Cerca
Close this search box.

Allattamento e comunicazione (I)

Riporto, in due parti e in versione lievemente riassunta, un articolo scritto da Angela Giusti, ostetrica e ricercatrice presso il reparto di Farmacoepidemiologia (Cnesps, Iss).

In questa prima parte si evidenzia come l’allattamento artificiale sia diventato nell’immaginario collettivo, così come nella letteratura scientifica, la “norma” contro la quale misurare le varie alternative.

La comunicazione sull’alimentazione dei lattanti dal punto di vista della ricerca scientifica (prima parte)

allattamento e comunicazione
Foto di Petra-foto da Pixabay

Negli ultimi vent’anni c’è stata una crescente attenzione da parte delle Agenzie Internazionali al tema dell’allattamento. Alla luce delle conoscenze attualmente a nostra disposizione, possiamo affermare che:

  1. l’allattamento e l’alimentazione con latte materno sono la norma biologica per la specie umana
  2. le condizioni in cui le donne non hanno obiettivamente la capacità di allattare o i bambini non possono assumere latte materno sono rare
  3. l’alimentazione dei bambini è un fatto culturale e la “normalità”, socialmente costruita, non sempre corrisponde alla normalità biologica.

Per spiegare come la normalità sia costruita socialmente, prendiamo l’esempio del fumo di tabacco: negli anni ’50-’60 fumare era considerato “normale” e per una donna era un simbolo di emancipazione. Come è stata costruita questa normalità? Prevalentemente per effetto delle campagne di marketing e dei messaggi che passavano anche attraverso i media. I film dell’epoca sono pieni di persone che fumano senza che questo comporti un giudizio di valore: nella cinematografia di quegli anni fuma il protagonista, così come l’antagonista e il bel tenebroso, ha sempre la sigaretta in bocca.

Allo stesso modo, negli anni ’50-’60 si è iniziato a sostituire il latte materno con alimenti formulati, i cosiddetti latti artificiali, arrivando negli anni ’70 a un diffuso fenomeno di ipogalattia culturale: difficilmente si troverà traccia dell’allattamento. Il seno che allatta è tabù. Anche i cartoni animati che vedono i nostri bambini propongono tutta una serie di animali alimentati con il biberon dalla propria mamma, come se la norma biologica dell’alimentazione dei cuccioli fosse sconosciuta ai produttori televisivi e cinematografici. Non c’è da stupirsi che le giovani generazioni pensino che allattare o dare latte artificiale a un lattante non faccia alcuna differenza.

In entrambi i casi sopra citati, la norma biologica è chiara: respirare aria pulita (non fumo di sigaretta) ed essere allattati dalla propria mamma (non alimentati con prodotti sostitutivi). La ricerca scientifica e la comunicazione dei risultati dovrebbero evidenziare i potenziali rischi dei comportamenti che si discostano da queste norme biologiche di riferimento. Ovviamente siamo nel campo delle scelte individuali e non ci sono dubbi sul diritto delle donne di sostituire il proprio latte con il latte artificiale se la ritengono una scelta opportuna e se adeguatamente informate.

L’alimentazione artificiale come fattore di esposizione.

La produzione scientifica sull’allattamento costituisce un caso piuttosto singolare di “scienza al contrario”. Negli ultimi decenni c’è stato uno sforzo a tutti i livelli per dimostrare che il latte materno sia meglio dell’alimento formulato, come testimoniano le numerose pubblicazioni sui benefici dell’allattamento, della sua esclusività e della sua durata complessiva. L’obiettivo, in generale, è stato dimostrare la superiorità dell’allattamento o i suoi effetti a breve, medio e lungo termine, mettendo a confronto diverse durate (ad es. 4 mesi di allattamento esclusivo contro 6 mesi) o confrontandolo con l’uso di alimenti formulati o complementari. La dissonanza sta proprio in questo tentativo spasmodico di dimostrare la superiorità della norma biologica rispetto ad altri interventi. Semplificando, normalmente non si dovrebbe dimostrare la superiorità dell’allattamento, ma la non-nocività dell’alternativa, ossia del latte artificiale o altro alimento complementare. La scienza non deve dimostrare la superiorità dell’attività fisica o dell’aria pulita (norma biologica), quanto piuttosto i rischi della sedentarietà, del fumo o dell’inquinamento atmosferico.

