Mi fa piacere continuare a raccontare le mie vignette (queste sono le prime 8) e i concetti che le hanno ispirate, con un velo di ironia che ho scoperto essere molto apprezzato. Sonno dei bambini, alimentazione, svezzamento, autosvezzamento… la vita delle madri che allattano è spesso allietata da perle di rara saggezza che vengono dispensate da chiunque graviti loro attorno, e fu così che una sera decisi di prendere ad esempio qualcuna di queste frasi per le mie vignette.
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Per la prima della serie ho scelto di usare il celebre visetto imbronciato di Arnold per manifestare l’effetto che queste frasi fanno a me e a molte persone che ricevono simili apprezzamenti.
La dieta di una madre che allatta non dovrebbe essere impoverita o condizionata da convinzioni infondate e gli alimenti da evitare sono davvero molto pochi. Ogni nutrizionista che scrive e parla di questi argomenti, sostiene che una dieta variegata è la scelta ottimale non soltanto per un buon allattamento ma anche per un sereno e graduale svezzamento, quando sarà il tempo.
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Con questa vignetta mi sono decisamente schierata, sapendo che avrei potuto suscitare anche delle rimostranze, ma come psicologa attenta all’ascolto dei bisogni dei bambini ho sempre ritenuto fondamentale non dare prescrizioni, decaloghi o ricette miracolose per fare alcunché. E dormire mi sembrava una di quelle cose che non richiedono metodo ma osservazione e ascolto.
La vignetta invece si riferisce ad un noto medico spagnolo che ha pubblicato un tristemente noto mini vademecum sul sonno dei bambini per addestrarli ad addormentarsi, sulla scia di una teoria peraltro già nota da decenni. Il fatto che il metodo proposto possa “funzionare” in diversi casi non ne dimostra la validità perché la tecnica prevede una serie di condotte estremamente fredde e programmate per portare il bambino ad una graduale rassegnazione.
Nessuno ti consolerà, ti abbraccerà, ti cullerà e ti farà sentire importante perché devi dormire, adesso, anche se hai 6 mesi. Un messaggio non proprio edificante con cui addormentarsi, ma se il genitore tiene duro (chissà con quali sensi di colpa) alla fine il bambino si rassegna. Tutti contenti?
Avendo dovuto egli stesso ritrattare dopo aver ricevuto una serie di allarmati richiami dalla comunità scientifica, e non, mi stupisco di come sia ancora facilissimo reperire questo libercolo sul sonno dei bambini (o così dice…) ovunque.
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Il tema del contatto torna alla carica in questa vignetta, che ha riscosso molti consensi tra le mamme, per via del testimonial che ho scelto di far parlare con il mio fumetto.
Il concetto non ha bisogno di spiegazioni, ogni genitore sa perfettamente che l’affetto non è un vizio, che i bambini vogliono stare in braccio e che anche agli adulti piace sostenerli, avvolgerli, proteggerli e tenerli al sicuro tra le proprie braccia.
Le generazioni passate hanno però dovuto scontrarsi con la teoria secondo cui l’indipendenza del bambino passa attraverso il rifiuto del contatto, forse a causa della crescita economica, forse per via del boom delle aziende di prodotti per bambini che offrono una risposta ad ogni esigenza (passeggini multiaccessoriati, sdraiette con effetti sonori, motori per dondolare le culle, altalene per lattanti, girelli, box) e forse per l’incremento del numero di donne lavoratrici che si vedono così costrette cercare il miglior surrogato di loro stesse per accudire il bambino quando tornano precocemente a lavoro.
L’ha detto il pediatra, diventa il mantra che tutto può. Fa sentire sicure e un pochino più sollevate, ma il magone, in fondo in fondo resta, dunque, se lo dice questo pediatra…
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Torniamo al sonno dei bambini: se si studia l’essere umano come specie, e lo si guarda dal punto di vista evoluzionistico, è facile accorgersi che il ritmo del sonno dei neonati è funzionale alla sopravvivenza esattamente quanto quello dell’alimentazione e quanto il bisogno di prossimità. Facendo un piccolo sforzo immaginativo è facile comprendere che aspettarsi molte ore filate di sonno è una sovrastruttura culturale e non deriva da alcuna esigenza specie specifica.
Se gli esseri umani avessero colonizzato numerosi sistemi solari e avessero ricevuto le visite dell’Enterprise, probabilmente in nessun mondo si sarebbero visti neonati dormire 8 ore per notte (tranne le dovute eccezioni che si riscontrano anche qui) semplicemente perché il sonno frammentato permette al neonato di sentirsi al sicuro richiamando il genitore alla sua attenzione e conquistando quindi una condizione di protezione.
