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Viaggiare con un figlio piccolo?
Ci era stato detto che l’arrivo di un figlio avrebbe comportato la rinuncia a una delle nostre grandi passioni: viaggiare. Che sì, certo, volendo si può partire con i figli, ma bisogna pensare a destinazioni adatte a loro, come ad esempio i family hotel che propongono i liofilizzati all’ora di pranzo e hanno i bagni dotati di fasciatoi. Che ogni spostamento con un bambino equivale a un mezzo trasloco e che quindi ci sarebbe passata la voglia di fare gli zingari, perché per preparare le valigie avremmo dovuto giocare a tetris con biberon, succhiotti, salviettine, pezzi di passeggino e lettini da campeggio. Che i bambini sono abitudinari e solo un cattivo genitore sballotta un bebè in giro per il mondo per godere di un’esperienza (quella del viaggio) che il cucciolo non è in grado di apprezzare e che porta solo scombussolamento nelle sue abitudini faticosamente acquisite.
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Gonzalez? Santo subito!
Da quando è nata mia figlia ho scoperto con grande piacere che gli stereotipi legati alla maternità sono per la maggior parte paccottiglia anni ’70/’80 di cui si può fare a meno per vivere felici. I bambini non sono degli esseri viziosi pronti a tramutarsi in Pietro Maso se il loro bisogno di contatto verrà soddisfatto e le terribili storie che ci vengono tramandate dai nostri genitori (“non dormivi maai!! non volevi mangiare niente!!”) sono dovute in gran parte al tipo di puericultura in voga in quegli anni. La mia bimba invece sembra essersi studiata bene Bésame mucho di Carlos Gonzalez e, se pure l’idea di addormentarsi da sola in un lettino non l’ha mai sfiorata, non ha mai avuto problemi di sonno una volta lasciata vicino alla sua mamma. Il “metodo” che uso per addormentarla non consiste in estenuanti lotte con un esserino urlante ma nell’offrirle una bella tetta succulenta al primo stropicciamento d’occhi, il che in questi dieci mesi ha sempre funzionato alla grande. Non possediamo nessun biberon e non le ho mai offerto un cibo preparato appositamente per lei.
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Google cosa ne pensa?
Quando quest’estate si materializza all’improvviso la possibilità di partire per Il Viaggio Dei Miei Sogni, chiedo a Google che ne pensa: digito “Polinesia+Con+Bambino+Piccolo” e mi appare un quesito su Yahoo Answer dove alla mamma di un bambino di un anno con simili grilli per la testa viene detto che l’idea è folle: mancano i bar dove scaldare i biberon, è faticosissimo portare un passeggino in giro per il mondo, e poi in Polinesia ci si va da soli, il bambino preferirà di sicuro rimanere con i nonni.
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Ma allora partiamo!
È la mia prova del nove. Google, che come al solito mi riporta fedelmente la sacra opinione del Senso Comune affinché io possa provare il brivido di sentirmi una mamma postmoderna, ha detto sì.
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Come sarà il viaggio?
Sarà un viaggio avventuroso (nonostante la destinazione evochi infiniti scenari di relax) perché gireremo sette isole e due arcipelaghi alloggiando in piccole pensioni di famiglia e girando il più possibile; d’altronde chi conosce questo paese sa che le spiagge della Tahiti stereotipata che viene venduta sui cataloghi delle agenzie non esistono; la Polinesia si presta più ad un tipo di turismo dinamico che alla vita da spiaggia. Io ci sono stata sette anni fa per scrivere la tesi e ho sempre sognato di tornarci da turista, per vedere le mirabilia che mi sono persa da studentessa.
Il giorno della partenza Remedios ha 8 mesi e venti giorni; da tre mesi assaggia quel che mangiamo noi – preferendo di gran lunga il latte materno -, snobba il passeggino per fasce e baby carrier ergonomici e non ha mai mostrato alcuna difficoltà nell’addormentarsi in un letto diverso da quello abituale (dopo aver sprimacciato per bene il suo cuscino preferito: la tetta succulenta di cui sopra). Per quel che mi riguarda, è pronta per l’Oceano Pacifico: non riesco a trovare alcuna controindicazione al viaggio.
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Valigie
In valigia i vestiti di mia figlia occupano molto meno spazio dei miei e sistemiamo senza problemi nei 40 kg concessi i bagagli di tutti e tre, comprese maschere e pinne per lo snorkeling. Non sono famosa per la mia frugalità, eppure nonostante la presenza di una figlia sotto l’anno le valigie si chiudono senza problemi. Sembriamo (come effettivamente siamo) in procinto di andare in vacanza, non di un trasloco intercontinentale.
