Sono contentissimo di ospitare di nuovo Manuela. Già in passato ha condiviso con noi le sue vignette umoristiche e le trovate qui e qui. Su Facebook invece la trovate qui.
Mi chiamo Manuela Tomassetti, sono una psicologa e mi occupo di nascita e dintorni ormai da due decenni. Ho iniziato quasi senza accorgermene appena laureata, credendo di fare un’esperienza e trovandomi invece immersa nel mio elemento. Da quel primo corso per operatori di psicoprofilassi ostetrica ho ricevuto una preparazione teorico-pratica che mi ha aperto un mondo, e assistere alla nascita come psicologa mi ha regalato emozioni impagabili.
La mia pratica ha dunque mosso i primi passi dall’accompagnamento alla nascita e questo ha direzionato tutto il mio futuro professionale. Venti anni di corsi sono tanti sguardi di mamme e papà, sono tanti dubbi da fugare, sono tante risorse da riscoprire, e sono tante cose da imparare. Ed io stessa ho imparato tanto da quello che ho studiato, da quello che osservare e ascoltare mi ha insegnato, da quello che mi sono chiesta da sola o insieme a colleghe con cui ampliare lo sguardo.
La formazione ha dunque seguito il filone nascita e dintorni, con approfondimenti sulla gravidanza, sul puerperio, sul massaggio infantile, sul babywearing, sull’allattamento, sul sostegno genitoriale. La mia formazione non è mai completa, è in continuo divenire e in perpetua evoluzione.
I temi della maternità, della paternità, dei bisogni del neonato, dell’allattamento, del contatto, dello svezzamento, dell’educazione dei piccoli, della competenza dei genitori, delle risorse a cui possiamo attingere, dei falsi miti che vanno scardinati, mi sono cari e credo abbiano bisogno di essere guardati dalla parte del bambino, della mamma e del papà, e non dalla parte del consumismo, delle dicerie, delle aziende di prodotti per bambini o dei marchi farmaceutici.
Nel 2014 da queste considerazioni sono nate delle vignette umoristiche, che sono semplicemente un modo goliardico per esprimere concetti che sento importanti attraverso il sorriso. Quella serie ebbe una forte risonanza e ne scaturì anche un articolo su questo sito, recentemente ripubblicato. A seguito di quell’annata fortunata ho lasciato che altre idee diventassero vignette, alcune più riuscite di altre, per continuare a usare il sorriso accanto ai temi importanti da divulgare.
Scelgo 12 vignette (le più significative e più apprezzate dalle mamme) tra le 33 pubblicate precedentemente per accogliere l’invito di Andrea e raccontare di nuovo perché ha senso parlarne. Attualmente c’è una nuova serie in corso, ma in parte ancora inedita ai miei contatti virtuali, quindi no spoiler.
Vignette sull’allattamento
Questo trittico di vignette mi sembra il modo giusto per cominciare. Quando si parla di allattamento troppo spesso si pensa a regole, orari, biberon, cose da fare, e questi sono soltanto alcuni esempi. Lavorando a contatto con le madri mi sono trovata inevitabilmente ad ascoltare storie di allattamenti costellati di consigli improbabili, massime e teorie elargite con generosità, e montagne di prescrizioni e giudizi inadeguati. Tutto questo ha in comune uno sguardo falsato e parziale su quello che l’allattamento significa, uno sguardo con un forte accento sul fare, regolare, incasellare, controllare, e con una inspiegabile assenza di considerazione dell’essere, sentire, osservare, connettersi empaticamente.
Molte madri si trovano così a 3 giorni dal parto con un frugoletto tra le braccia e una prescrizione di formula alle dimissioni, che comporta un messaggio di estrema sfiducia nei confronti della loro capacità di accogliere il bisogno nutritivo del bebè, una invisibilità del proprio bisogno di tempo per entrare in sintonia con i cambiamenti del corpo, e una proposta che rende difficile che la comunicazione madre-bambino si costruisca in ascolto dei ritmi di entrambi.