Un genitore che viene chiamato è all’erta, pronto a difendere la sua prole, e la prossimità nel sonno garantisce una risposta pronta ed efficace che non richiede ulteriori richiami e dunque non espone ai pericoli. Per quanto il progresso ci abbia permeato e cambiato nello stile di vita e nei bisogni, quando nasciamo siamo ancora tutti equipaggiati nello stesso identico modo di un milione di anni fa. Poi la cultura, la tradizione, la religione, la società, i media, etc. ci plasmano e ci condizionano, anche nei ritmi biologici. Al punto che ci sembra assurdo che i neonati non lo siano.
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Tenere vicino il proprio bambino è un concetto fondamentale che ogni genitore, le madri in primis, percepiscono come bisogno fondamentale nell’accudimento. Questo è il concetto da cui nasce il Portare, il babywearing, ma anche il semplice tenere in braccio il proprio bebè. A diffondere questo concetto nel moderno occidente, non appena sono trascorsi alcuni decenni utili a farci dimenticare che lo abbiamo sempre fatto per millenni, sono stati alcuni strumenti particolarmente affascinanti quali i marsupi. L’idea era geniale: metti il tuo bambino in un supporto che lo tiene vicino a te e ti consente di fare altro.
Un’ottimo modo per conciliare le esigenze dei piccoli e dei grandi e rendere tutti più felici.Peccato che i maggiori marchi del settore non abbiano mai investito nella ricerca o semplicemente abbiano deciso deliberatamente di ignorare alcuni ormai notissimi parametri di sicurezza ed ergonomia che garantiscono ai bambini portati di mantenere una postura consona e fisiologicamente corretta e ai genitori di non rompersi la schiena in nome di una moda. Pur avendo attorno numerosi esempi di aziende che hanno invece prodotto supporti consoni, supportati da studi che ne confutano la sicurezza e l’idoneità, esistono sul mercato ancora diversi marchi conosciutissimi e diffusissimi che producono supporti non ergonomici, come quello menzionato nella vignetta.
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È ormai così scontato che siano i pediatri a gestire nei modi e nei tempi lo svezzamento dei bambini che sembra sia sempre andata così. Con questa vignetta ho voluto ironizzare, ipotizzando che anche le mamme della preistoria si affidassero ai consigli del pediatra piuttosto che ai segnali dei bambini. Oggi, sembra che ci si possa fidare di tutto, tranne che delle proprie capacità di genitori di comprendere i bisogni dei figli. Le mamme della preistoria non avevano bisogno di questo genere di consigli, ma neppure quelle di non troppo tempo fa.
Per ammissione stessa di alcuni pediatri, la loro formazione non prevede una conoscenza idonea a stabilire i come e i quando dello svezzamento e si limitano dunque a fornire alle madri delle tabelle generiche di riferimento, uguali per tutti, quando i figli raggiungono la fatidica età, se non prima. Questa mia però non è una guerra ai pediatri, che invece stimo e rispetto, ma una semplice riflessione su quali competenze vogliamo attribuire alle categorie di nostra fiducia. Essendo un medico, il pediatra è la persona giusta a cui far riferimento per i malesseri e le malattie dei bimbi, ma spesso si confondono le cose e si pensa che qualsiasi cosa riguardi il bambino si debba riferire la pediatra.
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Così come con lo svezzamento, anche sul tema dell’allattamento le madri si trovano ad ascoltare numerosi pareri più o meno autorevoli, più o meno casuali, più o meno convinti, ma tutti fortemente diffusi e invariabilmente screditanti. Di nuovo vengono messe in dubbio le capacità di accudimento genitoriale, minando la fiducia della madre nella prima delle sue preoccupazioni: alimentare il suo bambino perché cresca sano e forte.
Dunque, si uniscono al coro delle dicerie senza alcun fondamento scientifico, tutte le affermazioni che fanno riferimento al fatto che non sia un processo naturale allattare il proprio figlio. Escono fuori sentenze che attribuiscono al fatto che la mamma stessa non sia stata allattata da sua madre, che la mancanza di latte sia genetica e dunque sia perfettamente logico aspettarsi che non ci sarà latte neppure nel suo seno. Si cresce pensando che questo sia scontato e quando si diventa madri è spesso così radicato da produrre il risultato temuto.
La verità è che la nascita innesca un processo naturale e chimicamente sensato che garantisce la sopravvivenza del neonato mettendo in circolo nella madre gli ormoni che produrranno il latte per nutrirlo. Lo stress e il condizionamento sociale possono influenzare fortemente questo naturale andamento, ed è quindi importante acquisire consapevolezza e fare affidamento sulle proprie naturali capacità per poter allattare felicemente fin quando si ritiene opportuno farlo.