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Il volo (quasi un’epopea) e di nuovo Google
La Polinesia è lontana per chiunque parta dall’Italia, ma per noi sarà un viaggio ancora più interminabile: mio marito è messicano e per transitare dagli USA dovrebbe chiedere il visto all’ambasciata statunitense. Per il viaggio d’andata la soluzione più conveniente ci impone uno scalo di 22 h a Tokyo, mentre il ritorno sarà una terrificante epopea intercontinentale con brevi soste a Auckland e Sydney, una tratta di 16 ore fino a Dubai e ulteriori 6 h che separano Dubai da Venezia. Decidiamo di concentrarci sul viaggio d’andata: per il ritorno c’è quasi un mese di tempo. Digito bambini+aereo e leggo di pappine congelate in mono dosi (una ogni 5 h) da far scongelare alle hostess. Non oso nemmeno fare una ricerca del tipo bambini+fuso orario, dopo essere incappata in una discussione tra mamme angosciatissime per l’imminente arrivo dell’ora legale e delle terribili ripercussioni che questi 60 minuti avrebbero avuto sulla routine dei figli.
Saluto Google con una strizzatina d’occhio: ci rivedremo a settembre!
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In aereo
In aereo si affrettano a portarci una culla, che ci torna molto utile per appoggiare copertine/giochini (regalati gentilmente dalla Emirates)/amenità varie. Proviamo anche ad appoggiarci Remedios addormentata e ci trascorre una buona mezz’ora: un record per la figlia di Carlos Gonzalez. Le hostess mi chiedono se desideri degli omogeneizzati per la piccola e rispondo che preferisce il cibo normale (una esclama: she’s right!). Al momento del pasto assaggia qualche boccone e il pane d’alta quota la illumina d’immenso. Lo metto via per farglielo masticare durante l’atterraggio, visto che è il suo primo volo e non sappiamo come reagirà. Le prime sei ore trascorrono in fretta, tra un sonnellino e qualche mezz’ora spesa a razzolare per il corridoio dell’aereo. Atterriamo a Dubai senza che la bimba sembri accorgersi della differenza di quota.
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Scalo, un altro volo e un altro scalo
In aeroporto cerchiamo di far ballare nostra figlia, che ancora non gattona ma inizia a manifestare l’esigenza di muoversi. Sul volo per Tokyo dorme quasi tutto il tempo, per continuare poi a ronfare nell’hotel di Narita dove trascorreremo parte dello scalo giapponese. Remedios assaggia un piatto di ramen con grande interesse e al momento non sembra che il fuso orario la turbi particolarmente. Ci imbarchiamo per Pape’ete con grandissima emozione: sto per realizzare uno dei più grandi sogni della mia vita insieme a mio marito e a mia figlia! Nel corso delle prime due traversate intercontinentali è già successo qualcosa di magico: la bimba ha messo i primi due dentini. Credo che nel ricco folklore materno che si tramanda nelle famiglie un’impresa come “andare agli antipodi con un bebè dotato di due denti in uscita” potrebbe suonare come il massimo del masochismo, e invece finora si è rivelato tutt’al più un po’ noioso, come ci si può aspettare da una traversata di 9 ore.
Lo scalo nipponico invece è stato divertente: ho trovato un sacco di cose che non farei mai assaggiare a mia figlia (il kit-kat all’anguria, per esempio). I giapponesi adorano i bambini e in albergo un anziano signore dalle scarpe colorate ci regala alcune madeleines, facendoci segno di darle a Remedios. Mio marito gliene allunga una ma lo blocco all’istante: mi chiede se sia diventata improvvisamente paranoica: cosa ci può essere di minaccioso in un semplice dolcetto, seppur giapponese? Quando gli indico la data di scadenza impressa sulla confezione (aprile 2018) tuttavia si trova d’accordo con me.
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Finalmente siamo arrivati!
Noi adulti atterriamo sulla terra promessa stanchissimi; Remedios invece ha riposato proprio bene (sul suo materasso preferito, ovviamente) e non vede l’ora di andare alla scoperta di Tahiti. La imploriamo di dormire almeno mezz’ora, ma nostra figlia sembra aver studiato alla perfezione le tecniche per smaltire rapidamente il fuso orario: siccome arriviamo di mattina non chiude occhio per tutta la giornata, addormentandosi solo alle 17 (non così presto: in Polinesia andare a letto alle 20 è normale, non è un paese per nottambuli). La sua strategia risulta vincente perché in un paio di giorni ci siamo sintonizzati alla perfezione con il fuso orario locale. Quando non si addormenta prima di cena le offro come sempre il nostro cibo, ma come al solito preferisce la tetta (oltre ai suoi adorati pomodori, che estrae meticolosamente dalla mia insalata).