Un gruppo di ricerca australiano ha analizzato il linguaggio utilizzato nei titoli e negli abstract degli articoli che hanno dato origine alle raccomandazioni dell’Accademia Americana di Pediatria, chiedendosi se l’informazione scientifica che arriva ai professionisti della salute sull’allattamento sia sufficientemente chiara o se sia soggetta a effetti di distorsione (bias) il disegno degli studi. Come già ricordato, la norma biologica è solitamente il riferimento sul quale vengono misurati gli effetti di un’esposizione ad esempio di un altro alimento. Gli autori sottolineano che

se l’allattamento fosse la norma contro cui vengono misurati gli altri metodi, l’allattamento non sarebbe “protettivo” e i bambini allattati non avrebbero “meno rischio di malattia”.  Al contrario, sarebbero considerati la normalità mentre i bambini alimentati con latte artificiale sarebbero considerati “esposti” ad un maggiore rischio.

fumo e allattamentoNon è una differenza banale. Torniamo all’esempio del fumo: traducendo i risultati degli studi scientifici in un linguaggio divulgativo per il grande pubblico, sarebbe come dire che respirare aria fresca è meglio che respirare fumo di sigaretta. Al contrario, la comunicazione dei rischio legata al fumo è molto chiara: il fumo aumenta il rischio di cancro e di una serie di altre patologie gravi e, al di là delle scelte individuali, queste informazioni sono oramai patrimonio della nostra cultura. Tutto ciò non avviene nel caso dell’informazione sugli alimenti sostitutivi del latte materno. Un’informazione completa dovrebbe elencare e, qualora possibile, quantificare, il rischio correlato al non allattamento o all’uso di alimenti diversi dal latte materno, in termini di maggiori probabilità di sviluppare malattie o altri esiti non desiderati.

Il secondo fenomeno evidenziato dallo studio è stato un sorprendente “effetto Voldemort”. L’uso di latte artificiale, così come il celeberrimo personaggio dei romanzi Harry Potter noto come “Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato”, viene raramente citato come fattore di rischio per la salute dei bambini e delle madri. Gli autori rilevano che anche quando uno studio mostra che l’alimentazione artificiale aumenta i rischi per la salute, i titoli e gli abstract delle riviste scientifiche evitano sistematicamente di descrivere i risultati in un linguaggio che metta in collegamento il latte artificiale con l’aumentata morbilità. Non solo, ma in molti casi il titolo della ricerca o l’abstract trae in inganno il lettore associando implicitamente l’allattamento con la patologia, come negli esempi già citati.

Il modo in cui usiamo le parole fa la differenza, contribuisce a creare la rappresentazione che la nostra società ha di un fenomeno. Diane Wiessinger, autrice di diversi articoli sul tema del linguaggio usato per l’allattamento, sostiene che “la verità è che l’allattamento non è nient’altro che normale. L’alimentazione artificiale, che non è né la stessa cosa né superiore è, al contrario, deficiente, incompleta e inferiore. Queste sono parole difficili, ma hanno il loro posto nel nostro vocabolario”.

Perché nella comunicazione ufficiale si ha così tanto pudore a parlare dei rischi del latte artificiale? Il timore di generare un senso di colpa non è più una scusa. Le persone devono sapere quali sono i rischi legati alle proprie scelte o ai propri comportamenti e questo oramai è l’orientamento della comunicazione istituzionale sulla salute e gli stili di vita.


La seconda parte dell’articolo (assieme ai riferimenti bibliografici), si trova in Allattamento e comunicazione II.
Per una quantificazione dei Rischi associati al non allattamento, leggi l’articolo dedicato.

ISCRIVITI e ricevi SUBITO
in OMAGGIO
la NUOVA EDIZIONE dell’ebook,
“E SE SI STROZZA?”

