midollo (devolvendo poi metà dei soldi guadagnati in tasse e l’altra metà in asiilo nido, baby-sitter, medicine per l’esaurimento nervoso etc.) senza godermi neanche quella che era la cosa più bella ed importante della mia vita.
    Ecco, secondo me, noi madri dovremmo lottare per il diritto ad una maternità molto più lunga di quella consentita in questo povero Stato incivile in cui viviamo. Per avere assegni di maternità che non siano ridicole prese in giro. Per avere strutture infantili degne di tal nome. Per vivere in città a misura di bambino, senza doversi difendere e doverli difendere da tutto e tutti come fossimo in una giungla. Se vedeste la città dove vivo io! Non c’è un solo parco attrezzato per bambini: vergognoso!

    Ritornando al discorso sonno, io auguro a madregeisha e a tutte le mamme poco dormienti di ritrovare l’equilibrio perso, non perdendo mai di vista che la situazione che vivono è determinata non da un’anomalia dei loro cuccioli, non da una loro anomalia (ma madregeisha, quando la piccola ti ha concesso due notti di tregua, vero che tu comunque non hai dormito? Allora è forse vero che la natura ci dota di un sonno a fasi anche a noi mamme…), ma in via esclusiva da una malata organizzazione sociale e dalla poca comprensione che gravita intorno alla diade mamma-figlio. Altrimenti, se si considera anomala la situazione, si finisce per provare rancore verso i propri cuccioli o verso se stesse. E questo davvero non è giusto. Perchè la maternità, per quanto faticosa, è davvero il momento più intenso che una donna può vivere. Non mi spiego come si sia potuti ridurla così……

    Povere donne: mai libere, da secoli! Per non parlare dei bimbi.
    A quanto pare l’unico vantaggio che hanno avuto donne e bambini, storicamente, è stato quello di scendere per primi da navi in avaria (forse per testare se c’erano squali nelle acque torbide…).
    Scsate la crudezza: ho un po’ il dente avvelenato.

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