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I primi piatti locali
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Il piatto più famoso della Polinesia Francese è il pesce crudo al latte di cocco; purtroppo appena lasciamo Tahiti per le altre isole scopriamo che in questo periodo ci sono molte epidemie di gastroenterite e decido che Remedios non mangerà nulla di crudo (o di non sbucciato, nel caso della frutta). Con questi accorgimenti non ha mai avuto problemi di stomaco e ha assaggiato con grande piacere tutta la frutta tropicale su cui abbiamo avuto occasione di mettere mano. Ha scoperto le vere banane, i dolcissimi pompelmi del Sarawak che crescono in Polinesia, l’albero del pane (uru) fritto e… ha imparato a bere con la cannuccia!
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Non è solo in Italia che si dicono queste cose… 🙂
La dieta polinesiana è decisamente troppo proteica per i nostri gusti e lontano da Tahiti è davvero monotona e malsana (il tasso di obesità e diabete in Polinesia è un dato inquietante); di certo le esperienze culinarie non sono state il momento clou del nostro viaggio. Remedios però assaggia di buon grado quel che le passo, e poi per fortuna ha a disposizione la sua tetta. I commenti del tipo “allatti ancora??” si sprecano, vista l’enorme diffusione del latte artificiale in questo paese. Anche le nozioni di puericultura anni ’80 vanno alla grande: in ogni pensione ci aspetta un lettino per bebè che chiediamo di portar via dal momento che ruba prezioso spazio (perché sì… non solo Remedios non sembra aver risentito in nessun modo dei sedicimila km percorsi, ma ha anche iniziato a gattonare!). A Bora Bora l’homme de fatigue dell’hotel, incaricato di portar via il lettino, resta sconvolto dalla nostra richiesta: continua a dirci “ma lo sapete, vero, che non ci sono altri letti nella stanza??” “veramente c’è un letto matrimoniale…” “sì, ma lì dormite VOI DUE!” “certo: noi due e la bambina…” . L’idea sembra davvero disgustarlo e insiste per lasciare il lettino al suo posto, ma il bungalow è minuscolo e gli spieghiamo che rimarrebbe inutilizzato, dato che a Remedios non piace dormire da sola. Al che lui esclama: “ma cosa vuol dire? mettetela lì dentro con un biberon e vedrete!”. Quando gli spieghiamo che nostra figlia non ha mai bevuto da un biberon in vita sua, ci guarda con aria spaventata. Temo che troveremo gli assistenti sociali di Bora Bora sul terrazzo il mattino successivo, insieme alla colazione.
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“Con” i figli o “nonostante” i figli?
Non credo comunque che sia indispensabile essere tetta-dipendenti come Remedios per affrontare un viaggio simile: a Maupiti abbiamo conosciuto una coppia francese che girava per l’isola con due gemelle di diciotto mesi e i loro biberon di latte artificiale. Un’altra coppia di francesi invece viaggiava con quattro bambini, tra i sei anni e i nove mesi. Nessuno di loro si portava in spiaggia omogeneizzati o pappine e nessun genitore sembrava essere afflitto dalla mancanza di orari fissi per i pasti o dall’assenza di forni a microonde sull’isola. I numerosi genitori d’oltralpe che abbiamo incontrato non mi sono apparsi più informati dei loro colleghi italiani sul fronte della nutrizione infantile (nessuna delle donne francesi con cui ho chiacchierato ha allattato oltre i primissimi mesi del figlio; i genitori delle gemelle durante la cena le legavano nei passeggini e mangiavano indisturbati nonostante le bimbe cercassero di attirare la loro attenzione chiamando – molto educatamente – “mamma, mamma”); di sicuro però vivono l’arrivo di un figlio con grande rilassatezza. Preciso che miei giudizi estemporanei sull’approccio francese alla genitorialità hanno il valore di una spettegolata tra amici: comunque l’impressione che ho avuto per quanto riguarda le famiglie conosciute in viaggio è che cercassero per lo più di vivere nonostante i figli che insieme a loro. Nel complesso però ho apprezzato che non considerassero i bambini dei malati in costante pericolo di contaminazione o follia (nel caso in cui non si riesca a mantenere una rigida routine, ad esempio).