IN PIÙ IMPARA
QUELLO CHE C’È DA SAPERE CON IL
MINICORSO

COS’È L’AUTOSVEZZAMENTO E PERCHÉ È DAVVERO PER TUTTI.
Con oltre 140 ricette per TUTTA la famiglia

14 risposte

  1. Avevo già commentato tempo fa una vignetta che metteva a confronto questi aspetti, FUMO/LA e ovviamente per le mamme che hanno dato LA non era un bell’accostamento. Qui, invece, credo che l’articolo c’entri il punto sul quale si vuol far luce, ovvero il meccanismo di marketing e di normalizzazione di qualcosa che in realtà oltre a non essere normale può essere pure dannoso. Ecco IL FUMO è sicuramente dannoso, per il LA quanto tempo ci vorrà per avere dati certi sui rischi che si corre ad usarlo? Fra quanto tempo potremo stare tranquilli? O ci dobbiamo aspettare che la correlazione tra malattie in aumento e uso del LA sia talmente evidente da dover ricorrere, come con le sigarette, a immagini di bambini malati sulla confezione dei vari LA?? Io spero veramente che la norma biologica sia presa per quel che è, non la migliore, ma la NORMA, e il LA sia sempre in costante ricerca, se deve essere un salvavita che lo sia davvero….

  2. Il problema è appunto che queste cose entrano nelle nostre case (e nelle nostre teste) senza che ce ne accorgiamo. Il potere dell’informazione è immenso e fin troppo manovrato…

  3. Il paragone fra latte artificiale e fumo non mi piace. Il fumo è la prima causa di morte per tumore e malattie cardiovascolari. Il latte artificiale non è causa di morte, semmai si è osservato un aumento dell’incidenza di alcune patologie… Ma di quanto? E quali? Si parla di rischi in quest’articolo ma non si specifica quali, non si riportano numeri, nè bibliografia. Poco professionale da parte di una che si presenta come ricercatrice. Inoltre il fumo è un “vizio”, fa male in assoluto, anche a piccole dosi, non è necessario alla sopravvivenza di nessun individuo. Il latte è nutrimento indispensabile per la sopravvivenza di un neonato. Sono due cose che non c’entrano affatto e affiancarle mi sembra privo di senso. Non sto contestando le intenzioni e il succo dell’articolo, che condivido. Solo non trovo corretti il modo e le argomentazioni.

    1. Cosmic, rapidissimamente: la bibliografia c’è, ed è esauriente. La trovi qui:
      http://www.epicentro.iss.it/argomenti/allattamento/pdf/GiustiSam2011.pdf
      (il link lo trovi nella “seconda puntata”).
      Sulle patologie trovi un riassunto (fatto da me, ma con l’aiuto di un paio di medici) di due articoli compilativi qui:
      http://www.autosvezzamento.it/rischi_associati_al_non_allattamento/
      (all’interno trovi i riferimenti).
      Sul fumo bisogna riflettere… non credo che ci sia equivoco sul fatto che chi ha scritto l’articolo NON lo metta sullo stesso piano del latte artificiale, ma siccome parliamo di percezione il paragone non mi sembra del tutto assurdo. Dopo tutto mi ricordo che quando ero (non tanto) piccolo il fumo era dovunque ed era parte integrante della nostra vita. Inoltre il riconoscimento che il fumo faccia male è una conquista recente. Prima di allora (e parlo di pochissimi decenni fa) non si pensava minimamente che potesse causare danni e il fumo era al 100% glamour.
      Adesso sembra normale che non si fumi nei locali pubblici, ma fino a ieri se andavi al ristorante e uno ti fumava in faccia non potevi neanche protestare.