Forse il buon Piero Angela potrebbe prendere in considerazione questo tema per una puntata di Superquark, per spiegare che
- alle dimissioni è normale che spesso i neonati non hanno ancora recuperato il calo fisiologico, le madri non hanno ancora avuto la montata lattea, i due stanno cominciando solo da poche ore a cercare un nuovo equilibrio e hanno bisogno di tempo, fiducia, sostegno e informazioni corrette,
- i casi in cui serve la famosa aggiunta sono molto pochi rispetto a quanti sembra che siano,
- ed esiste un codice internazionale per la commercializzazione dei sostituti del latte materno in cui si promuove con informazioni corrette l’allattamento al seno e si regolamenta il marketing relativo agli alimenti per bambini e ai sostituti del latte materno,
- ed esiste anche una legge del 2009 secondo cui prescrivere una marca di formula alle dimissioni del neonato è vietato.
Le mamme purtroppo tornano a casa troppo spesso con la preoccupazione di dover seguire delle regole, come quella di guardare l’orologio per scandire questi 10 minuti di poppata ad ogni seno, come se fosse più importante un cronometro che una relazione, come se la mamma avesse bisogno di un oggetto per poter comprendere il suo bambino, come se tutti i bambini e tutte le madri fossero uguali, come se tutto si riducesse ad un bel brodo di pollo che fa venire il latte e risolve tutto.
Bambini e schemi predefiniti
La naturale continuità del discorso porta dunque a continuare a guardare il bambino incasellato in schemi, curve di crescita, aspettative di alimentazione e di acquisizione di ritmi “regolari”. Di qui nuove preoccupazioni se il bebè cresce a ritmi lenti come se pesare meno degli altri fosse un male assoluto, oggi, in un paese che non soffre per denutrizione e che ha un preoccupante tasso di obesità infantile, come se trovarsi al 95° percentile sia un merito, qualcosa di cui andare fieri, la dimostrazione che il latte (quale che sia) sta funzionando mentre essere al 15° percentile sia un indice di malattia e necessiti inderogabilmente di un intervento.
Questo è ovviamente un discorso riduttivo, le curve servono ad osservare l’andamento della crescita più che a quantificarlo, ma troppo spesso vengono interpretate come giudizi tanto più positivi quanto più il percentile è alto. E le madri si sentono responsabili, e di nuovo entrano nel sistema del fare, intervenire, regolare piuttosto che nell’ascoltare, osservare, sentire, connettersi.
È un sistema generale che porta in ogni sua sfumatura a perdere di vista il senso delle cose e mi ha fatto sorridere l’idea che se ci guardasse un extraterrestre osserverebbe comportamenti in sé piuttosto bizzarri, che ho provato a far dire ad un personaggio della mia infanzia, Mork, impersonato dall’inimitabile Robin Williams.
Il bambino incasellato, non solo nelle tabelle, negli orari, nelle quantità, ma anche nei contenitori molteplici destinati a lui: culle, carrozzine, sdraiette, seggiolini, lettini, box… Una riflessione interessante se si tiene conto di quanto il suo bisogno primario di contatto lo porta invece a stare addosso quanto più possibile, a sentirsi sostenuto dall’abbraccio, dal calore e dall’odore conosciuto dei genitori, per poter trarre sicurezza, protezione e benessere.
Il sonno dei bambini
In queste due vignette campeggia un altro tema molto importante per me e molto sentito dai genitori dei piccoli. Il sonno dei bambini è ancora vittima di moltissime aspettative irrealistiche, generate dalla mancanza di conoscenza del suo funzionamento, che porta a osservarlo in relazione a quello adulto e a credere di doverlo insegnare ai piccoli. Per questo ci si aspetta che dormano tutta la notte, trascurando il fatto che i risvegli sono parte del sonno anche di un adulto, e l’unica differenza è che l’immaturità del bambino richiede vicinanza e rassicurazione più di quanto non accada all’adulto.