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Portare avanti il messaggio dell’importanza del contatto per conto dei bambini è un compito in cui credo molto e che cerco di assolvere attraverso il mio lavoro, ma come strategia di impatto ho scelto di farmi aiutare da un testimonial inconsapevole che con la sua simpatica zeppola poteva rendere la cosa seria ma divertente.
Le parole di questa vignetta dunque non sono interamente mie, ma ho preso spunto da una nota canzone per ribadire come stare a contatto per i bambini sia questione di sopravvivenza. Per loro non è un capriccio o un vizio, ma qualcosa che li rassicura e li fa sentire protetti. In solitudine percepiscono un senso di pericolo che li spaventa moltissimo e li induce a chiamare per essere tenuti vicino e rassicurati.
Non sono abbastanza maturi da comprendere che i genitori sono a pochi passi di distanza, percepiscono esclusivamente la loro assenza e piangendo chiedono di essere protetti. E’ una condotta evolutiva che possiedono gli esseri umani come i primati, e a guardar bene tutti i mammiferi si rigenerano nel contatto e nella prossimità, specialmente durante l’infanzia.
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Portare i bambini piccoli nel marsupio è diventato negli ultimi anni molto diffuso, al punto da non destare stupori. Nelle liste nascita si può trovare facilmente un marsupio tra le voci desiderate e molto spesso le madri ricevono in prestito marsupi usati dalle amiche che hanno figli più grandi.
Nella maggioranza dei prodotti presenti in commercio le immagini delle confezioni e le istruzioni allegate presentano bimbi felici che se ne stanno addosso ai genitori dentro al marsupio, che viene indicato come strumento adatto fin dalla nascita.
Seguendo queste indicazioni si troverà anche la raccomandazione di voltare il bambino fronte mondo quando sarà più contento di guardarsi intorno, per agevolare la sua curiosità verso l’esterno. Gli studi però dimostrano che il marsupio deve avere alcuni requisiti di ergonomia, e che pur avendoli non è adatto per neonati e neppure per la posizione fronte mondo in quanto viene forzata la postura del bambino, la colonna non si posiziona in maniera fisiologica e si comprimono distretti muscolari non idonei a scaricare il peso del bebè.
Questi studi sono ormai molto conosciuti e le persone hanno diverse opportunità per venirne a conoscenza, si trovano in commercio molti marchi che presentano modelli ergonomici ed esistono anche persone disposte a spiegare i motivi per cui vadano preferiti. Nonostante questo, la strada da percorrere con la giusta informazione è ancora lunga.
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Un grido ribelle come quello di Gandalf uscirebbe dalle labbra di tutti i bambini se potessero dire la loro di fronte alle tabelle di svezzamento proposte in tempi precoci. E dunque perché non dar loro occasione attraverso una vignetta?
Ogni bambino ha un suo personalissimo tempo di maturazione e soltanto quando sarà pronto ad interessarsi al cibo sarà anche pronto a degustarlo, e viceversa. Le competenze fisiologiche e cognitive si accordano per garantire ai bambini uno sviluppo commisurato alle loro esigenze e intervenire dall’esterno per impartire regole ed orari, è quasi sempre non necessario. L’invito è invece all’osservazione dei segnali che i bambini inviano, e che io sappia, nessun tremesenne o quattromesenne ha mai dato ad intendere di preferire una sbobba di mais e tapioca alla tetta di mamma. In fondo che fretta abbiamo di cambiare la loro dieta?
Spero che vi siano piaciute queste vignette e questo viaggio ironico attraverso gli argomenti a cui tengo di più e per i quali mi impegno come donna e come professionista. Sono convinta che nel mio piccolo faccio qualcosa di utile e sono contenta di aver condiviso con voi di Autosvezzamento questi piccoli spunti. Grazie ad Andrea per aver creduto in questa idea e spero vogliate seguirmi ancora quando arriverà la seconda stagione di vignette!
8 risposte
Ma sapete che Estivill ha prodotto anche una App per iPad e iPhone? dove selezioni il numero di giorni da cui applichi il metodo per farti calcolare il tempo dopo il quale puoi entrare nella camera del bimbo…
Ma prima di Estivill ci fu Ferber, negli USA parlano di “ferberize” un bebè …
ti credoooooo…detto da lui è tutto più bello 🙂
Le altre vignette le trovate qui:
http://www.autosvezzamento.it/le-vignette-umoristiche-ii/
AnnalisaPacelli purtroppo 🙁
Però Manuela dice che ci sarà una seconda serie 😀
Già finite?
Bell’articolo ma soprattutto belle vignette, ognuna esprime una vera “chicca” ma con leggerezza e ironia, senza la pretesa di sentenziare dall’alto…semmai di rubare un sorriso!