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Non è mai troppo presto
Noi siamo determinati a vivere insieme a Remedios e a coinvolgerla in quello che ci piace, perché prima che formativo o etico lo consideriamo gradevole. Ci è stato chiesto più volte perché abbiamo deciso di portarla in capo al mondo quando è troppo piccola per conservare dei ricordi di questo viaggio: io riciclo in queste occasioni la frase di una maestra di musica che conduce dei corsi per donne in gravidanza e neonati (corsi che abbiamo seguito, che nostra figlia ha molto apprezzato e in cui abbiamo imparato canzoncine e giochi rivelatisi provvidenziali durante gli spostamenti o nei momenti di nervosismo di Remedios). Secondo la maestra non è mai troppo presto per mettere i bambini di fronte alla bellezza; per questo nei cd che ci faceva ascoltare accostava L’orso che pesta i piedi a Casta Diva, La famiglia meraviglia a brani di Tchaicovsky.
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Cesenatico o Tahiti?
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Io credo che Remedios sarebbe stata felicissima anche in un family hotel di Cesenatico, eppure dubito che aver nuotato nella magnifica laguna di Moorea possa averle in qualche modo nuociuto, anche se non ho modo di stabilire se possa averle fatto “bene” (è BENE aver dato alla luce la Saga dell’Oloturia Olly, diventata subito la nostra immancabile e postmodernissima favola della buonanotte? Essersi fatte la doccia all’aperto su un atollo, rabbrividendo – tutte ringalluzzite – per i forti venti dell’oceano? Aver mangiato con gusto delle patate fritte in un olio che somigliava più a un brodo primordiale bruciacchiato che all’olio evo umbro di casetta? Aver rinunciato per un mese ai pannolini lavabili per usare una versione “ecologica” del Carrefour di Tahiti che ci lasciava tutte le mattine inondati di cacca?).
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Bisogna dirlo a Google!
Ha fatto di sicuro del bene alla nostra famiglia: abbiamo avuto la fortuna di vivere un’esperienza grandiosa e abbiamo constatato che la riproduzione in sé e per sé non implica l’apposizione di una pietra tombale sui viaggi esotici (e, mi azzardo a pensare, su nessuna delle proprie passioni). Adesso cercherò di raccontarlo a Google.
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Il trailer
Per finire ecco il trailer del film Alla ricerca del painapo perduto (il painapo è l’ananas, importato in Polinesia dagli inglesi). Non perdetevelo!!
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122 risposte
Certo! Mai fatta una vacanza o viaggio senza i miei figli!
Oh mamma, com’era piccina! Quest’anno non mangia molto di più ma la aspetta il Messico!
Sicuramente si !!!
ehhhh ci vuole un coraggio da leoni!!! purtroppo ci vuole un portafoglio a fisarmonica! 😉
con figlia non vaccinata, quindi sana e forte abbiamo girato il mondo( anche posti strani come Los Roques, India, thailandia). Problemi zero! mai!
Io ho viaggiato un po’ anche verso mete lontane, ma con mio figlio piccolo per ora non andrei perché ogni volta che ho fatto un viaggio che non fosse in Europa (o Stati Uniti) ho sempre beccato qualcge febbre o diarrea, e come me ne ho visti tanti. Roba da poco se sei adulta e da sola ma con un bimbo no. Una mia amica ha fatto un viaggio esotico e il primo giorno il figlio si e’ beccato la febbre….. Bho, per ora credo che mete esotiche possano aspettare anche perché vorrei che mio figlio si ricordasse il viaggio.
Of course! Why not?
e dove La Maru? noi abitiamo in belgio, viaggiato moltissimo e spesso con due figli piccoli, il piu’ grande ha 3 anni e siamo qui da due
noi speriamo di trasferici presto
A 5 settimane weekend a Ferrara, vari weekend in giro tra mare e lago, 14 mesi Roma, 18 mesi casa della nonna in Anatolia 🙂 (volando di giorno ci vogliono 14 ore di viaggio per arrivarci!!!) e 4 giorni a İstanbul e a breve Minorca e Turchia di nuovo e questa volta abbiamo il primo volo alle 2.45 di notte che fa scalo a Istanbul alle 6 di mattina….si fa si fa eccome se si fa!!! …Soprattutto se si è genitori che amano viaggiare e non si vuole vivere di rinunce aspettando che abbiano 20 anni per lasciarli a casa da soli!!! 🙂