Ecco dove nascono i metodi che troppo spesso vengono proposti con direttive militaresche, e qui sturmtruppen ci stava proprio bene, in cui lasciar piangere i bambini da soli nella culla o nel lettino sembra imprescindibile per far loro capire che è così che ci si addormenta. Ma siamo sicuri sia così? Noi ci addormentiamo stravolti dal pianto?
In realtà scivolare nel sonno a comando e senza essere contenuti e rassicurati è piuttosto complicato e disfunzionale, ancor di più per un bimbo piccolino, produce una cascata di ormoni dello stress che rendono ancor più complicato dormire bene, e rimanda un messaggio di rifiuto angosciante per delle creature ancora molto connesse con i bisogni primordiali di sopravvivenza, correlati al contatto prossimale. Continuano a svegliarsi, ma non chiamano più, si rassegnano, e il cortisolo non diminuisce. Se esistono le coccole è perché ne abbiamo bisogno.
Contatto e baby wearing
Questo bisogno di prossimità è umano, anzi più che umano. Appartiene ai primati e ai mammiferi, ma anche ad animali che mammiferi non sono. Ma gli umani sono gli unici ad avversarlo, anche se sempre più genitori stanno recuperando il piacere di accogliere questo bisogno, riconoscendolo anche in loro stessi, e amano farsi supportare dal baby wearing per tenere i propri bimbi vicini. In queste due vignette faccio ironia sul fatto che non importa quale sia la fascia, con ognuna si può trovare il modo adatto a quella diade per poter stare insieme, e quindi si “lega” (gergo tecnico del portare) con qualsiasi fascia.
Può capitare che questo strumento utile venga anche guardato come capo di abbigliamento, come oggetto artistico bello da possedere e che quindi si unisca al piacere di utilizzarlo anche il piacere di variare, di provare, di sperimentare e a volte si desidera averne un cassetto pieno, anche più di uno. Molte mamme lo chiamano “tunnel”, per indicare quel periodo anche piuttosto lungo a volte in cui si provano, si scambiano, si acquistano, si “vacanzano” le fasce.
Ovviamente non è necessario avere questo approccio e per qualcuno bastano una o due fasce per tutta la vita, magari anche per portare più bambini negli anni, ma per altre persone cambiare, provare, seguire la crescita del proprio bimbo utilizzando la varietà dei supporti che esistono per trovare quello adatto ad ogni circostanza è un piacere innegabile.
(Ignorare le) critiche
Dunque quello che i genitori imparano potrebbe cantarlo Ligabue, ci sono momenti in cui la sintonia è reale e il legame cresce sulla certezza che i bisogni saranno accolti, anche quando si fa più fatica, perché la relazione nutre entrambe le parti e restituisce ai genitori il pieno senso dell’evolversi delle loro capacità di comprensione e accoglienza mentre osservano la crescita dei loro figli.
Le critiche, i giudizi, le dicerie, saranno sempre lì, ma i genitori saranno sempre più consapevoli dei reali bisogni della famiglia e potranno man mano scrollarsi di dosso le voci, che forse non sono davvero rivolte a loro, in fondo non sono immuni neppure i figli dei re. Potranno così liberarsi di aspettative irrealistiche e prestazioni da supereroi, e saranno liberi di essere, sentire, empatizzare, accogliere… e qualche volta sbagliare. Per fortuna non servono genitori perfetti, quindi possiamo abbassare il livello delle nostre aspettative e lasciare che la relazione, l’informazione, la cura, l’ascolto empatico facciano la magia.
Grazie a Manuela per aver condiviso con noi così tanto!
E voi cosa ne pensate? Qual è la vostra vignetta preferita? Quale ha centrato un tema a voi caro?
Raccontatecelo nei commenti!