      1. grazie per la precisazione, ora ho capito meglio il senso del paragone. comunque, credo che tu abbia capito che criticavo più la forma che i contenuti, e cioè che nell’articolo riportato in questa pagina non ci sono nè cifre nè bibliografia. hai ragione, è linkato l’articolo originale in cui la bibliografia c’è ma per correttezza bisognerebbe scrivere che la bibliografia di riferimento è riportata nell’articolo (mi scuso ma ieri sera non avevo tempo di andare a verificare). e comunque anche l’articolo originale che ho letto ora non dà nessuna informazione quantitativa. riporta si le patologie (e non sto assolutamente a contestarle, ci mancherebbe) e le referenze, ma in ambito scientifico quando si dice che una certa cosa aumenta un rischio si dovrebbe specificare di quanto questo rischio è aumentato, e qual’è il rischio nella popolazione che non si espone a questa cosa. altrimenti parliamo di aria fritta. lo dico non per fare polemica, ma perchè visto che è di comunicazione della scienza che si parla, è bene che il metodo scientifico sia rispettato altrimenti si rischia di sconfinare nelle pseudoscienze e di essere fraintesi. lo stesso paragone con il fumo è si efficace per quanto riguarda il concetto di “normalità” che tu mi hai chiarito, ma allo stesso tempo rischia di fuorviare il lettore, a mio parere, come se si volesse dimostrare che l’allattamento artificiale è dannoso quanto il fumo. certo se non si riportano numeri nessuno può dimostrare che si parla di rischi completamente diversi. spero di essermi spiegata.

        1. Sì, ti sei spiegata benissimo e ti do ragione, infatti esattamente per i motivi che hai citato tu mi sono dovuto imbarcare nel lavorone di scrivere il post sui rischi derivati dal non allattamento (per uno non del mestiere ti assicuro che non è stata una passeggiata). Aveva colpito anche a me che Angela Giusti non avesse fornito cifre più chiare sui suddetti rischi, ma sembra che per dove andava pubblicato l’articolo originale non c’era necessità.

          Adesso aggiungo un paio di link a questo articolo, così chiarisco dove si possono reperire le altre informazioni 🙂

  4. A dire il vero neanche io fino a che non me lo hanno fatto notare, ma da allora non riesco a non farci più caso e mi rendo conto sempre di più di quanto sia vero /A.

  5. Verissimo tutto.
    Ma c’è un punto da prendere in considerazione: l’essere umano ha passato le ultime centinaia di anni a cercare di DIFENDERSI da quanto naturale / animale, perché la natura non è sempre solo buona, è anche portatrice di morte, malattia, imperfezioni varie, e non di rado nella storia è stata considerata come una UMILIAZIONE per la natura superiore dell’uomo.
    (vedi l’interpretazione comica nell’estratto di “Patata e carota – studio pediatrico associato”, su questo sito).
    Da secoli, se non millenni, vediamo la natura come sporca, minacciosa, forse addirittura in modo particolare per quanto riguarda il parto e il puerperio, e non è solo in malafede che si è cercato soluzioni scientifiche – non per “sostituire” la natura, ma proprio per “combatterla”.
    Non sto dicendo che sia giusto, anzi, siamo andati un bel pò oltre il ragionevole. ma questo spiega perché si dia per scontato che lo “scientifico”, l’artificiale, sia buono, e che si debba dimostrare la bontà del “naturale”.

    1. Certamente, come non essere d’accordo. Parimenti come non essere d’accordo che il latte artificiale sia un salvavita.
      Ogni cosa ha un suo ruolo e una sua funzione, basta ricordarsene.

      Tra breve faremo uscire un articolo che delinea la storia del latte artificiale (non mio… l’ha scritto un vero esperto) e ti dico subito che lo troverai illuminante.

    2. Grande verità. E forse è per questo che siamo noi, che facciamo parte delle prime generazioni del mondo occidentale che non hanno vissuto grandissimi patimenti, a ricercare un contatto con ciò che, quelli prima di noi hanno allontanato. Speriamo che in futuro non troppo lontano il risultato sia un bell’equilibrio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

ISCRIVITI E RICEVI IN OMAGGIO LA NUOVA EDIZIONE DELL’EBOOK:
“E se si strozza?”

IN PIÙ IMPARA QUELLO CHE C’È DA SAPERE CON IL MINICORSO
SULL’AUTOSVEZZAMENTO!